Le prime istituzioni della Repubblica a Roma
In questo articolo, a cura del prof. Giovanni Pellegrino, prenderemo in considerazione le prime istituzioni della repubblica a Roma.
La fine della monarchia fissata dalla tradizione nel 509 a.C. fu senza dubbio un passaggio delicato non dovuto a quello che racconta la legenda. Infatti, gli storici avanzano notevoli dubbi sul modo in cui la tradizione racconta il passaggio dalla monarchia alla repubblica. In primo luogo, esiste una tradizione che vorrebbe Porsenna vincitore e padrone per un certo tempo di Roma nonché indurrebbe a dissociare la sua vicenda dal disegno di restaurazione dei Tarquini. In secondo luogo, il permanere di una funzione religiosa designata come “rex sacrificulus” indurrebbe a pensare che l’instaurazione della repubblica sia stata un processo lento ed indolore avvenuto per svuotamento progressivo dei poteri regali.
Vedremo ora quali furono le prime istituzioni della repubblica cominciando dai pretori e dai consoli. La tradizione ci riporta notizia del fatto che il supremo magistrato aveva in origine il nome non di console ma di pretore: dei tre pretori originari due ebbero l’incarico di comandare l’esercito e furono appunto i consoli mentre il terzo che conservò il nome antico fu addetto alla giurisdizione civile in città. Il potere dei due consoli reciprocamente limitato era assoluto fuori dal pomerio mentre in città ogni cittadino conservava contro l’eventuale sentenza di condanna a morte da parte dei consoli il diritto di “appello al popolo”.
Subordinati ai consoli e pretori erano i questori incaricati dell’amministrazione finanziaria della città. In momenti di emergenza poteva essere nominato un magistrato con pieni poteri e per un massimo di sei mesi ovvero il dictator. Inoltre la storia di Roma è segnata dalla lotta secolare della plebe per l’acquisizione di diritti e poteri. Tale lotta portò a varie conquiste da parte della plebe ovvero l’istituzione dei tribuni degli edili e dei “concilia plebis”.
All’inizio del V secolo a.C. è da collocarsi l’istituzione dei tribuni della plebe ovvero una magistratura rivoluzionaria incaricata di contrastare il volere dei consoli e del senato. A tale scopo i tribuni dovevano vedersi riconosciuta l’inviolabilità personale e il diritto di veto. Il diritto di veto era la possibilità del divieto che i tribuni della plebe potevano porre all’applicazione delle leggi e dei decreti del senato. Inoltre, ciascun tribuno poteva esercitare il veto sulle proposte di legge dei colleghi. Anche l’amministrazione finanziaria delle risorse della plebe ebbe referenti specifici gli edili che successivamente vennero trasformati in funzionari dello stato.
La plebe si dotò inoltre di una propria assemblea i concilia plebis ricavati da una organizzazione per tribù di carattere territoriale che eleggeva i tribuni della plebe. Le decisioni prese dai concilia plebis vennero dette plebisciti che all’inizio erano efficaci solo per l’ordine plebeo ma poi dal III secolo a.C. divennero validi per l’intera comunità. Mentre i concilia plebis erano composti esclusivamente di plebei un’altra assemblea, i comizi tributi comprendeva plebei e patrizi. I comizi tributi erano un’assemblea sempre organizzata per tribù ed eleggeva edili e questori. Proprio una conquista della plebe ovvero l’adozione di un codice di leggi scritte ovvero le XII tavole provocò verso la metà del V secolo una grave crisi istituzionale. Infatti, la commissione incaricata di redigere il codice ovvero i decemviri rischiò di trasformarsi in una oligarchia con potere assoluto.
Le leggi delle dodici tavole costituiscono il più antico documento che possediamo anche se in una forma rimaneggiata rispetto all’originale. Esse prendono il nome dalle tavole di bronzo che erano collocate nel foro. Tali tavole ci offrono la documentazione di un diritto elementare che non esitava a comminare la pena di morte per numerosi delitti. Il primo nucleo normativo codificato dalle dodici tavole era costituito da Mores Maiorum ovvero “le tradizioni degli antenati”. Le leggi delle dodici tavole costituiscono anche un importante testimonianza linguistica benché i frammenti che possediamo da varie citazioni non sempre abbiano conservato la forma originale. Le dodici tavole costituirono per secoli la base fondamentale dello stato di diritto romano al punto da essere citate e imparate a memoria nelle scuole. Colpisce il lettore moderno la violenza delle punizioni proposte e soprattutto la presenza della legge del taglione secondo la quale chi ferisce o mutila un uomo deve subire la stessa mutilazione. La tradizione ci offre molti particolari sulla composizione di queste leggi che si fanno risalire agli anni 451-450 a.C.
Furono nominate dieci personalità i decemviri che si assunsero il compito di elaborare le regole che dovevano valere per tutti. Ma in un’ottica storico-culturale l’elemento più interessante è quello riportato da storici quale Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso. Egli afferma che durante i lavori della commissione fu inviata una delegazione ad Atene per trarre spunti dalle leggi elaborate da Solone, il famoso uomo di stato e poeta vissuto tra il VII e il VI secolo a.C. Questo particolare conferma anche nella elaborazione di un documento fondante dello stato romano l’influenza della cultura greca. Detto ciò, riteniamo concluso il discorso sulle XII tavole. Ma le conquiste dei plebei non si fermarono alla elaborazione delle XII tavole.
Infatti, successivamente la “lex Canuledia” abolì il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei e nel 367 le leges Liciniae Sextiae ammisero l’accesso della plebe al consolato dopo un periodo in cui i consoli erano stati aboliti e sostituiti dai cosiddetti tribuni militari con potere consolare. Alla fine del IV secolo la plebe entrò nei collegi dei pontefici e degli auguri e infine nel 287 “Lex Ortensia” riconobbe valore di legge ai deliberati delle assemblee della plebe. Nel frattempo, l’asse del potere a Roma si era spostato da una dinamica di nascita a una di cenzo grazie all’ordinamento per centurie che divideva i cittadini in cinque classi secondo la capacità economica di prestare servizio militare. Tuttavia, dobbiamo dire che la prima classe aveva da sola la maggioranza nelle votazioni. Anacronisticamente attribuita a Serbio Tullio la riforma centuriata è da collocarsi quasi sicuramente tra il V e il IV secolo a.C.
I comizi centuriati ossia le assemblee dei cittadini in armi si riunivano nel Campo Marzio e avevano in origine la facoltà di eleggere tutti i magistrati più importanti e di votare le leggi. Inoltre, avevano una loro competenza esclusiva riguardante la dichiarazione di guerra. Col passare del tempo si perse il collegamento tra esercito e assemblee ma i comizi centuriati conservarono le loro funzioni elettive e deliberative. Per l’accertamento del censo assunse grande rilievo la nuova magistratura della censura alla quale fu anche affidato il compito di redigere le liste dei senatori. Questo ordinamento spiega come le faticose vittorie della plebe non abbiano mai fatto di Roma uno stato democratico ma piuttosto uno stato in cui l’oligarchia imperante poteva aprirsi alla cooptazione di ricche famiglie plebee nel senato. Il senato per quanto ancora dotato nominalmente di funzione consultiva acquisiva sempre più rilevanza e centralità nella guida politica dello stato. La parte dei ceti inferiori continuò una lotta sorda destinata a cristallizzarsi in pochi episodi drammatici mentre i provvedimenti della classe dominante nei loro confronti avevano un carattere paternalistico. Per fare degli esempi di tale carattere paternalistico citeremo la fondazione di alcune colonie, la concessione di una legge che poneva i limiti all’assegnazione dell’agro pubblico nonché di un’altra legge che abbassava gli interessi sui debiti e il potere del creditore sul debitore insolvente. Detto ciò, riteniamo concluso il nostro discorso sulle prime istituzioni della Repubblica a Roma.