Le bevande nell’Antico Egitto
In Egitto, come in tutti i paesi dal clima torrido, dissetarsi era di grande importanza. Il vino lo bevevano in genere le classi ricche, mentre la birra, diffusissima, era la bevanda preferita dalla gente comune. Anche il latte era una bevanda quotidiana molto apprezzata.
Il consumo di vino era molto diffuso nell’antico Egitto, soprattutto tra le classi alte. Le principali zone di produzione si trovavano nell’area del Delta e nelle oasi occidentali. Il suo colore dipendeva sia dall’uva utilizzata che dal tempo di fermentazione. Nel Medio Regno (2040-1786 a.C.) particolarmente importanti furono altri centri di produzione come quello di Tell el-Farain. Durante il Nuovo Regno (1552-1069 a.C.), ebbe larga diffusione anche il vino proveniente dall’oasi di el-Kharga. Naturalmente si importava anche vino dal Medio Oriente, come risultato delle campagne militari dei faraoni della XVIII dinastia (1552-1305 a.C.). Oltre al vino, c’erano altre bevande alcoliche, ottenute dalla fermentazione di bacche e frutti come, per esempio, i melograni e i datteri. È il caso dello shedeh, un liquore noto per provocare stati di ebbrezza, molto famoso, diffuso e apprezzato soprattutto durante il Nuovo Regno. Non conosciamo la sua composizione, per quanto alcuni autori lo identifichino con il sidro di melograno. Dalla palma del dattero, invece, veniva estratto il vino di palma. Dall’uva non fermentata, infine, si otteneva un succo gustoso che veniva bevuto come un analcolico rinfrescante.
Era però la birra la bevanda preferita dagli Egizi. Ne esistevano di diversi tipi. I papiri medici ne registrano addirittura diciassette, anche se non è possibile associare i nomi con le varietà note. Per fabbricarla si sminuzzava e metteva in ammollo l’impasto del pane. Dopodiché, si rimpastava il tutto con l’aggiunta di sostanze aromatizzanti estratte dai datteri, dalle spezie o dalla mandragola. Una volta fermentato, quest’impasto veniva filtrato con un setaccio o una tela e conservato in grandi recipienti. Gli autori classici parlano della birra egizia come di una bevanda alcolica dal sapore dolce. La gradazione della birra dipendeva dal tipo e dalla combinazione degli ingredienti. La birra della Nubia, poco apprezzata, aveva un gusto amaro e si inacidiva facilmente diventando aspra. Anche il latte era una bevanda molto diffusa: ne esistevano diverse qualità, la più comune delle quali era il latte di mucca. Molto diffusi anche quello di capra, pecora e asina. Nei rilievi delle tombe si notano scene in cui appaiono i contadini intenti a mungere. Alcune mucche erano esclusivamente destinate alla produzione di latte che, tra l’altro, non veniva adoperato solo come bevanda, ma anche come ingrediente per cucinare.
I datteri venivano utilizzati anche per la fabbricazione di birra e di vini speciali. Da essi si estraeva un liquido aromatizzante e ricco di zucchero, che poi veniva versato nell’impasto destinato a produrre la birra. Dalla fermentazione dei datteri gli antichi Egizi ottenevano anche alcune bibite alcoliche. Dal tronco della palma di datteri si estraeva una sostanza liquida e vischiosa che, fatta fermentare, si trasformava nel cosiddetto vino di palma, utilizzato oltre che come bevanda anche nel processo di mummificazione. Nei rilievi della tomba del sacerdote Petosiri, a Tuna el- Gebel, abbondano le scene di vendemmia e di preparazione del vino. Una volta conclusa la prima fermentazione, il vino veniva travasato in altri recipienti per acquistare corpo e sostanza. Nel Delta esistevano numerosi vigneti da cui raccogliere l’uva necessaria alla produzione del vino. Da quella che non si faceva fermentare si ricavava un succo molto apprezzato. Un recipiente trovato nel corredo funerario della tomba di Tutankhamon mostra un’iscrizione che conferma la presenza di “succo d’uva di buona qualità”. Le sbornie producevano non solo allegria ma anche estasi religiosa. Nella “Festa dell’Ebbrezza”, Hathor veniva venerata come patrona degli ubriachi. Di solito nelle feste si beveva parecchio alcol, come testimoniano i rilievi delle tombe. Sulle pareti della tomba di Paheri, nel Kab, si nota una dama che ordina a un servo: “Portami 18 bicchieri di vino. E non guardare perché mi voglio ubriacare!“. Terminata la prima fermentazione, le anfore venivano chiuse. Per sigillarle ci si serviva di una chiusura simile a un piatto, dotato di un foro al centro per la fuoriuscita del gas. Dopo la seconda fermentazione, le bocche delle anfore venivano tappate con l’argilla. Se tale operazione veniva effettuata prima che terminasse la fermentazione, il gas presente all’interno poteva farle esplodere. I recipienti venivano poi etichettati, con l’indicazione del tipo di vino, del suo proprietario e del vigneto da cui proveniva.
Le bevande nel sistema geroglifico
Il termine irep, che significa “vino”, appare nei testi della II dinastia, ma il geroglifico che indica “vite” era già in uso nella I dinastia, periodo al quale risalgono i primi ritrovamenti di recipienti per il vino. Per la parola “vino” (irep) si utilizzava un simbolo determinativo che rappresentava giare di vino. Il determinativo che raffigurava una vite, invece, si usava per parole come “vite” (iareret) e “vino” (irep). Anche la birra veniva raffigurata nel sistema di segni geroglifici. La parola egizia per indicarla era henequet. Il determinativo rappresentava una giara di birra e si usava anche per formare altre parole, come “vasetto” (kerehet), “tributo” (inu), “essere ubriaco” (tekhi), così come per la coppia “mangiare e bere” e per indicare la misura di capacità des. Nella loro alimentazione gli egizi ritenevano importante bere il latte, che, peraltro, veniva usato anche in rituali religiosi. Il nome per indicare il “latte” era iretet o irechet. Il segno determinativo corrispondente era un brocca di latte coperta da una foglia. La parola che indicava “brocca di latte” era meher e il suo determinativo mostrava una brocca trasportata su una piccola rete. L’offerta di due brocche di latte appariva spesso dipinta nei templi.
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[fonte consultata: sapere.it]