Le donne romane e il potere
Nel corso della storia romana vi sono molti esempi di donne di elevata condizione sociale e culturale che svolsero un ruolo importante non solo nella famiglia, ma anche nella vita politica, anche se indirettamente: per esempio Cornelia (madre dei tribuni della plebe Gaio e Tiberio), Clodia (la ‘Lesbia‘ di Catullo, sorella di Clodio, tribuno della plebe, avversario di Cicerone, poi ucciso da Milone), Fulvia (moglie di Clodio, poi di Gaio Scribonio e infine di Marco Antonio). La vita politica era tuttavia preclusa in via ufficiale alle donne, che non potevano ricoprire incarichi pubblici, non potevano partecipare alle assemblee e pertanto non potevano votare l’elezione dei magistrati. Così come la carriera politica, anche quella forense non era intrapresa dalle donne, e solo in rari ed eccezionali casi si hanno delle donne che si difendono da sole nei processi. Valerio Massimo in tal senso è molto sbrigativo:
«Che hanno a che vedere le donne con la politica? Nulla, se si vuol conservare la tradizione antica.»
Le tradizioni antiche non mancarono di esercitare il proprio fascino anche all’inizio dell’età imperiale: in età tiberiana ad esempio, il senatore Severo Cecina, si trovava nelle condizioni di proporre in assemblea che alle donne fosse impedito di seguire i propri mariti inviati come magistrati nelle province:
«[…] perché la donna non solo è debole e impari nelle fatiche, ma, se è presa dalla sfrenatezza, è esigente, intrigante, assetata di potere.» [Tacito, Annales, III, 33]
La proposta di Cecina fu comunque respinta dalla maggioranza dei senatori, con le seguenti motivazioni:
«Quale conforto è più dolce a chi ritorna affaticato di quello che la moglie può offrire? […] Se la donna non ha più il senso della misura, la colpa è del marito […] Il vincolo matrimoniale si conserva puro a fatica, per la presenza e la sorveglianza del marito: che cosa avverrebbe se per parecchi anni esso venisse posto in oblio, come se vi fosse stato un divorzio?» [Tacito, Annales, III, 34]
L’influenza che alcune donne riuscirono ad esercitare nella sfera pubblica fu sempre mediata dagli uomini a cui erano legate a seconda del tipo di relazione (madri, mogli, amanti): esse dovettero accontentarsi del successo o delle realizzazioni dei mariti. Come disse Plinio il Giovane:
«Mia moglie non è innamorata della mia giovinezza o delle mie qualità fisiche, ma delle mia gloria.» [Plinio, Epistole, IV, 19]
La somma aspirazione di una donna che sembra emergere è quella di una ‘spettatrice’ della vita altrui, che al massimo può contribuire al buon esito di alcuni eventi: usando le parole dello studioso C. Petrocelli, la più elevata cancellazione femminile era quella dei connotati della propria fisionomia, un requisito richiesto sia alla sposa che alla madre modello, che ne faceva una donna e una compagna di vita perfetta.
La tradizione storiografica ha tramandato immagini positive di alcune imperatrici romane, come Plotina (moglie di Traiano) o Faustina (moglie di Antonino Pio), ma spesso le figure femminili si contraddistinguono per il loro agire perverso e occulto, il che ne fa le partecipanti ideali di intrighi e congiure. La partecipazione di una donna ad una congiura diventa per certi versi un vero e proprio topos letterario e storico-narrativo, così come l’accusa di veneficio (avvelenamento) e stregoneria nei confronti delle donne, come la Canidia di Orazio e le donne delle satire di Marziale e Giovenale.
Alcune delle donne che furono (indirettamente) attive nella politica e nelle trame e negli affari della corte imperiale hanno un ritratto molto negativo. Prendiamo ad esempio i ritratti femminili in Cicerone. Nell’orazione In difesa di Cluenzio è menzionata più volte Sassia, che sarebbe autrice di delitti e congiure familiari. Bersaglio che però non può mai competere con Clodia, moglie del suo avversario politico Quinto Metello Celere; nell’orazione In difesa di Celio, nella quale Celio è accusato di aver tentato l’avvelenamento della sua ex amante, Cicerone l’accusa a sua volta di essere la protagonista di intrighi di ogni tipo, descrivendola come una donna estremamente lussuriosa che ha relazioni con chiunque alla luce del sole senza curarsi della reputazione sua e della sua famiglia.
Sallustio, in un famoso ritratto dei partecipanti alla congiura di Catilina, descrive la nobile Sempronia come una donna colta, intelligente e bella ma allo stesso tempo lasciva e corrotta, incline pertanto ad ogni vizio e priva di dignità. Il giudizio morale in questi casi viene a coincidere con la condanna politica, oltre che dal consueto pregiudizio nei confronti delle donne emancipate e spregiudicate nelle loro relazioni.
In età imperiale molte altre donne furono coinvolte in intrighi di palazzo. Agrippina Maggiore, moglie di Germanico, ne subì in prima persona le conseguenze: dopo la morte del marito cadde in disgrazia presso l’imperatore Tiberio e fu esiliata a Ventotene, dopo la diffusione di uno scritto anonimo diffamatorio che la screditò ulteriormente, dove si lasciò morire di fame. Alla figlia, Agrippina Minore, sorella di Caligola e madre di Nerone, non andò meglio. Di lei ne viene innanzitutto tracciato un ritratto negativo dalla tradizione storiografica:
«Per lei la dignità, la verecondia, il rispetto al proprio corpo, qualunque cosa, avevano un prezzo più vile che il possesso di un regno.» [Tacito, Annales, XII, 65]
Moglie dell’imperatore Claudio in seconde nozze, già secondo molti suoi contemporanei lo avrebbe avvelenato per favorire al trono l’ascesa di suo figlio Nerone, venendo a sua volta fatta assassinare proprio da lui. Altre protagoniste negative del periodo divennero veri e propri modelli di corruzione e dissolutezza femminile, come Messalina, prima moglie di Claudio, o Poppea Sabina, che fu al centro di numerosi scandali: prima amante e poi moglie di Nerone, lo istigò ad uccidere sia la madre che la prima moglie Ottavia, venendo infine da lui stesso uccisa.
«[Poppea] Questa donna ebbe tutte le doti, tranne quella di un animo onesto… non si curò mai di avere una buona fama, nonché di fare alcuna distinzione fra mariti e amanti» [Tacito, Annales, XIII, 45]
[X]