All’alba del XI secolo l’Impero bizantino, nonostante abbia ormai perso definitivamente le coste nordafricane e la Sicilia a favore degli Arabi, conosce un periodo di rinnovato splendore. Sono tre i fattori che determinano questa ripresa, in uno stretto rapporto in cui è difficile distinguere cause ed effetti; nel loro complesso esse portano Bisanzio al suo “secolo d’oro”, compreso tra la metà del X secolo e la metà del XI. I protagonisti di questa rinascita sono gli imperatori della dinastia macedone (867-1056).
Il primo fattore è la potenza militare: i Bizantini nel 876 si re-impadroniscono della Puglia, tra il 963 e il 969 riconquistano le isole di Creta e Cipro, nel 975 portano a termine la riconquista delle città siriane di Damasco, Antiochia e Aleppo, mentre in Italia meridionale respingono con successo l’attacco dell’imperatore tedesco Ottone I. Nel 971 poi il basileus Giovanni Zimisce aveva sconfitto i Bulgari e li aveva costretti a riconoscere la supremazia di Bisanzio sul loro regno. Il momento di massima espansione si ha con Basilio II (976-1025): ad est annette la Georgia e l’Armenia, a sud blocca temporaneamente l’avanzata dei Fatimidi in Siria, ad ovest in Italia respinge l’espansione imperiale di Ottone II e nell’Adriatico conquista la Dalmazia, a nord inizia una nuova e sanguinosa guerra contro i Bulgari che, sconfitti, vedranno il loro Impero essere inglobato in quello bizantino, riportando il confine allo storico limes danubiano.
«L’Impero ha un’estensione non più raggiunta dai tempi di Giustiniano [527-565]: regna dalla Siria al Danubio, dall’Armenia all’Italia meridionale. E intorno all’Impero, la sua valente diplomazia raduna una schiera di vassalli, slavi e italiani, armeni e caucasici, per opera dei quali l’influenza di Bisanzio si diffonde vasta nel mondo» (C. Diehl)
Alla base di questa espansione vi è un forte accentramento del potere – il secondo fattore – possibile grazie alle unità politiche e amministrative dei temi, governati da strateghi con poteri sia militari che civili sottoposti direttamente all’autorità centrale. I temi poggiano a loro volta sulla massa di contadini-soldati, detti stratioti, ai quali vengono assegnati terre inalienabili (per lo più in zone di frontiera), la cui importanza è testimoniata dal fatto, per fare un esempio, che l’imperatore Costantino VII (944-959) rinuncia persino a requisire le proprietà (private) di coloro che non avevano versato le tasse allo Stato, motivando tale provvedimento affermando che «solo gli orsi mangiano le propria dita quando sono affamati; ma i soldati sono più importanti delle dita: essi sono le mani stesse dello Stato».
Il terzo punto di forza è la ricchezza che viene dai commerci, che aumenta di pari passo con la conquista di luoghi strategici come Creta nell’Egeo o Antiochia e Aleppo al termine della via delle spezie, e anche il Danubio, verso l’Europa centrale. Il rimpossessarsi di queste rotte mercantili significa arricchire le casse dello Stato tramite dazi doganali e tributi e dare nuove risorse da reinvestire sia nell’esercito che nella flotta, rispettivamente per produrre armi e assumere milizie e per costruire e rinnovare le navi.
Il secolo d’oro bizantino va perdendo energia già alla morte di Basilio II: la causa di questa nuova decadenza è il contrasto (affrontato con risoluzione sul nascere dai precedenti imperatori) tra autorità imperiale e e le classi aristocratiche, che si vedevano limitare i propri possedimenti e la propria ricchezza. Infatti ai grandi proprietari terrieri (dynatoi) erano stati tolti i fondi a vantaggio degli stratioti; il crescente impegno militare però privò gli stessi stratioti di importanti risorse, determinando così il loro indebitamento nei confronti dei dynatoi che avevano modo di acquisire nuove terre, le cui tasse non venivano più pagate dai coloni militari. Così, dopo solo mezzo secolo dalla morte di Basilio II (1025) avviene nell’Impero un processo di destrutturazione sociale dovuto proprio all’indebitamento e alla scomparsa della figura del contadino-soldato. Le milizie bizantine, che perdono la loro componente coloniale, sono ormai formate da mercenari, il cui costo è di gran lunga superiore, per non parlare del servizio reso (che non garantisce risultati militari efficaci): il mercenario combatteva esclusivamente per denaro, mentre lo stratiota prendeva le armi sia in difesa dello Stato, sia in difesa delle sue stesse terre assegnategli.
In questo contesto si spiega anche perché l’Italia meridionale diventa tutto d’un tratto terra d’approdo di avventurieri normanni: i contrasti infiniti con continui cambiamenti di schieramento tra duchi longobardi, città autonome, truppe papali e resistenza bizantina sono uno strumento di richiamo per chi, in possesso di buoni mezzi e capacità militari, vuole porsi al soldo di uno di questi.
A questo punto, inoltre, matura il Grande Scisma tra Roma e Costantinopoli, che in Italia avrà come conseguenza – sul piano militare – l’alleanza tra Papato e Normanni nel 1059 con relativo riconoscimento di questi a vassalli della Chiesa e conseguente legittimazione a strappare ai Bizantini i domini in Italia meridionale (cosa che avverrà entro il 1071).
Sulla frontiera orientale, come se non bastasse, si avvicina intanto un nuovo nemico: i Turchi Selgiuchidi. Qui ritorna a galla il problema dell’esercito e dell’assenza degli stratioti. Esso ormai è formato esclusivamente su truppe mercenarie composte da contingenti variaghi, normanni e slavi: guerrieri professionisti e ben equipaggiati, ma il cui unico legame di vincolo con Costantinopoli è il denaro, che non sempre viene corrisposto con regolarità. Senza ragioni per combattere o nulla da difendere che non sia loro, avviene l’irreparabile: l’inizio della fine si ha con la sconfitta di Manzikert nel 1071 subita proprio dai Turchi Selgiuchidi…
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