Megale Hellas: origine del nome [2/2]
Continuiamo questa seconda parte alla scoperta dell’origine del termine Megale Hellas, ossia Grande Grecia che va a delimitare quella porzione dell’Italia Meridionale (da Cuma a Reggio Calabria fino a Taranto e una porzione della Sicilia), che fu interessata dalla colonizzazione greca agli inizi dell’VIII Secolo a.C. riprendendo proprio da dove ci eravamo fermati nel primo articolo, ossia la figura di Pitagora di Samo poi Crotone.
Una cosa su cui gli storici moderni hanno molto riflettuto ed effettivamente degli elementi ci sono per vedere in un momento particolare della storia delle comunità greche d’occidente un cambiamento di livello e anche di rapporto con chi in quelle terre, occupate dagli apritori greci, era venuto ad abitare. Pitagora in realtà è un personaggio che riesce, per un periodo abbastanza breve della sua vita e nei suoi immediati successori, a fare qualcosa che fino ad allora non era stato fatto. Pitagora è originario dell’isola di Samo, in quel tempo dominata in maniera oppressiva da Policate, un grande tiranno; Pitagora fa parte di quella aristocrazia samia che domina e ad un certo punto decide di andare in esilio o in qualche maniera riesce a fuggire dalla tirannide e si rifugia a Crotone, colonia di grande importanza ma che aveva da poco subito una gravissima sconfitta ad opera degli abitanti di Locri Epizefiri. Egli arriva in un momento di grande crisi per la polis e riesce a creare tutta una serie di strutture che rendono coese tutte le componenti sociali, che in quel momento erano l’una contro l’altra. Crea luoghi dove ci si riuniva tutti senza distinzioni.
“Nella Megale Hellas Pitagora persuadeva coloro che la abitavano a dividere i loro possessi”.
Schol. Plat., Fedr. 279c
Questo segna la fine di quella distinzione che fino a quel momento aveva creato, in quel momento storico, alla fine del VI Secolo a.C., i nuovi presupposti della loro decadenza poiché c’era una crisi tra classi dominanti e classi subalterne. Le terre non erano state divise tutte in modo uguale e dunque erano affiorate delle vere e proprie aristocrazie che dominavano le singole città e dunque Pitagora fa questo esperimento comunitario che va abbastanza di moda alla fine del VI Secolo a.C. con tutte le figure importanti (tiranni, legislatori, ecc.…), che si fanno carico di grandi tensione di carattere economico e sociale e chi in un modo chi in un altro cercano di mettere ordine in questa società in forte trasformazione.
Uno dei possibili sistemi è quello di ritornare all’origine della vita comunitaria, un po’ stile spartano, dove non esistono delle aristocrazie di rango ma si ottiene la fama grazie alle proprie capacità mettendo tutto in comune. È una sorta di rifondazione di Crotone che, nel giro di due generazioni, riuscirà a ribaltare la propria posizione e da città sconfitta e messa in grande crisi dopo la battaglia del fiume Sagra diventerà invece, nel 510 a.C., la città che riuscirà ad abbattere la potenza di allora, la città di Sibari, nonostante fossero entrambe di fondazione achee ma che si fronteggiano il pezzo di terra coltivabile della Calabria ionica dove sono poche le terre fertili. Divise anche da tutta una serie di distinzioni di valori, chi più aristocratico tra i crotoniati, chi più demagogico tra i sibariti, ma la possibilità da parte di Crotone di sconfiggere la rivale sarà grazie a questa ritrovata coesione sociale che viene istituita grazie alla figura di Pitagora.
Cicerone, è forse il più grande divulgatore di filosofia al mondo: nelle “Tusculanae disputationes” fa una digressione su Pitagora
“quando nell’Italia la Grecia fu florida di città potentissime e grandi, e perciò prese il nome di Magna Graecia, in queste furono tenute in gran conto dapprima il nome di Pitagora e quindi quello dei Pitagorici”.
Cic., Tusc., 4,2
Cicerone, dice la stessa cosa che dice anche Giustino, però sintetizza il concetto che poi avrebbe preso Giamblico. Come sempre risulta geniale, perché da un lato ci dice Magna Grecia con le città di cultura greche che sono potentissime, però dall’altra vi è anche la superiorità intellettuale delle stesse comunità grazie alle figure di Pitagora e i suoi seguaci, molto famosi in Magna Grecia. La fama di Pitagora, per un romano è una cosa abbastanza nota perché il mondo arcaico è un mondo molto coerente in quanto non ci sono Greci, Romani, Indigeni, Etruschi ma ci sono i Greci, Romani, Etruschi e Italici… che tra loro ogni tanto dialogano e fanno la guerra ma tra loro esiste un modo che è molto più globalizzato di quanto si possa immaginare. Il secondo re di Roma, Numa Pompilio, veniva considerato seguace di Pitagora perché è colui che dà le norme religiose, culturali; nel IV secolo a.C. nel cuore di Roma, nel luogo del Comizio, vengono erette delle statue di personaggi non romani: uno è il condottiero Ateniese, Alcibiade, mentre l’altro è Pitagora. Il primo è considerato il massimo dei condottieri militari anche se non ha vinto mai nulla e ha creato molti problemi ad Atene mentre il secondo è considerato il più sapiente tra i greci, quindi per un romano accettare l’idea che la Megale Hellas fosse stata unificata culturalmente e in parte politicamente da una figura come Pitagora ci stava perfettamente bene e Cicerone sintetizza la cosa nella tua testimonianza. Pitagora però viene ricordato più come geometra, grazie al famoso teorema di Pitagora (la somma della superficie dei quadrati costruiti sui cateti è uguale alla superficie del quadrato stesso). Ma la cosa interessate di quello che chiamiamo teorema di Pitagora e che viene applicato alla geometria ci viene spiegato da Giamblico, e dice che un giorno Pitagora arrivò all’assemblea dei Crotoniati che erano divisi tra loro e gli fa questa dimostrazione del teorema, ma che non è una dimostrazione geometrica ma bensì politica, cioè vi è una sintesi possibile tra due realtà apparentemente diverse tra loro.
Il fatto anche di aver aperto, lui per primo, la scuola non solo ai greci ma anche agli indigeni è una novità: uno degli scolarchi, cioè i successori di Pitagora, e che si occupa di trasmettere quel sapere ad altri studenti, uno dei primi si chiama Ocello Lucano (Ocellus Lucanus), la cui origine per gli antichi era considerata barbara, e ad un certo punto diventa il capo della scuola pitagorica. Eppure in quel caso le porte, nel nome della cultura, erano aperte anche agli stranieri con una forte idea di integrazione di tipo politico-culturale che nel mondo greco è rarissimo essendo un mondo chiuso dal punto di vista culturale e intrusivo in quanto nessuno poteva diventare cittadino ad esempio di Atene se non nasceva da cittadini già ateniesi. Quindi il fatto di poter aprire le porte come fa Pitagora ad esterni segna una rivoluzione reale all’interno del mondo greco ma anche della stessa società crotoniata, molto chiusa, oligarchica con poche famiglie aristocratiche e questo rappresenta certamente qualche cosa che è considerato dirompente nella tradizione al punto che si associa quello che è certamente stato il momento di maggior splendore delle città greche d’occidente, visto che siamo nel momento precedente all’arrivo di queste nuove popolazioni, al momento in cui Sibari arriva a fondare le sub-colonie come Paestum. Le navi greche solcano tutto il mediterraneo orientale e occidentale, partono dai porti dell’Italia meridionale. Ma accadrà qualcosa dopo la caduta di Sibari, nel quale sorgeranno nuove popolazioni, comincerà ad emergere una città che si trova nel centro dell’Italia e che si chiama Roma e che comincerà immediatamente a premere verso il sud e quel mondo che si era unificato e consolidato al tempo di Pitagora inizierà a non esistere più. Inoltre la figura di Pitagora non ha nessun rapporto con la Sicilia e anche questo elemento spezza le due entità; i pitagorici ci sono a Roma.
Un’altra testimonianza e che non va a rompere il massimo splendore delle città coincidenti con il periodo in cui opere Pitagora a Crotone è data da Strabone di Crotonea, geografo che scrive sotto l’imperatore Augusto e che crea la sua opera dal titolo “Geografia”, un trattato che parla di geografia politica. Egli descrive il mondo ai nuovi potenti, e nel suo libro VI, dedicata alla parte meridionale dell’Italia
“I tiranni di Sicilia e più tardi i Cartaginesi, che erano in guerra con i Romani per il possesso ora della Sicilia, ora per la stessa Italia, causarono dolori a tutti coloro che lì risiedevano, ma soprattutto fecero questo ai Greci, i quali a cominciare già dai tempi della Guerra di Troia, si erano impadroniti sia di gran parte dell’entroterra, accrescendosi a tal punto da chiamare questa terra “Megale Hellas”, sia della Sicilia”.
Strabone 6,1,2
Oltre a parlare dello scontro tra greco-romano-cartaginese, Strabone dice anche che vi è stata una progressiva crescita economica, tecnologica, politica delle comunità della Sicilia e dell’entroterra al punto che quella zona viene chiamata Megale Hellas. L’altra cosa interessante che dice è che i greci avevano cominciato a dominare sia l’Italia che la Sicilia dall’epoca della Guerra di Troia, ed è questo il punto che Strabone seguirà in tutta la sua narrazione perché in ogni punto in cui si incontrerà la storia di città fondate ex-novo dai greci troveremo sempre un riferimento a qualcosa di mitico che riguarda il viaggio di coloro che tornano dalla Guerra di Troia (Ulisse) e che vengono sbattuti in vari punti del mediterraneo, in luoghi dove poi sorgeranno città fondate da loro discendenti. Questo significa rivendicare la proprietà di quel luogo sottraendolo alle popolazioni indigene locali e per giustificare si vanno a riprendere storie lontane nel tempo e che in alcuni casi anche la testimonianza archeologica testimonia nei siti scavati e che rimandano ad una pre-colonizzazione di epoca micenea. Esiste quindi una discontinuità tra i vari periodi di colonizzazione ma qualche cosa è confluita nelle tradizioni epiche, come quella che si definisce la tradizione dei portolani, coloro che indicano la rotta, dunque la necessità di conoscere le rotte, le coste, i pericoli di certe zone rispetto ad altre è sempre stata una costante di qualunque periodo storico nel quale si volesse intraprendere un viaggio marittimo. Può essere quindi ragionevole pensare che certe tradizioni si siano trasmesse nel tempo e poi catalizzata da quel luogo e quella figura centrale che è l’Apollo Pizio di Delfi. Quella che sotto la forma di profezia, sentenze che devono essere interpretate, effettivamente, indica le strade a quelle città fondate sulla base delle sentenze. In alcuni casi poteva verificarsi che queste sentenze erano mal interpretate e che portava all’aborto della colonia sbagliando posto, il che deve portante comunque ad una conoscenza, anche se generica, dei luoghi sapendo che c’è un fiume, delle montagne, ecc. Un altro fenomeno invece è quello della proto-colonizzazione, ben diversa dalla pre-colonizzazione: ad esempio nella piana di Sibari, zona ben investigata e descritta dagli storici antichi, si sa che prima dell’arrivo dei coloni, nella pianura che sarà poi contesa con Crotone, esistevano delle località abitate da indigene situate in luoghi di dominanza. Nel comune di Trebisacce sono venute alla luce una serie di cocci che si datano X-IX Secolo a.C. quindi non siamo più proiettati nel lontano mondo della Guerra di Troia, siamo proiettati in un periodo di oggettiva trasformazione tra il miceneo e il geometrico e tra i primi segnali di ripresa delle comunità greche che si sono sottratte alla decadenza micenea ci sono le ceramiche presenti sulle coste dell’Italia Antica e molti di questi cocci, che appartengono a due tre generazioni prima della colonizzazione, appaiono prima ed è dunque certo che è esistito un periodo in cui sono stati compiuti dei viaggi di conoscenza, scambi tra mondo greco e area occidentale del mediterraneo che hanno portato alcune comunità a conoscere questi luoghi. Questo anche grazie a quelle famiglie ricche che erano in grado di poter permettersi di armare navi con le quali effettuavano scambi commerciali con queste popolazioni favorendone la conoscenza. Molto spesso oggetti della proto-colonizzazione si trovano in tombe molto ricche indigene, facendo pensare ad uno scambio tra élite.
In conclusione, il nome Megale Hellas risponde a tutte quelle città fiorenti culturalmente, tecnologicamente ed economicamente superiori alle civiltà indigene ma anche unite da una coesione di carattere culturale che certamente fa sì che queste comunità siano considerate superiori non solo nel loro luogo ma addirittura anche dalla madrepatria da cui provengono. Questa superiorità culturale è in qualche modo riassunta dalla figura di Pitagora di Samo e poi Crotone.