Storia dell’Arabia pre-islamica
L’Arabia è la seconda penisola al mondo dopo l’India per estensione: essa è costituita da un vasto altopiano per lo più arido e desertico ma con ampie zone steppose dove è praticabile la pastorizia; le poche terre fertili corrispondono alle oasi e alle fasce costiere. Nell’Arabia meridionale, in particolare, le condizioni climatiche favorirono tra il I millennio a.C. e i primi secoli d.C., il formarsi di alcuni prosperi regni, di cui parlano anche le opere degli storici greci e romani: una ricchezza che fece meritare alla penisola il nome di Arabia Felix “Arabia Felice (o Prospera)”. La spiegazione di questo appellativo si può far risalire alla presenza di pietre preziose, di oro e soprattutto di aromi quali la mirra e, in particolare, l’incenso, che poteva essere estratto solo da piante coltivate in quella regione. Erodoto a tal proposito scrive che «da ogni luogo dell’Arabia spira un soave profumo di aromi». Per questo motivo la penisola arabica fin dai tempi antichi si trovò a essere il centro nevralgico di una fitta rete di commerci che coinvolgevano Asia Minore, Africa e India.
Gli scavi archeologici compiuti nel XX secolo nelle zone meridionali della penisola araba (Yemen) hanno confermato le antiche testimonianze letterarie, portando alla luce i resti di costruzioni monumentali. Il più importante dei regni dell’Arabia meridionale fu probabilmente quello di Saba, patria di una famosa regina (moglie di Salomone), protagonista di alcuni episodi biblici), fiorito tra il X e il VI secolo a.C. e menzionato anche dal Corano. Anche nella parte settentrionale della penisola arabica, a ridosso della Mezzaluna Fertile, si formarono alcuni piccoli regni. Quello dei Nabatei, che aveva per capitale Petra, a sud del Mar Morto, fu assorbito dall’Impero romano nel 105 d.C. per opera di Traiano, e divenne la provincia romana di Arabia. Una sorte simile a quella toccata al Regno di Palmira (in Siria), che, dopo aver lottato per mantenere la propria indipendenza, fu alla fine sottomesso dall’imperatore Aureliano.
Nelle zone desertiche che si estendevano nella parte centrale della penisola arabica vivevano tribù nomadi di “beduini” (così chiamati dal termine arabo bedewi), dedite alla pastorizia, ai commerci e anche alle razzie. Nelle oasi e sulla costa del Mar Rosso, cioè dove le condizioni ambientali erano migliori, si erano stanziati agricoltori, artigiani e commercianti che popolavano centri di modeste dimensioni. la presenza del deserto sembra aver segnato alcuni tratti del carattere e del comportamento della popolazione araba e in particolare di quella nomade: un forte senso di appartenenza al proprio clan e un forte attaccamento alla propria libertà; accanto a questi tratti bisogni ricordare il vivissimo senso dell’ospitalità: per chi vive nel deserto, infatti, trovare rifugio e ospitalità significa salvezza. La donna, come spesso accade in condizioni di vita particolarmente ostili e dure, partecipava alla vita comunitaria in una posizione non molto dissimile da quella dell’uomo. Alla base dell’organizzazione sociale delle popolazioni nomadi vi era la tribù, a capo della quale veniva eletto uno sceicco (in arabo sayyid); lo sceicco, in realtà, deteneva poteri piuttosto limitati (per esempio, non poteva emanare leggi). In tempo di guerra lo sceicco veniva talvolta veniva sostituito nel ruolo di capotribù da un comandante militare (rais). La tribù era responsabile collettivamente degli atti di tutti coloro che ne facevano parte: così, se un suo membro commetteva un crimine, la responsabilità veniva condivisa dall’intero gruppo. In questo modo tra le diverse tribù scoppiavano spesso vere e proprie guerre, anche perché il ricorso alla vendetta per rifarsi dei torti subiti (in particolare razzie o dispute per il controllo di pascoli o sorgenti) era largamente diffuso.
Per quanto riguarda la religione, quasi ogni tribù aveva proprie divinità, spesso venerate sotto forma di pietre, di alberi o di corpi celesti: molti santuari, infatti, erano costruiti su alture perché vi si celebrava il culto di divinità lunari (lo stesso calendario era lunare). I simulacri delle varie divinità erano inoltre custoditi in recinti sacri posti all’interno dei piccoli centri che sorgevano nel deserto o lungo le piste carovaniere. Il più importante di questi santuari sorgeva al centro della città sacra di la Mecca. Annualmente gli Arabi si recavano in pellegrinaggio nella loro città sacra sospendendo per l’occasione ogni conflitto; nel medesimo recinto sacro che accoglieva tutti i loro dei si trovava anche la Kaàba, ossia un edificio di forma cubica destinato a custodire la cosiddetta “pietra nera” (probabilmente un meteorite): si diceva che essa fosse caduta sulla Terra per volontà divina e che, originariamente bianca, fosse diventata nera a causa dei peccati degli uomini. Le motivazioni che spingevano gli Arabi a La Mecca non erano solo religiose, ma anche commerciali ed economiche. Ogni primavera, infatti, a La Mecca si organizzavano fiere e mercati, arrivavano commercianti da ogni luogo, si incontravano sapienti per scambiarsi conoscenze e opinioni e si allestivano banchetti e danze. proprio in questo contesto Maometto si trovò a predicare la sua nuova religione che avrebbe costituito l’elemento fondamentale per l’unificazione del popolo arabo.