L’avanzata dei Turchi Ottomani nei Balcani e nell’Impero bizantino (1327-1452).
Eredi e continuatori politici dei Selgiuchidi, gli Ottomani fanno la loro comparsa nello scenario geopolitico dell’Asia Minore nel XII secolo, tra i piccoli potentati ed emirati turchi formatisi in seguito all’avanzata mongolica. Inizialmente pastori nomadi suddivisi in tribù o clan, lo stanziamento che diede slancio all’avanzata fu la conquista di Bursa, città bizantina della Bitinia che affaccia sul Mar di Marmara, da parte di Osman ad inizio XIV secolo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la città occupata fu l’attrattore principale di un’eterogena forza militare proveniente delle aree circostanti: sia componenti bizantine che turcomanne vi affluivano sia in cerca di fortuna che di protezione. La capacità non era meno attrattiva nei confronti dei Greci: basti pensare che molti amici di Osman erano Greci (tra cui il suo testimone di nozze) e lo stesso amava presenziare ai matrimoni misti tra Greci e Turchi. Stesso discorso nel rapporto con l’ortodossia islamica: nei suoi confronti i primi Ottomani erano differenti dai loro correligionari nelle tradizioni ma più improntati ad una fede tanto integralista quanto di basso profilo. Con Maometto II inizia quel ‘tipico’ processo di ideologia storica, che spiegava i successi turchi sia in chiave profetica (ricollegandosi ad una discendenza di Osman da Noè) che verso un più ‘realistico’ merito dell’abnegazione e dello sprezzo del pericolo.
L’avanzata ottomana nei Balcani (1320-1390). Prima di trattare le modalità di invasione è necessario fare alcune considerazioni sulla situazione geopolitica balcanica, e delle condizioni che favorirono l’occupazione ottomana. Costantinopoli, per quanto ripresasi dopo la dominazione latina (1204-1261), non aveva recuperato il suo Impero ed aveva perso tutto il suo conclamato prestigio internazionale, lasciando così un fronte sguarnito agli eventuali attacchi che vi giungessero.
Per facilitare le varie conquiste della prima fase con Osman e Orhan si elencano di seguito città (con anno di conquista) e condizioni d’indebolimento:
- Bursa (1327) e Nicea (1329): attacchi di logoramento decennale seguiti da un lungo assedio senza interventi militari esterni bizantini;
- Karesi (1345): conquista della città in seguito a conflitti interni all’elite musulmana, accesso a coste meridionali del Mar di Marmara;
- Gallipoli (1356): truppe mercenarie turche al servizio dei Bizantini occupano la città colpita e distrutta da un terremoto, controllo dello Stretto dei Dardanelli.
L’occasione di combattere sul suolo europeo in veste di alleati o mercenari fece sì che sempre più uomini con le loro famiglie e i propri uomini giungessero dall’Asia Minore in Tracia. Il processo di colonizzazione ottomano, con la creazione di feudi e concessioni di terreno ai contadini turchi, fu talmente rapido da giungere a compimento nel giro di una generazione, coronandolo con la conquista di Adrianopoli (1362). L’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo cercò di trovare nuovi alleati, ma le precarie condizioni politiche ed economiche dell’Impero nei confronti dei suoi vicini gli valsero rispettivamente – nel giro di soli cinque anni – un rapimento da parte bulgara (1366) e un arresto per debiti da parte veneziana (1370). Le frontiere bizantine di allora si presentavano frammentate sia verso occidente che verso oriente: da un lato le annessioni del principe Stefano Dusan alla Grande Serbia si erano rivelate effimere dopo la sua scomparsa, dall’altro numerosi e piccoli potentati controllati da signori della guerra turchi avanzavano le più disparate pretese sull’Impero. La Serbia e la Bulgaria, tanto vicine geograficamente quanto lontane da un’alleanza crollarono facilmente dopo varie disfatti militari a Maritza, a Nis e a Kosovo (1371, 1376, 1387, 1389) e rese vassalle sotto Murad (figlio di Orhan). Un’effimera resistenza coinvolse la Bosnia del re Tvrtko, vincitore sul campo di una battaglia (1388) ma arresosi insieme alle ultime sacche di ribellione bulgara del re Sisman nel 1389. Gli equilibri tra nazioni balcaniche e turche si rovesciarono: se nei decenni precedenti truppe turche erano ingaggiate come milizie mercenarie dei regni balcanici, ora furono gli stessi regni balcanici, in qualità di vassalli, a fornire soldati agli Ottomani per le loro campagne militari sul loro fronte orientale.
Nell’alleato Impero bizantino la situazione alla luce delle recenti conquiste ottomane non era delle migliori. Il Ducato latino di Atene fu scosso da contrasti interni tra governo civile e metropolitania ortodossa con quest’ultima accusata di complottismo filo-turco (1393). A Tessalonica il principe bizantino Manuele, figlio di Giovanni V, fu cacciato dagli abitanti della città per il voler attuare una politica anti-turca: rifiutato anche dal padre e allontanato da Costantinopoli, per ‘ironia della sorte’ finì per servire gli Ottomani. La popolazione delle campagne di frontiera preferì emigrare verso i grandi centri fortificati, lasciando terreno libero all’occupazione turca.
Gli Ottomani, con le loro abitudini radicate e fede fervida, non riuscirono mai ad essere assimilati dai popoli conquistati. La loro espansione portò tuttavia loro ad allontanarsi sempre più dal nomadismo, avvicinandoli ad una concezione di potere assoluto e di evangelizzatori islamici. I nomi degli emiri (dal 1320) e dei sultani (dal 1375) ottomani finirono sia sulle monete emesse che nelle preghiere del venerdì. Dal punto di vista della gestione del potere si ebbero queste differenze:
- nei territori musulmani, come ad esempio la città di Ankara (1380), veniva fomentata la divisione e l’opposizione tra entità politiche e signorotti locali, anche con l’intervento di truppe alleate europee;
- nei territori cristiani, dove il feudalesimo era già radicato da secoli, i contadini erano tenuti “solo” (rispetto ai consuetudinari obblighi feudali) a lavorare tre giorni l’anno per i cavalieri dell’esercito ottomano e a pagare un’imposta del 10% sul reddito in quanto cristiani, ricevendo in cambio libertà religiosa e agricola;
- nei territori appena conquistati, la proprietà della terra e un quinto del bottino erano destinati alla persona del sultano, mentre ai cavalieri dell’esercito potevano spettare solo delle rendite commisurate al valore in battaglia (come da disposizioni coraniche);
- gli obiettivi strategici ottomani in Europa potevano essere riassunti nel seguente modo: stipula di trattati di vassallaggio con signori feudali; matrimonio con principesse balcaniche e creazione di legami dinastici; accettazione al proprio servizio di truppe cristiane sconfitte e arrese.
Un’altra caratteristica propriamente ottomana furono gli eserciti di schiavi. Nel 1365 Murad I creò uno dei reparti più ‘rinomati’, i giannizzeri, come reparto di elite, costituiti da figli di cristiani presi da bambini e allevati secondo la fede islamica in un clima di cieca fedeltà nei confronti del sultano. Sempre Murad ebbe poi l’abitudine di trattenere per sé un quinto dei prigionieri da far confluire nel suo personale esercito. I tributi ‘umani’ – la cui presenza è spesso associata o confusa solo con i giannizzeri – risalgono invece ad una fase più tarda, sotto Murad II (1432). Perché l’attenzione ottomana verso i cristiani: nessun musulmano di nascita poteva essere schiavizzato così come i suoi figli. Ai giovani – greci o slavi – venivani impartiti l’insegnamento del turco, i precetti islamici (coronati dalla formale conversione), conoscenze erudite e una formazione tale da essere inseriti nell’amministrazione, nella corte imperiale ottomana (la stragrande maggioranza dei visir erano europei e musulmani convertiti) o negli alti ranghi militari. La condizione di schiavitù, che avrebbe accompagnato i ragazzi per tutta la vita, era all’insegna dei principi dell’umiltà e del silenzio: qualora avessero recato disturbo o nutrito particolari aspirazioni all’autorità ottomana impersonata dal sultano, venivano senza alcun problema eliminati (visir compresi). I giannizzeri invece venivano immediatamente inquadrati nel reggimento con un addestramento comunitario e gerarchico-militare che sarebbe durato tutta la vita (non avevano infatti il permesso di sposarsi). Che fossero giannizzeri o confederazioni di schiavi, tutte le ricchezze accumulate da questi alla loro morte passavano direttamente nelle mani del sultano.
Con il sultano Bayazid iniziò una fase espansionistica non priva di riconoscimenti ‘internazionali’, come l’apertura di una corrispondenza con il Papato romano, la nomina a sultano dal Califfo del Cairo, o il riconoscimento da parte dell’alleato imperatore bizantino di una moschea e di un quartiere musulmano a Costantinopoli. Sul fronte orientale furono eliminati tutti gli emiri, così come i sovrani vassalli dei Balcani su quello occidentale. Costantinopoli fu assediata nel 1396 da 10.000 soldati vassalli, ma senza successo. Una spedizione congiunta – tanto grande quanto variegata da meritare l’appellativo di ‘crociata’ – di Franchi, Ungheresi e Cavalieri Teutonici fu massacrata a Nicopoli (sempre nel 1396).
L’arresto della potenza ottomana si ebbe nel 1402, con la vittoria (e la conseguente ritirata) dei Mongoli di Tamerlano, che spazzarono via Bayazid ed il suo esercito. Una sconfitta, quella turca, frutto del merito degli ex alleati orientali coalizzatisi con i Mongoli. Seguirono dieci anni di conflitti interni alle piccole compagini che credevano di essersi sbarazzate dell’ingombrante dominazione ottomana. Essi però si sbagliarono: appoggiarono, alla successione al sultanato, il “debole” Maometto I rispetto al “forte” fratello Solimano. Maometto I non solo ne uscì vincitore dal conflitto, ma riuscì, approfittando della frammentazione dei nemici, a ripristinare del tutto l’autorità ottomana (1421) a tal punto che anche le potenze occidentali con interessi d’oltremare, per quanto si dichiarassero difensori della cristianità, furono attratte dalla conservazione dei vantaggi di natura commerciale ed economica e quindi costrette alla neutralità di fronte all’eventualità di un intervento armato massivo. Nonostante i ripetuti appelli del Papato nei confronti delle grandi potenze occidentali (fino al 1452), il disinteresse generale verso Costantinopoli, che appariva un caso già compromesso, permise ai sultani successori Murad II e Maometto II di pianificare con tutta calma la conquista del più importante caposaldo bizantino.