L’anarchia militare del III secolo
La fine della dinastia dei Severi aprì per l’Impero una fase di grave crisi.
Nel 235, con la morte di Alessandro Severo, la dinastia che governava l’Impero da quarant’anni si esaurì. Non era la prima volta che accadeva, nell’ormai lunga storia della Roma imperiale: una situazione simile si era verificata dopo la morte di Nerone nel 68, dopo quella di Domiziano nel 96, e ancora dopo quella di Commodo nel 192. Tutte le volte, l’accesso di una nuova famiglia al trono era stato problematico e aveva comportato scontri violenti fra i diversi aspiranti. Alla morte di Nerone ben quattro pretendenti al trono si erano combattuti con violenza inaudita e il vincitore, Vespasiano, era stato designato non dal Senato, mai dai legionari del suo esercito; inoltre, Vespasiano era un provinciale e di nobiltà molto recente, tutt’altra cosa, insomma, rispetto ai Giulio-Claudi, aristocratici si può dire da sempre. Non meno traumatica, e ricca di importanti novità, la successione a Domiziano: il nuovo imperatore Nerva aveva infatti introdotto il principio adottivo in sostituzione di quello dinastico, in modo che a succedere al principe defunto non fosse il figlio, ma un uomo opportunamente selezionato per le sue capacità.
Il principato adottivo funzionò bene per quasi un secolo, ma naufragò tragicamente con Commodo. Questa volta la lotta per la successione durò cinque anni, prima che emergessero dal caos i nuovi padroni del mondo, i Severi, il cui ultimo rappresentante era morto nel 235. Quello che successe questa volta fu la crisi politico-militare più grave e più lunga affrontata fino a quel momento da Roma. Nei cinquant’anni che vanno dal 235 al 284, anno in cui salì al potere Diocleziano, sul trono imperiale si alternarono almeno una settantina di principi, alcuni legittimi, nel senso che la loro ascesa al potere ricevette il riconoscimento del Senato, la maggior parte usurpatori, cioè mai ufficialmente riconosciuti. Ma la differenza tra le due categorie era in realtà labile. perché quasi tutti gli imperatori furono scelti e sostenuti dai loro soldati, che in quel cinquantennio divennero gli arbitri assoluti della vita politica romana: è appunto questa l’epoca che va sotto il nome di “anarchia militare”.
Nella maggioranza dei casi, perciò, questi imperatori non erano espressione di ceti, classi sociali, gruppi di interesse diffusi, e men che meno erano portatori di un progetto complessivo di governo della società o di soluzione ai problemi dell’Impero. Essi rappresentavano perlopiù gli interessi immediati dei propri legionari (quando non erano legionari essi stessi), che si attendevano dal proprio ufficiale divenuto imperatore privilegi, un miglioramento delle proprie condizioni di vita e di servizio o semplicemente riconoscimenti materiali. Poteva perciò capitare, e di fatto capitò spessissimo, che gli stessi soldati, dopo aver acclamato imperatore il loro comandante, delusi dal suo comportamento, lo eliminassero con la stessa facilità con la quale lo avevano eletto. Inoltre, poiché le legioni erano sparpagliate ai quattro angoli dell’immenso territorio imperiale, accadeva che le legioni proclamassero contemporaneamente imperatori diversi, che quindi si sovrapponevano, si combattevano, qualche volta riuscivano ad affermarsi, per poi soccombere, di fronte a un nuovo principe, spesso altrettanto effimero.
Proviamo ora a dare uno schema che include i più importanti di loro con le vicende della successione.
235-238: Massimino il Trace, ufficiale dell’esercito: proclamato imperatore dai soldati che avevano ucciso Alessandro Severo, viene riconosciuto dal Senato. Viene ucciso dai suoi soldati nel 238.
238: Gordiano I, governatore della provincia d’Africa (suo figlio Gordiano II è correggente): proclamato imperatore col figlio dall’aristocrazia fondiaria africana. Entrambi sono uccisi dal legato di Numidia fedele a Massimino il Trace.
238: Pupieno e Balbino: acclamati dal Senato, governano con pari poteri; vengono uccisi dai pretoriani.
238-244: Gordiano III, nipote di Gordiano I: militare eletto dai pretoriani. In realtà è il suocero Timesiteo, prefetto del pretorio, che governa. Alla morte di Timesiteo (243), Gordiano III viene condannato a morte.
244-249: Filippo l’Arabo, prefetto del pretorio, nel 247 nomina augusto il figlio Filippo II: si autoproclama imperatore; nel 249 viene ucciso da Decio.
248-253: Pacaziano, Iotapano, Uranio, Emiliano: usurpatori acclamati in Mesia, Cappadocia e Siria.
249-251: Decio, originario della Pannonia: proclamato imperatore dal suo esercito, muore combattendo contro i Goti nel 251.
251-253: Treboniano Gallo, associa il figlio Volusiano: proclamato imperatore dai suoi soldati; nel 253 viene ucciso con il figlio da Emiliano.
253-268: Valeriano (suo figlio Gallieno è coreggente) e poi unico imperatore dal 260: proclamato imperatore dai suoi soldati; nel 260 muore prigioniero dei Persiani; Gallieno rimane unico imperatore; verrà assassinato da ufficiali illirici nel 268.
258: Ingenuo, Regaliano: usurpatori.
260-261: Macriano e Quieto, figli del prefetto del pretorio di Valeriano: proclamati imperatori dall’esercito d’Oriente; nel 261 Macriano è sconfitto da Aurelio, generale di Valeriano, e Quieto viene ucciso da Odenato, principe di Palmira.
260-268: Postumo, generale di Gallieno; muore nel 268: forma uno stato separatista nelle Gallie; gli succedono rapidamente Vittorino, Leliano, Mario ed Esuvio Tetrico.
268: Aureolo: usurpatore, sconfitto da Gallieno nel 268.
268-282: imperatori illirici: Claudio il Gotico (268-270), muore di peste combattendo i barbari a Sirmio; Aureliano (270-275), riunificatore dell’Impero; Tacito (275-276), anziano senatore, nominato dal Senato; Floriano (276), fratellastro di Tacito e prefetto del pretorio, assassinato per questioni private; Probo (276-282), assassinato dal generale delle truppe della Rezia Caro.
280: Giulio Saturnino, Proculo, Bonoso: usurpatori nominati rispettivamente in Siria, Gallia, Germania; tutti sconfitti da Probo.
282-286: Caro (alla sua morte gli succedono i suoi figli Carino, nominato cesare, e Numeriano). Numeriano viene ucciso da una rivolta dell’esercito, che nomina Diocle (Diocleziano) imperatore; Carino viene sconfitto da Diocleziano.
Il ruolo del Senato. In questo contesto, il ruolo del Senato e dell’aristocrazia che in esso sedeva – la seconda colonna del sistema istituzionale costruito da Augusto – finiva per essere fortemente ridimensionato. Dal punto di vista formale, l’acclamazione dei soldati non bastava per trasformare un privato cittadino in principe: doveva essere il Senato a convalidarla, e l’aristocrazia cercò di sfruttare questa sua funzione per condizionare in qualche modo il convulso andamento delle vicende. Il riconoscimento del Senato rafforzava indubbiamente il prestigio e il consenso del prescelto così come, viceversa, l’opposizione della massima assemblea romana rischiava di indebolire l’appoggio (già di per sé tutt’altro che solido) di cui imperatori o aspiranti tali godettero durante l’anarchia militare. In generale però l’aristocrazia fu vittima delle circostanze; tentò di orientare il gioco a proprio vantaggio, o quantomeno di limitarne i danni, ma si trattava di un gioco del quale non era lei a dettare le regole.
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Vespasiano un provinciale??? Era di Rieti. Allora anche Cicerone di Arpino sarebbe un ‘provinciale’, che discorsi… Provinciale erano abitanti delle province, quindi fuori d’Italia, solitamente privi della cittadinanza romana.
Salve. Per “provinciale” intendevo l’accezione moderna del termine, ossia proveniente da un centro minore. Nel significato romano contemporaneo il Suo ragionamento è correttissimo. 👍🏻