L’immagine negativa del lupo nella tradizione culturale medievale
Il lupo sin dall’antichità, come testimoniato da fonti greche e latine, era stato considerato come un animale pericoloso, ma le sue vittime erano soprattutto altri animali tra cui le pecore. Nell’arte romana, il lupo è nella maggior parte dei casi rappresentato come un animale mansueto, proprio come la lupa del mito di Romolo e Remo, una delle immagini più note della leggenda delle origini di Roma. Questa visione però cambia bruscamente con l’inizio dell’età medievale, che ne accentua i lati negativi e contribuisce a darne un’immagine molto diversa: il predatore viene visto come una bestia antropofaga, che divora gli uomini, ne assalta città e case, aggredisce chi tarda dal lavoro dei campi e i vagabondi, e che addirittura divora i bambini (la favola di Cappuccetto Rosso ne costituisce un ottimo esempio).
Da dove nasce questo cambiamento? Premettendo che è molto difficile stabilirlo con precisione vediamo di fare un’analisi dell’ambiente – spaziale e non – medievale. Sicuramente gli spazi umani regredirono a vantaggio della selva: per tutto il Medioevo, da tutta Europa, si rincorrono veri e propri “bollettini di guerra” che riportano notizia di aggressioni di lupi. La diffusione del lupo poi, essendo legata ad una maggiore presenza del selvatico, mette in luce il quadro ambientale-spaziale tipico dell’Alto Medioevo: un’Europa in gran parte spopolata, le cui zone coltivate e abitate arretrano di fronte all’incolto, nella quale il confine “simbolico” tra spazio sicuro (insediamenti umani, ossia le città) e spazio insidioso (bosco, foresta) tende a scomparire. Non è da escludere ad ogni modo che vi furono delle vere e proprie migrazioni di branchi di lupi, al pari di quelle umane, dal nord o dall’est. Il lupo diventa una delle grandi paure dell’uomo medievale, e questa paura prende tutti, senza alcuna distinzione di classe. Le tracce di questa paura sono ancora oggi riscontrabili nella toponomastica: in Italia, ad esempio, sono numerosissimi i nomi dei paesi che rimandano alla presenza di questi animali.
Per i contemporanei di Carlo Magno l’immagine del lupo acquisisce una valenza soprannaturale fino a diventare un simbolo assoluto del male. In una visione del mondo molto impregnata dal cristianesimo, anche un’interpretazione letterale biblica – come ad esempio la figura del “Buon Pastore” che protegge il suo gregge dai pericoli esterni – si prestava nella mentalità dell’epoca a giustificare una rilettura simbolica del lupo. Così il lupo diventa l’immagine dell’eretico, ossia di colui che minaccia la diffusione dell’ortodossia e che mina l’unità e la compattezza del “gregge”, fino ad incarnare l’equivalente animale del diavolo, il male per eccellenza: la stessa azione del lupo (che attacca il gregge e/o l’uomo penetrando nelle città e nelle case) diventa analoga a quella del diavolo (che nella quotidianità porta via le anime dei cristiani verso la dannazione).
Questa credenza non manca di avere conseguenze anche pratiche, come ad esempio il divieto imposto di non mangiare carni lupate, cioè di animali dilaniati da lupi: per quanto dettata da ragioni igieniche, sembra che questa raccomandazione nasca anche per timore di una possibile contaminazione del diabolico. La conseguenza maggiore di fronte a questi rischi – reali o simbolici che siano – viene presa dal potere: combattere il lupo. Vediamo a titolo esemplificativo alcuni di questi provvedimenti. L’articolo 69 del Capitulare di Villis, un provvedimento con cui Carlo Magno impartiva istruzioni sull’amministrazione delle terre del pubblico demanio:
«Vogliamo essere costantemente aggiornati su quanti lupi ciascuno abbia catturato, e che ci vengano mostrate le pelli degli esemplari uccisi; inoltre, a maggio bisogna ricercare a tutto campo i cuccioli di lupo e catturarli, tanto con veleno ed esche, quanto con fosse e cani.»
Le istruzioni dell’imperatore vennero puntualmente eseguite: in una lettera del vescovo Frotario, questi, rivolgendosi a Carlo, si vantava del fatto che:
«Da quando ho preso possesso della diocesi, ben 240 lupi sono stati catturati sotto il mio personale comando.»
I Franchi non furono però i primi a prendere provvedimenti in merito. Già un secolo e mezzo prima la questione veniva già affrontata dai Longobardi nell’Editto di Rotari e più in generale nei codici delle principali popolazioni germaniche (Sassoni, Alemanni) e gotiche.
Tutti questi codici prevedono ricompense per chi ucciderà un lupo, specificano nei particolari le trappole da utilizzare e allo stesso tempo colpiscono duramente (con pene pecuniarie) chi ucciderà un cane da pastore, poiché esso azzanna i lupi. Non mancano pene anche per chi occulta le carogne degli animali uccisi da un lupo per impossessarsi della pelliccia:
«Colui che per prenderne la pelliccia si impossessa di un animale non suo, ucciso da un lupo, e poi ne occulti la carogna, sia condannato al pagamento di 12 solidi.»
I grandi feudatari e i nobili nelle loro residenze di campagna hanno stabilmente uno o più lupari incaricati di catturare le belve così come a volte non mancano attestazioni di vere e proprie spedizioni di caccia al lupo che coinvolgono intere città.
Oggi non vi sono più battute di caccia del genere ed il lupo è in via di estinzione. Ma da bambini, chi è che non ha mai tirato un sospiro di sollievo quando Cappuccetto Rosso viene salvata dal cacciatore che uccide quel “maledetto” lupo cattivo?
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