Rotte, viaggiatori e merci: l’Egitto, da Alessandria a Berenice, tra Impero e mercati indiani
«Dei porti designati sul Mare Eritreo e le città mercato intorno ad esso, vi è dapprima il porto egiziano di Mussel. Quindi, navigando in giù da quel luogo, sulla destra, dopo centodiciotto stadi, vi è Berenice. I porti di entrambe le città sono al confine dell’Egitto, e sono delle baie che si aprono dal Mare Eritreo.» [Periplus Maris Erythraei, 1]
Rotte e percorsi. Le rotte commerciali dell’Impero verso i mercati indiani iniziavano da Alessandria d’Egitto. La priorità delle autorità romane era che i mercanti e le carovane che percorrevano queste rotte fossero adeguatamente sorvegliate con adeguate misure di sicurezza. “Sotto sorveglianza e con le misure di sicurezza” sono anche le parole contenute in un papiro della metà del II sec. d.C.: esso conteneva infatti le clausole di un prestito per un viaggio terrestre e marittimo di andata e ritorno da Alessandria d’Egitto a Muziris, noto centro del commercio romano in India.
Il viaggio iniziava a due miglia da Alessandria, a Iuliopoli, e si svolgeva prima sul Nilo con un’imbarcazione fluviale apposita, fino al deposito pubblico della dogana a Coptos (il punto di distanza più breve tra corso del Nilo e Mar Rosso), da qui poi si attraversava in dodici giorni il deserto orientale caricando le merci sui dromedari, fino al porto di Berenice (o Myos Hórmos) sul Mar Rosso. Le merci venivano di nuovo imbarcate, questa volta su grandi navi, per la navigazione attraverso il Mar Rosso nel mezzo dell’estate, al sorgere della stella Sirio, per uscire finalmente nell’Oceano e sfruttare il monsone. Dopo quasi un anno, si seguiva un identico percorso di ritorno. La difficile navigabilità attraverso i bassifondi del Mar Rosso a nord del 20° lat. era già nota agli Egiziani: in queste zone soffiava infatti tutto l’anno un forte vento da nord che ostacolava il percorso delle navi che risalivano verso il Mediterraneo. Da qui creazione (o la fondazione), più a sud, di vari centri costieri come Myos Hórmos o Berenice, che spostavano la tratta commerciale su un percorso di terra attraverso il corridoio di Coptos nel deserto e la via fluviale inizialmente seguita.
Tariffe e servizi. Le autorità romane sottoposero la regione ad un rigido controllo fiscale-tributario che mirava a tassare le merci e le ricchezze di passaggio verso il cuore dell’Impero. Vediamo quindi le principali testimonianze. La Tariffa di Coptos era una tariffa non doganale, ma di una guida di fine I secolo d.C. sui diritti per i lasciapassare per l’uso dell’importante via per l’India attraverso il deserto orientale e come concorso alle ingenti spese governative per la costruzione ed il mantenimento di cisterne e pozzi, l’esercizio di una sorveglianza e corpi di guardia. Essa teneva conto in modo proporzionale, non al valore delle merci in transito, ma al reddito dei viaggiatori ed ai mezzi di trasporto impiegati, al punto da costringere persone più abbienti a pagare di più rispetto a chi, ad esempio, era solo un semplice marinaio. Dal documento emerge che i principali viaggiatori e frequentatori della tratta erano proprio marinai diversamente specializzati e che erano previste mercanzie come vele, pennoni di navi, che evidentemente venivano utilizzate, dopo l’attraversamento del deserto, ad armare le grandi onerarie in partenza per l’Oceano Indiano. Si ha anche una stima dei flussi commerciali: ad esempio, oltre 120 navi all’anno agli inizi del I secolo d.C. salparono verso l’India dal solo porto di Myos Hormos. Nella tariffa era previsto persino il pedaggio per il trasporto nel viaggio di ritorno di salme mummificate. Un’altro caso è costituito dall’iscrizione di Coptos “ILS 2483”, anch’essa di I secolo d.C., che ricorda la costruzione di cisterne nel deserto orientale e lungo la costa unitamente al restauro di accampamenti militari, evidentemente per il controllo delle cisterne e dei pozzi, strategicamente dislocati a distanze corrispondenti alle tappe dei viaggi notturni delle carovane.
Viaggiatori e mercanti. Vi sono poi le numerose iscrizioni lasciate da vari mercanti romani lungo il percorso nel deserto. Sono nomi noti, che ricorrono nelle fonti letterarie: un’iscrizione contiene il riferimento al nome dello scopritore di Taprobane (l’isola di Ceylon/SriLanka) ricordato da Plinio, Annio Plocamo, ma la datazione non sembra perfettamente corrispondente; altri nomi sono campani, coinvolti nel commercio dei profumi (nardo e basi d’unguento), sempre campani (per l’esattezza di Capua) erano i profumieri Numidii ed uno di loro porta il cognomen di Berillio, proprio come la pietra preziosa che veniva importata dall’India; altri nomi ancora che appaiono nelle epigrafi del deserto sono abruzzesi, di una gens, i Peticii, che si fecero raffigurare in una stele funeraria (conservata oggi al Museo dell’Aquila) con dromedari ed anfore romane.
Merci. Grazie anche ai ritrovamenti di anfore (Fury Shoal, sito posto tra Myos Hormos e Berenice) e agli scavi dei magazzini per merci (horrea), si è potuto avere un chiaro quadro delle merci che partivano e giungevano in Egitto per essere successivamente smistati sul mercato. Dall’Oriente transitavano attraverso Berenice spezie, perle di vetro e di pietra, seta, incenso, mirra, noci di cocco; da occidente schiavi, vetro, grano, vino e corallo rosso, quest’ultimo ricercato e importato dai mercati indiani forse proprio per l’eccessivo sfruttamento di quello mediterraneo. Un archivio di ricevute su ostraka rilasciate a Myos Hormos e Berenice tra il 6 ed il 62 d.C. si riferisce ai traffici da Coptos della casa di spedizioni di un tale Nicanore e figli, documentando per conto di mercanti romani – tra i quali Marco Giulio Alessandro, forse fratello del noto prefetto – il transito di cereali, vino italico (come nel caso di Fury Shoal; ricordato anche da Plinio e Orazio, in India conosciuto come il “dolce vino dei Yauna”), greco, asiatico e forse spagnolo, spezie, vesti, cuoio, legno di tiglio, canapa, lingotti d’argento e persino fiori. Queste rotte rimasero attive per tutta la durata dell’Impero, come testimoniato prima dai ritrovamenti frequenti di anfore tardo-romane di IV/V secolo d.C. e in seguito anche da opere geografico-letterarie come quella bizantina di Cosma Indicopleuste (VI secolo d.C.).
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