Storia della lingua latina
Il latino e le origini indoeuropee. Il latino è una lingua indoeuropea e dal ceppo indoeuropea ha desunto il sistema della flessione, l’accento melodico e molti elementi del lessico di base, quali i termini relativi ai rapporti di parentela (pater, mater, socer, frater), all’economia, all’organizzazione religiosa e politica (rex, deus, lex, credo, sepelio). Altri elementi, invece, sono derivati dal contatto con le popolazioni dell’Italia antica. Prima dell’arrivo in Italia dei protolatini indoeuropei la penisola era un mosaico di popoli ed idiomi differenti. Ad alcuni popoli di origine pre-indouropea e mediterranea (come i Reti, i Liguri, gli Etruschi, i Piceni e i Sicani) se ne aggiunsero tra il 1400 e il 1000 a.C. alcuni di origine indoeuropea, come i Celti, i Veneti, i Messapi, i Siculi, i Falisci, gli Oschi, gli Umbri e i Sabini. I protolatini si stanziarono tra il IX e il VII secolo a.C. su un colle lungo il Tevere (il Palatino), dando vita a un villaggio denominato Roma che, con l’egemonia politica, impose anche il proprio idioma nelle zone circostanti finendo col soppiantare le altre parlate. Da queste però venne anche influenzato:
- dalle popolazioni pre-indoeuropee derivarono i nomi di piante e di prodotti della zona come abies “abete”, larix “larice”, ficus “fico”, cupressus “cipresso”. vinum “vino”.
- dalla lingua etrusca (non indoeuropea) prese in prestito termini politici e militari come miles “soldato”, veles “vèlite” (soldato con armamento leggero), populus “popolo”, cliens “cliente”, currus “carro”, parma “scudo”; indicanti tecniche e oggetti come cisterna, catena, lanterna, columna “colonna”; o vocaboli del mondo teatrale tra cui histrio “attore” e scurra “buffone”.
- l’alfabeto latino deriva da quello greco calcidico usato a Cuma, a sua volta risalente all’alfabeto fenicio, pervenuto ai Latini attraverso la mediazione dell’etrusco. [per approfondimenti: L’alfabeto e la scrittura dei Romani]
Intorno al VII secolo a.C. la lingua latina era già alla prima fase evolutiva, e manteneva tratti italici come la d finale o i dittonghi oi, ai, au, eu. Una nuova fase evolutiva risale al V secolo, nel quale si definiscono grossomodo le desinenze del genitivo, del nominativo e del dativo.
Il latino arcaico. Il latino nasce come lingua parlata di una comunità dedita all’agricoltura e alla pastorizia, e non a caso molti termini propriamente latini hanno a che vedere col mondo rurale. Tra i tanti esempi riportiamo: pecunia “denaro” derivante a sua volta da pecus “bestiame” (possesso del bestiame = ricchezza), delirare “uscire dal solco dell’aratro”, rivalis che deriva da rivus “ruscello” (dalle liti per confini lungo corsi d’acqua), e sincerus “senza cera” in riferimento al miele sine cera, cioè puro. Prima del III secolo non vi sono testi scritti, ma semplicemente qualche iscrizione o espressioni riportate da autori successivi. Il latino “arcaico” inizia proprio dal III secolo: lo troviamo in Livio Andronico, Plauto (commedie teatrali) e Catone (trattati). Ad esso appartengono gli arcaismi, che verranno usati da autori posteri (come Sallustio o Tacito) che prendono parole da questa fase linguistica.
Il latino classico. Nel I secolo a.C. il latino si normalizza nelle forme classiche (note da Cesare, Cicerone, Tito Livio), che più si avvicinano al latino scolastico di oggi. La pronuncia e l’ortografia si normalizzano, così come una forma prevale su un’altra (forme alternative) e ne compaiono di nuove (infinito passivo e gerundio). Vengono usati sempre meno arcaismi o grecismi, che sopravviveranno nella lingua parlata volgare fino alle lingue romanze: os prevale su bucca “bocca”, equus su caballus “cavallo”, urbs su civitas “città”, pulcher su bellus “bello” ecc. Viene incrementata la subordinazione dei periodi (participio congiunto; cum narrativo).
Il latino tardo. Al latino di epoca imperiale si affianca dal II secolo d.C. il latino cristiano. Il latino perde i caratteri letterari propri del classicismo ma allo stesso tempo la lingua parlata si allontana dalle costruzioni letterarie, frammentando lo stile che va dal frammentato (Seneca, Tacito) al barocco (Apuleio) fino all’emulazione dei modelli classici ciceroniani.
Finora si è parlato per lo più della lingua latina nei suoi usi letterari. Diamo ora un’occhiata alla lingua parlata. Non mancano (in ambito letterario) autori come Catullo o Petronio che cercano di imitare uno stile più vicino al latino colloquiale e dei suoi caratteri tipici come espressioni rapide, spontaneità, ripetizioni, emotività. Vi è una differenziazione anche dal punto di vista del genere letterario: il latino della poesia non è quello della prosa, quello della satira è diverso da quello della poesia amorosa, quello storiografico diverso dall’oratorio ecc.
Non vi è una netta distinzione tra latino parlato dalla gente colta e quello parlato dal popolo, e poteva pertanto capitare che un termine volgare venisse usato nel linguaggio colto e viceversa. Il latino volgare diede un contributo fondamentale a quelle che saranno le lingue romanze: in ambito fonetico cade la vocale post-tonica (calidus diventa caldus, causa diventa cosa), in ambito morfologico cadono i casi a vantaggio di articoli e preposizioni, in ambito morfologico e perifrastico nascono nuove forme.
Lingue neolatine. Il latino parlato sopravvisse alla caduta dell’Impero, particolarizzandosi in ciascuna area posta sotto la sua influenza. Nascono così le lingue neolatine, di seguito elencate geograficamente da ovest ad est: portoghese, spagnolo, catalano, francese, provenzale, franco-provenzale, italiano, sardo, romancio, ladino, friulano, dalmatico, rumeno. Anche il parlato sopravvisse come lingua della Chiesa (latino medievale o ecclesiastico) sino al latino umanistico, che ebbe prestigio come lingua della comunicazione scientifica. Ad oggi lo si può considerare come una lingua morta, dopo l’abbandono dell’uso ecclesiastico seguito al Concilio Vaticano II.
Il fatto che sia una lingua morta non dimostra assolutamente che sia inutile. Anzi, significa che la sua conoscenza è strettamente necessaria per essere consapevoli delle radici della propria cultura, del proprio pensiero e della propria identità culturale, prima ancora della lingua propria.