Le colonne di Costantinopoli [1]: la Colonna dei Goti
La Colonna dei Goti si trova nei pressi dell’attuale Topkapi, e si presenta come un monumento isolato, anche se in età bizantina era solo uno dei tanti monumenti – quasi tutti andati perduti, tranne i pochi interrati e conservati nell’area di Gulhane – che ne decoravano l’acropoli. La Colonna, uno dei monumenti romani più antichi presenti ad Istanbul, è scolpita nel granito, è alta 15 metri ed è sormontata da un capitello corinzio. La sua denominazione è dovuta all’iscrizione presente Fortunae reduci ob devictos Gothos, che ne ha appunto fatto attribuire la datazione al 332, anno nel quale l’imperatore Costantino avrebbe conseguito una brillante vittoria contro i Goti invasori; altri studiosi la fanno risalire invece ad un periodo leggermente anteriore, al regno di Claudio il Gotico (III secolo d.C.) . In realtà l’iscrizione commemorante la sconfitta dei Goti non è la più antica: l’iscrizione tradizionalmente collocata nel 332 è stata infatti ottenuta su un’altra iscrizione epigrafe latina preesistente, forse risalente all’età di Pompeo e delle guerre mitridatiche. Secondo l’autore bizantino Niceforo Gregora in origine sulla sua sommità vi era una statua del fondatore di Bisanzio, Byzas di Megara. Tornando all’età proto-bizantina (V secolo d.C.), si sa con certezza che in cima alla colonna vi era una statua della dea Fortuna (Tyche) di Costantinopoli, che la tradizione riconosceva all’atto della fondazione come divinità gemella della Fortuna (Flora) di Roma. La Colonna, posta nel punto più alto dell’acropoli, era visibile ai navigatori che provenivano sia dal Bosforo che dal Mar di Marmara.
Intorno alla Colonna e alla sua statua, stando al racconto del cronista bizantino Giovanni Zonara (1118-1150), si era sviluppata una leggenda:
«Si dice che ai tempi dell’imperatore Anastasio [491-518] da qualche parte della città vi fosse collocata una statua bronzea della Sorte (Tyche) della Città, rappresentata come una donna, con un piede appoggiato su una nave di bronzo che le stava davanti. Da questa imbarcazione, per l’ingiuria del tempo o per qualche intento criminale, si erano staccati alcuni pezzi; e le navi da carico, a questo punto, non riuscivano più ad approdare a Bisanzio, ma quando arrivavano nelle vicinanze erano trattenute da violenti venti contrari. La Città avrebbe presto patito la fame, addirittura, se non si fosse fatto ricorso a navi da guerra, che a forza di remi riuscivano a trasportare in città il carico delle barche mercantili. Questo fenomeno, che non accennava a interrompersi, finì per suscitare gli interrogativi di quanti avevano a cuore il bene comune, e uno di loro ne sospettò la causa e la riferì ai magistrati cittadini. Dopo una ricerca si ritrovarono le parti di quella nave che si erano staccate, e dal momento in cui furono debitamente ricollocate e fissate, la navigazione non presentò più problemi per le imbarcazioni, e il mare era pieno di navi che entravano in porto. Comunque, per accertare se era stato davvero questo a impedire l’approdo delle barche, tolsero nuovamente le parti di quella nave, e tutti i natanti che stavano entrando in porto furono ancora una volta respinti indietro dalla forza del vento. In seguito a ciò si accertarono che l’impedimento all’approdo delle navi da carico derivava proprio dai guasti subiti da quella nave di bronzo, e la restaurarono giudiziosamente.»
La colonna è ricordata anche nei diari dei viaggiatori W. M. Thackeray (1844) e T. Gautier (1852):
«Abbiamo avuto l’opportunità […] di ascoltare la musica del sultano su una bella spianata verde dietro le mura del serraglio, dove si trova una colonna solitaria, eretta in memoria di una qualche trionfo di un qualche imperatore bizantino»
«In mezzo a un ciuffo di alberi di erge una colonna scanalata e sormontata da un capitello corinzio che fa un effetto incantevole e viene indicata come di Teodosio, attribuzione di cui non sono abbastanza competente da discuterne il valore. La cito perché a Costantinopoli il numero delle rovine bizantine è molto ridotto. La città antica è scomparsa senza quasi lasciare traccia. I ricchi palazzi della dinastia greca, dei Paleologhi e dei Comneni, sono svaniti, le loro colonne di marmo e porfido sono servite a costruire le moschee e le loro fondamenta, ricoperte dalle fragili baracche musulmane, si sono cancellate a poco a poco sotto la cenere degli incendi. A volte si ritrovano, incastonati in un muro, in un capitello, in un frammento di torso infranto, ma niente che abbia conservato la sua forma originaria. Bisogna scavare per portare alla superficie qualche rovina di Bisanzio»
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Fonti: S. Ronchey, T. Braccini, Il romanzo di Costantinopoli – Guida letteraria alla Roma d’Oriente, 2010; T. Buttner-Wobst, G. Zonara, Ioannis Zonarae Epitomae Historiarum libri XVIII, 1897; M. A. Titimarsh, Notes on a Journey from Cornhill to Grand Cairo, 1846; M. Levy Freres, T. Gautier, Constantinople, 1853.