Una caccia alle streghe di Augusto?
Tanto al semplice cultore quanto allo studioso della Storia Romana è nota la politica augustea. Nel passaggio dalla Repubblica al Principato, il divo Augusto si fece promotore di una serie di provvedimenti e leggi, volti a una “(ri)moralizzazione” della società romana. Andavano recuperate le priscae virtutes dopo gli spiacevoli sviluppi delle guerre civili e l’epidemica diffusione dei costumi e delle filosofie orientali tra i grandi nomi della romanità contemporanea.
Non si poteva, dunque, non puntare sulla tutela della famiglia: un esempio per tutti può essere la lex Iulia de adulteriis coercendis che condannava l’adulterio come un vero e proprio delitto pubblico (18-17 a.C.). Quanti si sposavano e procreavano avrebbero, inoltre, goduto di privilegi e incentivi.
Bisognava recuperare le tradizioni e sradicare le devianze religiose e pseudo-religiose che negli anni precedenti si erano diffuse nelle nobili ville romane. Ecco che tornano utili i versi di “un certo” Virgilio che, con la sua epica, dà nuova luce al leggendario passato di Roma. Nell’ambito del circolo di Mecenate, si distinse, poi, il venosino Quinto Orazio Flacco. Egli fu il poeta della metriotes e del carpe diem, l’amante della campagna e del mondo rurale, nonché satirico osservatore della realtà.
E la realtà romana poteva celare personaggi ed eventi alquanto oscuri, elementi che superavano il confine del licitum. Nell’Epodo 5 il poeta dà voce alle parole disperate di un fanciullo, vittima di un rito delle streghe Canidia, Sagana, Veia e Folia. Vane sono le sue invocazioni agli dei. Canidia (ai capelli ha intrecciate delle vipere!) non si lascia impietosire e getta sui roghi caprifichi strappati dai sepolcri, cipressi funebri, uova di rana sporche di sangue, penne di civetta (l’uccello notturno legato a pratiche occulte), erbe provenienti dalla Tessaglia e dall’Iberia (regioni non sconosciute alle streghe), nonché ossa strappate dalla bocca di una cagna digiuna (v. 23: et ossa ab ore rapta ieiunae canis). È il trionfo dell’orrido! La dettagliata e orripilante descrizione del rituale, nonché il patetico incipit occupato dagli scongiuri del fanciullo, conferiscono a questo componimento un certo grado di drammaticità.
A completamento del rito, Sagana sparge acque dell’Averno e Veia scava una fossa per seppellirvi il fanciullo con la sola testa fuori affinché muoia lentamente e dal fegato rinsecchito si ricavi un filtro d’amore. Destinatario dell’incantesimo è Varo che Canidia vuole piegare al suo desiderio. Ma la strega deve fare i conti con la magia di una strega più potente che protegge l’uomo. A questo punto, il fanciullo, che non aveva cessato di implorare pietà, cambia atteggiamento. Preso atto della morte imminente, scaglia la sua maledizione sulle quattro incantatrici:
«verrò furente demone notturno, e ombra verrò a configgervi le adunche unghie negli occhi, […] e assiso sui vostri cuori angosciati vi toglierò il sonno con il terrore» (vv. 92-96).
Le quattro streghe saranno completamente abbattute, però, da una turba inferocita che le caccerà per ogni vicolo e, alla fine, le lapiderà.
Una teoria sostenuta da alcuni studiosi prevede che la politica di Augusto passasse anche da qui. La descrizione delle streghe e del rituale fatta da Orazio, per quanto irreale possa sembrare, molto probabilmente avrà avuto dei riscontri con la realtà contemporanea. Filtri magici, rituali, sacrifici umani sconvolgevano la società romana e, soprattutto, lo stesso princeps che si affidò ai suoi fidi poeti e non solo. Il riferimento alla lapidazione delle streghe, che suggella la maledizione del fanciullo sventurato dell’epodo, non sarà stato tanto lontano dalla quotidianità dell’Urbs tra il I secolo a.C. e il I d.C. Si potrebbe quasi parlare di una caccia alle streghe ante litteram: saremmo di fronte a un aspetto della “restaurazione augustea” su cui mancano ulteriori testimonianze e riscontri.
Certo è che lo stesso Orazio torna sul tema della magia e delle streghe nella Satira I, 8 con toni meno seri. In questo componimento, infatti, il dio Priapo (o meglio la statua del dio Priapo), in un monologo, racconta della pratica, esercitata dalle streghe, di scavare nei cimiteri per reperire ossa ed erbe da utilizzare nei loro rituali di magia nera. Protagoniste sono nuovamente Canidia e Sagana alle prese con le loro orride pratiche, tra le quali non manca un riferimento a quello che oggi chiameremmo voodoo (nella fattispecie, si fa accenno a due pupazzi, uno di lana più grande e uno di cera, di cui il primo è usato per infliggere danno al secondo). La satira è volta a ridicolizzare le streghe, messe in fuga dai “suoni” emessi dalla statua del dio.
Tuttavia non va sottovalutata la produzione di Orazio sulla tematica (vi si aggiunge anche l’Epodo 17). Tanto nel mondo greco quanto in quello romano, tanto nelle epoche remote quanto in quelle più recenti, non mancano descrizioni di rituali magici e sacrifici: magia e demonologia sono delle costanti dell’Antichità, la produzione letteraria antica può confermarlo. La strega ha sempre avuto un posto nell’immaginario collettivo: non è escluso che la politica augustea si sia scagliata anche contro questo fenomeno.