Una ventenne nella preistoria: Lucy
E’ uno dei reperti tra i più straordinari e famosi al mondo: Lucy.
Lucy venne trovata da Donald Johanson e Tom Gray nel novembre del 1974 in una regione dell’Hadar chiamata Afar (150 chilometri a nord-est di Addis Abeda), è datato a circa 3.2 milioni di anni fa.
Durante una perlustrazione di routine, ripassando in una zona già perlustrata molte volte, Johanson notò improvvisamente, lungo un pendio, qualcosa che lo colpì: chinatosi per osservare meglio assieme a Tom Gray si accorse, col cuore in gola, che si trattava di uno scheletro di ominide, il più completo mai visto di un’epoca così arcaica.
Da alcune caratteristiche intuirono che dovesse trattarsi di una femmina e la chiamarono «Lucy», prendendo spunto dalla canzone dei Beatles che veniva continuamente suonata all’accampamento: «Lucy in the sky with diamonds».
Da allora Lucy ha fatto molto parlare di sé e ha girato nelle esposizioni di tutto il mondo, dando luogo a una serie di studi approfonditi. Cosa emerge da questi studi?
Completa al 40% (e anche più, se si considera che molte ossa mancanti possono essere ricostruite in modo speculare, a partire da quelle esistenti nel lato sinistro o destro) Lucy mostra un bacino tipicamente femminile. La sua età presunta: circa vent’anni. L’analisi della dentatura, infatti, rivela che i denti del giudizio erano già cresciuti, ma non erano ancora troppo usurati.
Altezza: tra i 110 e 120 centimetri. Sono dati che risultano dallo studio del femore e dei suoi rapporti con le ossa. Era alta praticamente come una bimba di sei-sette anni.
Peso: è stato calcolato intorno ai 25 chili.
Cause della morte: un evento improvviso. Non ci sono tracce di predatori sulle sue ossa, e ciò significa che è stata rapidamente ricoperta da un fine sedimento. E’ come se fosse caduta in acqua mentre si trovava sui bordi di un lago o di un fiume. Forse un malore, o un annegamento. O, naturalmente, anche una piena.
Cervello: molto piccolo… Le ossa del cranio sono assai incomplete, ma una sua ricostruzione basata anche su altri ritrovamenti indica che il cranio aveva dimensioni analoghe a quelle di una grossa arancia.
Stazione: sicuramente eretta. Bipede completo (ma probabilmente anche buona arrampicatrice sugli alberi).
Struttura del corpo: già simile alla nostra. Le braccia sono ancora un po’ lunghe, ma non come quelle di uno scimpanzé. Il rapporto tra braccia e gambe sembra essere una via di mezzo: l’omero infatti rappresenta l’85% del femore (nella specie umana è mediamente il 75%; nello scimpanzé invece l’omero è addirittura più lungo del femore…).
Viso: estremamente primitivo. La mandibola e la dentatura presentano chiaramente una struttura ancora molto arcaica. Le ricostruzioni del suo viso nostrano tratti sorprendentemente scimmieschi.
Lucy ha permesso ai paleoantropologi di avere, finalmente, una ricostruzione abbastanza completa di una parte del mosaico dell’evoluzione della specie umana: fino ad allora si erano trovati solo frammenti sparsi, e le ricostruzioni, anche se attendibili, si basavano solo su induzioni. Lucy rappresentava invece una scatola di montaggio già pronta, per così dire, che permetteva di confermare la giustezza di certe ricostruzioni. E’ come se fra un milione di anni degli archeologi, scavando nella nostra epoca, trovassero un pezzo di carburatore, mezzo volante, un frammento di ruota, ecc., e in base a tali reperti cercassero di capire come era fatto questo strano veicolo: trovando un’auto in gran parte completa potrebbero avere conferma della sua struttura e anche di certe sue prestazioni, potendo inoltre collocare meglio altri nuovi pezzi ritrovati.
Lucy, scoperta nell’Afar, venne denominata Australopithecus afarensis.
Ma Lucy è stata l’unica forma di ominide vissuta in quelle epoche? In realtà con il nome del genere Australopithecus (letteralmente significa «scimmia australe, coniato durante i primi ritrovamenti avvenuti, nell’Africa australe») vengono anche raggruppati numerosi altri ominidi che vissero in tempi successivi a quelli di Lucy, precedendo l’emergere del nostro genere «Homo».
Bibliografia:
La straodinaria storia ella vita (dalle prime molecole organiche all’uomo d’oggi) – Piero e Alberto Angela – Mondadori