Antica Roma

Tombe, sarcofagi e mausolei antichi a Roma e dintorni

Concludiamo il ciclo degli articoli avente come tema la morte nel mondo romano [1] [2] con un ultimo aspetto, sicuramente meglio visibile e percettibile, ovvero l’evidenza archeologica. Sono numerosissimi le tombe, i sarcofagi e i mausolei conservatisi fino ad oggi. Consapevoli che non basterebbe un articolo nel quale raccogliergli tutti, ne abbiamo qui di seguito selezionati e brevemente descritti alcuni di diverse tipologie e età, partendo dall’età repubblicana fino all’età imperiale.

Buona lettura!


Roma, Tomba degli Scipioni. L’ipogeo gentilizio dei Cornelii Scipiones sorse lungo la via Appia; quasi certamente il fondatore fu Scipione Barbato (il cui sarcofago occupava nella tomba il posto d’onore). Inizialmente era una grande camera quadrata e disadorna, con quattro robusti pilastri risparmiati nel lavoro di escavazione per dare maggiore solidità. Il sarcofago di Barbato fu sistemato nel fondo della tomba in asse con l’ingresso, via via se ne aggiunsero altri, semplici casse, scavate in blocchi tufacei monolitici o costruite con lastre di tufo, inserite in nicchie scavate nelle pareti del corridoio. Solo sette dei sarcofagi recano iscrizioni e consentono di datare l’uso di questa camera sepolcrale fino al 150 a.C.; a quella data l’ipogeo fu affiancato da uno minore, sempre quadrangolare. In occasione della costruzione del nuovo ipogeo venne creata una solenne facciata “rupestre”, consistente in un alto podio con severe cornici a cuscino, entro il quale si aprono tre archi, uno cieco e due conducenti al vecchio e nuovo ipogeo. L’attribuzione a Scipione Emiliano della sistemazione appare verosimile e riveste una particolare importanza nella corretta interpretazione dei processi di ellenizzazione della cultura romana nel corso del II secolo e tenendo presente l’importanza rivestita dal circolo scipionico nella formazione di una letteratura romano-ellenistica.


Roma, Tomba degli Scipioni: Sarcofago di Scipione Barbato / Musei Vaticani (m 1,42). Si trova nel fondo dell’ipogeo primitivo della famiglia degli Scipioni. Scipione Barbato fu console nel 298. Unico della tomba ad avere una decorazione di tipo architettonico elaborata ed elegante, esso è concepito come altare, con sobrie modanature alla base e una cornice a dentelli sovrapposta ad un fregio dorico in alto; completa il tutto un coronamento con due volute alle estremità di un elemento cilindrico con fogliame d’acanto; notevoli anche le rosette entro le metope. Si riflette benissimo il gusto del primo ellenismo per architetture a stili misti, cornici ioniche su fregi dorici e coronamenti tipici dello stile corinzio. La pietra, il nenfro, potrebbe far pensare a maestranze dell’Etruria meridionale, dove però non è stato scoperto mai nulla di simile. È preferibile quindi l’ipotesi di rapporti con le fonti megalo-greche. Eccezionale importanza hanno le iscrizioni sul sarcofago, una sola dipinta sul coperchio recante il nome del defunto, l’altra incisa verso il 200 sulla cassa, si tratta di un estratto della laudatio funebris.


Roma: Mausoleo di Cecilia Metella. La tradizione dei mausolei circolari ellenistici trova nella Roma del tardo I secolo un particolare favore e diffusione che dilaga in tutta Italia per tutta l’età giulio-claudia, al termine della quale il tamburo prenderà sempre più forme articolate (fino a confondersi con i tipi di naiskos della Puglia). Il mausoleo di Cecilia Metella (figlia di Metello Cretico console nel 69 a.C., e moglie del figlio del triumviro M. Licinio Crasso) sorge poco prima del terzo miglio della via Appia. Un dado quadrato in opera cementizia rivestito di travertino, entro il quale è situato il dromos e la camera sepolcrale coperta a cupola, sostiene un alto tamburo cilindrico, anch’esso in travertino, con un bellissimo fregio marmoreo dai classicistici bucrani e festoni. In alto vi è un coronamento merlato del tumulo di copertura.


Monumento funerario di C. Lusius Storax / Chieti, Museo Nazionale (m 0,60). A questo monumento si riferiscono un fregio ed un fronte figurati in cui è celebrata l’editio muneris dovuta alla cittadinanza dal ricco liberto per il conseguito onore dell’augustalità. Il fregio e il frontone raccontano su due livelli un medesimo avvenimento, quasi fossero due distinti. Nel fregio figura il ludo gladiatorio (gladiatori in varie pose), evidente è il desiderio di mostrare le sontuosità del ludus. Il rilievo è costituito sapientemente con un calcolato equilibrio compositivo e con un ritmo di pause e movimenti, ispirata a modelli urbani. La scena del frontone presuppone invece un’esecuzione tratta dalla realtà (nella quale però vi sono dettagli non realistici, simboli di stato sociale e allusioni ad eventi non contemporanei); la scena è articolata su due piani: in primo piano (con un singolare distorcimento prospettico) vi sono due gruppi di quattro cornicines e tubicines, alla destra dei quali vediamo un sedile con tre giovinetti (camilli). Vi è poi un tribunal sul quale riconosciamo al centro Storax e simmetricamente due bisellia con i quattuorviri di Teate affiancati da un littore stante, ai piedi del tribunal vi è un uomo con bastone (augure o lanista). In un secondo piano vi è una sfilata di undici personaggi togati (collegio dei seviri augustales) e un littore, mentre all’estrema sinistra vi è una scena di zuffa (per ricordare il giorno del ludus in cui il gioco era stato accompagnato da un piccolo tumulto popolare). I seviri sul tribunal sono intenti ad osservare lo svolgimento dei giochi (tranne uno accostato all’orecchio di Storax che sta pagando la summa honoraria). I rilievi, datati tra il 30 e il 50 d.C., sono un documento significativo del gusto municipale italico o plebeo, commistione tra esperienze di tipo urbano e ricordi della tradizione italica (distorsioni prospettiche, paratassi compositiva, narrazione riassuntiva, dettagli delle anatomie e panneggi appena accennati). Lo scopo è rendere l’evento leggibile a tutti e rendere evidente lo status e le res gestae del committente.


 

Roma, monumento sepolcrale degli Haterii: rilievi / Musei Vaticani (m 0,42; 0,75, 1,04). Questo monumento funerario sorgeva al terzo miglio dell’antica via Labicana ed è costituito da molti frammenti della decorazione architettonica (pilastri, colonnine, trabeazioni, parti del timpano e della decorazione parietale), tre frammenti di iscrizioni (che ricordano i nomi dei proprietari, discendenti di liberti della famiglia degli Haterii), bassorilievi figurati appartenenti all’ornamentazione dell’edificio, due ritratti femminili e pochi resti di sculture a tutto tondo. Nell’architrave vi sono i busti di Mercurio, Cerere, Plutone e Proserpina (assimilati agli Dii Magni di Samotracia ed ai defunti stessi), in altri tre rilievi sono raffigurate le res gestae del defunto, un compianto funebre e l’apoteosi. Nel primo di questi tre rilievi compare una sequenza di monumenti che comprendono l’arcus ad Isis, il Colosseo, un arco quadrifronte, un arcus in summa Sacra Via (arco di Tito) e il tempio di Iuppiter Custos (esplicazione dell’attività del defunto, appaltatore). Nel secondo rilievo, una scena di compianto e di culto funebre all’interno della casa del morto (servi che suonano il doppio flauto e incoronano il defunto). Nell’ultimo rilievo distinguiamo tre parti: in quella centrale il sovraccarico naiskos funerario, a sinistra una macchina a ruota azionata da schiavi e culminante in una sorta di gru (al di sopra della quale due schiavi accomodano rami di palma ed un cesto che doveva contenere l’aquila, liberata dalla macchina al momento della cremazione per simboleggiare l’apoteosi), in alto vi è una sorta di podio sostenuto da aquile e festoni, sul quale compaiono la defunta stesa su kline, un candelabro, un monumento sormontato da maschere (?) e contenente una statua nuda e accanto alla kline una vecchia presso un altare e dei puttini seduti (questa scena è stata interpretata come una prolessi di scena di culto funerario, prestato entro il sepolcro, anche se è preferibile immaginare si tratti della visione dell’aldilà, ove la defunta osserva la cerimonia). Tutti i rilievi sono caratterizzati dalla ben nota chiarezza esplicativa che denota le opere plebee; prevale inoltre una ricchezza decorativa ed un gusto per l’ornato barocco ed illusionistico.


 

Roma: Mausoleo di Adriano. Nell’architettura pubblica o di pubblico dominio Adriano si mantenne su una linea più contenuta, ispirata al patrimonio classicista e più conservatrice nel senso romano. Il diretto ispiratore del nuovo sepolcro imperiale fu il mausoleo di Augusto: l’edificio sorge sulla riva destra del Tevere di fronte a Campo Marzio (a cui fu congiunto dal Ponte Elio) e consisteva in un tamburo posato su un grande dado rivestito di marmo lunense con lesene angolari e fregio a bucrani sui quali si leggevano i titoli dei membri della famiglia imperiale ivi sepolti (da Adriano a Caracalla); qui era situato l’ingresso al dromos (preceduto da un arco intitolato ad Adriano). Il tamburo dal nucleo massiccio in peperino e in opera cementizia, rivestito di travertino e decorato con lesene scalanate, era sormontato da un tumulo di terra alberato: ai margini vi erano statue marmoree decorative mentre alla sommità vi era una statua dell’imperatore stante su quadriga. Il monumento era cintato da un muro con cancellata bronzea (ornato da statue bronzee di pavoni). Il dromos conduceva ad una rampa elicoidale laterizia, illuminata da pozzi di luce, terminante con un corridoio rettilineo che immette nella cella sepolcrale quadrata con grandi nicchie laterali per le deposizioni. Sopra questa cella ne sorgono ancora due, una con volta a botte e l’altra con volta a cupola, destinate a sostenere la statua terminale e a raggiungere la sommità dell’edificio (mediante corridoio anulare). Nel medioevo divenne bastione dell’area vaticana, spogliato di decorazioni e rivestimenti e, accresciuto delle aggiunte di un millennio, oggi è chiamato Castel Sant’Angelo (Mole Romana).


 

Roma, Portonaccio: sarcofago con scene di battaglia / Roma, Museo delle Terme (m 1,60). Questo sarcofago (probabilmente di un generale romano impegnato nelle campagne di Marco Aurelio) presenta una cassa, molto alta, decorata con scene di combattimento tra Romani e barbari disposti su quattro piani diversi: i due più in alto con cavalieri romani alla carica con vexilia, uno più in basso con fanti romani e l’ultimo, ancora più in basso, con i barbari travolti (le scene di battaglia sono delimitate da trofei ai piedi dei quali vi è una coppia di barbari prigionieri). Sul coperchio (acroteri sono mascheroni di barbari) è a rilievo la storia della vita del personaggio, dalla nascita all’infanzia, dalle nozze alla deditio di barbari ai piedi del personaggio in abiti militari. La composizione è su vari registri che abbandonato il ritmo semplice delle monomachie per disposizioni in facciata tormentate e mosse. Il rilievo esprime predilezione per il movimento luci-ombre, per i sottosquadri profondissimi ove il timpano ha quasi creato dei tutto tondo, per i rendimenti specifici nei volti, nei corpi aggrovigliati e nel fluttuare di lance e insegne. Minor bravura, ma medesime caratteristiche, nella decorazione del coperchio.


 

Acilia (Ostia): sarcofago / Roma, Museo delle Terme (m 1,49). Questo sarcofago (scoperto nel 1954) è stato subito riconosciuto come importante documento del secondo venticinquennio del III secolo. È un sarcofago di tipo a lenos, il tipo (decorato su tutta la superficie) si afferma nella seconda metà del II secolo e per tutto il III (larghe applicazioni con figurazioni dionisiache di caccia o di muse e filosofi). Metà della parte destra e di quella centrale oltre che il retro, sono andate perdute; la scena rappresentata può essere ricostruita a grandi linee: s’impernia su due figure centrali, una maschile e una femminile, a sinistra delle quali vi sono una serie di figure maschili barbate (filosofi), mentre a destra vi è una teoria di figure femminili (muse). Un filosofo indica un personaggio la cui testa era lavorata a parte, identificato con Gordiano III. Il sarcofago sarebbe dunque quello dei genitori del giovane imperatore (attorniati, la madre dalle muse e il padre dai filosofi). Il sarcofago mostra tracce di estesa policromia (in modo particolare nero e oro). Appare costruito con tecnica dal sapore orientale, con il caratteristico fluire dei chiaroscuri nelle toghe dai sinus scanditi e nei modi barocchi nel trattamento dei volti e delle chiome delle figure generiche. Il sarcofago di Acilia è molto probabilmente opera di maestranze attiche e asiatiche che hanno adattato il loro stile alla committenza urbana. È databile intorno al 235 d.C.


 

Roma: Sarcofago Ludovisi / Roma, Museo delle Terme (m 1,53). Questo sarcofago proviene da una tomba presso la via Tiburtina, se ne conserva solo la cassa (coperchio, con scene di sottomissione di barbari e busto femminile, è andato distrutto nel 1945). Sulla cassa vi è una scena di combattimento tra barbari (Goti?) e Romani; in basso , su due piani vi sono barbari a cavallo o a piedi feriti, morti e morenti; in alto, su altri due piani, soldati e cavalieri romani impegnati a combattere. La superficie è un groviglio di figure, al cui centro domina un condottiero a cavallo, identificato con Ostiliano (segno della croce sulla fronte). L’opera mostra una composizione basata su perpendicolari e diagonali che si intersecano, e su una densa trama di luci e ombre accentuata da forte aggetto di figure e particolari. L’autore del sarcofago risente di influenze attiche ma acclimate a Roma. Evidente è la preparazione al rinascimento gallieno e alle precedenti formule classicistiche tardo-antoniane.


 

Roma, Torpignattara: sarcofago di Elena / Musei Vaticani (m 2,42). Nel museo “ad duas lauros” di Torpignattara era conservato il sarcofago in porfido di Elena (madre di Costantino). Malgrado i forti restauri subiti nel XVIII sec., le linee generali delle scene rappresentate, della composizione e dello stile sono inequivocabili. Il tetto a quattro spioventi è adorno di figure a tutto tondo di Genii e di Vittorie e di ghirlande, che sui lati lunghi inquadrano un leone sdraiato a basso rilievo, mentre ghirlande corrono sull’altro bordo sorrette da un amorino in volo. Sulla cassa vi è una scena unica con cavalieri romani, vestiti di corta tunica ed elmo. La composizione è molto ben ritmata con i cavalieri al galoppo o al passo nel registro superiore e i barbari a quello inferiore, il rilievo altissimo consente un altrettanto ritmata scansione delle figure. Il sarcofago è di chiara origine orientale, sia per lo stile, che per il materiale. L’opera è databile intorno al 320 d.C.


Un ringraziamento ai colleghi S. Riemma e M. Silvestro per parte delle descrizioni.

Antonio Palo

Laureato in 'Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente' e specializzato in 'Archeologie Classiche' presso l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Fondatore e amministratore del sito 'Storia Romana e Bizantina'. Co-fondatore e presidente dell'Associazione di Produzione Cinematografica Indipendente 'ACT Production'. Fondatore e direttore artistico del Picentia Short Film Festival.

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