L’apertura alle acque imperiali bizantine alla flotta occidentale: i trattati con la Repubblica di Venezia
Sin dalla sua ascesa al soglio imperiale nel 1081, con la deposizione di Niceforo III, Alessio I Comneno diede inizio ad una nuova linea politica dettata dalla presenza sempre maggiore di personaggi occidentali. Se una parte della gestione dell’Impero fu affidata a soggetti appartenenti alla sua famiglia, al fine di “rimpiazzare” l’aristocrazia bizantina si rese necessario fare affidamento su personaggi esterni non-bizantini: che fossero legati da vincoli di parentela o meno, tutto l’apparato gestionale dell’Impero veniva scelto da Alessio in persona, così come tutti erano legati a lui da stretti vincoli di fiducia e lealtà1. Non si pensi però che la ripartizione dei poteri coinvolse a pieno tutta la sua famiglia: Alessio ne selezionò tra questi solo una piccola parte, mentre molti altri non ricevettero mai alcun incarico.2
Tra gli occidentali che ebbero incarichi nella prima parte del regno di Alessio figurano ad esempio i normanni Costantino Humbertopoulos, e Pietro di Alife, passato dalla parte imperiale dopo aver partecipato all’invasione normanna.
Il regno di Alessio si era aperto con un conflitto già in corso che vide l’avanzata normanna nella regione dell’Epiro e la conquista di una delle più importanti città dell’Impero, Dyrrachion. Durante le invasioni normanne l’Impero bizantino ebbe modo di allearsi con la Repubblica di Venezia e di cooperare a stretto contatto con essa: le navi veneziane, in cambio di un pagamento anticipato, avevano pattugliato il Mar Adriatico per impedire che i Normanni inviassero rifornimenti dall’Italia meridionale per sostenere il proprio esercito.3 Durante le incursioni, protrattesi fino al 1085, l’imperatore prese una serie di provvedimenti che ebbero un enorme impatto sulla storia dell’Impero e del Mediterraneo orientale: Alessio infatti aveva assegnato al doge titoli onorifici (protosebastos imperiale) e aveva consentito all’autorità veneziana di estendere il proprio controllo sull’intero Adriatico fino alla Dalmazia4 (il sovrano di Venezia userà da quel momento il titolo di “Doge di Venezia e Dalmazia”).
Le relazioni con Venezia si fecero più strette nel 10925. In una situazione di grave crisi economica – segnata da impiego a lungo termine dei contadini-soldati in attività militari, diminuzione dei raccolti e del gettito fiscale, aumento dei prezzi e svalutazione della moneta, tributi da pagare (Turchi e Peceneghi) e alleanze da tenere in piedi (Sacro Romano Impero) – Alessio decise di immettere in maniera consistente capitali stranieri nell’economia imperiale. Nella primavera del 1092 – alla presenza del patriarca di Grado, capo della Chiesa di Venezia6 – concedono dunque una serie di nuove concessioni, privilegi e favori nei confronti della Repubblica veneziana: fu affidata ad essa la giurisdizione della Croazia e fu consentito al doge di trasmettere di diritto le titolature acquisite ai suoi successori.7 Venezia e le sue chiese ricevettero anche enormi finanziamenti (usati in parte per i lavori di restauro della chiesa di San Marco). L’aspetto più importante di tale alleanza lo si riscontra nel trattamento riservato ai commercianti veneziani, che avrebbero avuto una parte dei porti imperiali – Costantinopoli (dalla Porta Ebraica alla Torre Vigla), Antiochia, Laodicea, Tarso, Mamistra, Attalia, Atene, Corinto, Tebe, Tessalonica, Dyrrachion – destinata esclusivamente alle proprie navi.8
Tutti questi incentivi furono offerti dall’imperatore per invogliare i Veneziani ad investire nell’Impero. Gli incentivi commerciali erano molto vantaggiosi, basti pensare che le navi veneziane o le merci da esse trasportate erano esenti sia da tasse di importazione che di esportazione9. Restavano tagliate fuori dai circuiti commerciali di esclusiva veneziana Cipro, Creta e il Mar Nero.
L’impatto di queste concessioni portarono nel breve termine ad una completa rivoluzione del sistema monetario. Nell’estate del 1092 viene introdotto l’hyperpyron (“oro raffinato”), una nuova moneta con una serie di tagli inferiori dal valore proporzionato. Le nuove monete furono quantitativamente poche, mentre per gli scambi internazionali furono coniate nuovamente le vecchie monete (usurate).
In merito a questi aspetti, si è sostenuto che questi privilegi deprimevano il commercio “locale” bizantino, dando alle repubbliche marinare il controllo totale sull’attività mercantile dell’Impero minandone così l’economia10. Le interpretazioni positive sono due. La prima sostiene che i vantaggi di un mercato aperto e di una maggiore attività non-bizantina stimolassero l’economia, cosicché i benefici furono superiori a qualsiasi perdita per il fisco imperiale. Tassare i pisani e i genovesi al 4% – le teorie tengono conto anche di una successiva nuova apertura ai mercanti italiani – in un mercato solido, era molto più vantaggioso che al 10% in un mercato debole. Oikonomides11 osserva che «nel dodicesimo secolo le entrate dello Stato derivanti da un’economia di mercato rivitalizzata sembrano essere state sostanziose, e certamente molto superiori a quelle del X secolo». Forse questo spiegherebbe perché l’Impero appare ricco per il suo tempo, in virtù degli immediati benefici: esso possedeva grandi somme di denaro liquido e non aveva particolari difficoltà a finanziare una costosa politica estera e a mantenere perfino un esercito di mercenari più costoso12. Questo per dire che le monete d’oro, che nel decimo secolo erano in gran parte ricavate dallo Stato dalle tasse sulla terra, e poi travasate a sostegno dell’economia di mercato, erano ora immesse nel mercato con la consapevolezza che molte di più ne sarebbero rientrate. Una spiegazione alternativa sostiene che l’economia mercantile era poca cosa rispetto all’economia agraria per avere effetti apprezzabili di qualche tipo; e la fetta italiana di tale economia era ancora irrisoria da punto di vista monetario, se comparata agli investimenti “locali”.
Hendy13 ha ribattuto pertanto che «la totalità degli investimenti “latini” avranno con tutta probabilità ammontato a meno della metà delle ricchezze di mezza dozzina di membri dell’alta aristocrazia di corte bizantina. Le entrate delle tasse riscosse dallo Stato saranno state appena meno delle entrate annuali ritenute adeguate a un solo sebastostokrator (40.000 hyperpyra)14» .
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