L’Altare dei Dodici dei
L’Altare dei dodici dei è uno dei monumenti fatti costruire da Pisistrato, nell’angolo a nord-ovest dell’agorà. Tucidide in “Storie, IV” ci menziona che Pisistrato abbia governato in maniera non oppressiva rispetto le istituzioni esistenti ma egli insieme ai figli, aveva fatto in modo che le cariche più importanti fossero ricoperte da uomini della loro cerchia. “Alcuni di loro infatti esercitarono sui cittadini ateniesi, l’arcontato annuale e lo esercitò anche Pisistrato, figlio del tiranno Ippia, che portava il nome del nonno e che quando era arconte dedicò l’Altare dei Dodici dei nell’agorà e quello di Apollo nel Pythion (Apollo legato a Delfi à Pythiò à Pythios à Pizia; Sacerdotessa a Python mostro che Apollo sconfisse per appropriarsi del Santuario a Delfi) […] Ad Atene il santuario sorgeva nella zona sud-est vicino l’Ilisso […] Ma all’altare dell’agorà il popolo ateniese costruì in seguito un aggiunta e cancellò l’epigrafe; di quello del Pythion è ancora leggibile l’epigrafe, che dice tali cose”.
Pisistrato il giovane, fu arconte nel 522/1 a.C., lo sappiamo grazie ad un frammento contenente l’elenco degli arconti eponimi tra l’inizio del VI e l’inizio del V Secolo a.C., frammento rinvenuto negli scavi dell’agorà che fa parte di una grande iscrizioni ridotta in frammenti. Vi sono una serie di nomi, abbiamo nomi incompleti a cui sono state fatte integrazioni delle parti mancanti, i nomi sono: Onetarides, Hippias, Kleisthenes, Miltiades, Kalliades, Peisistratos. Grazie all’incrocio dei vari studi si riesce anche ad attribuire a ciascun nome un anno specifico. Hippias è il padre di Peisistratos, che ricoprì lo stesso, benché tiranno, il ruolo di arconte eponimo. Da questo frammento si può datare l’anno di costruzione dell’altare dei Dodici dèi ed Apollo. Tucidide continua il suo racconto parlandoci delle varie modifiche subite dall’altare dei dodici dèi, con la cancellazione dell’epigrafe; poi abbiamo il testo sopravvissuto dell’altare dei Pythion e la cosa belle è che l’altare, negli scavi del 1800 è stato trovato non interno ma in due pezzi separati (la tavola superiore dell’altare con le decorazioni e da cui si vede l’epigrafe fatta incidere da Pisistrato il giovane). Il testo è mancante di un pezzo ma si è in grado di integrarlo in base alla fonte di Tucidide, che copiò, esattamente quello che vi era scritto sull’altare; sono versi che dicono:
Questo ricordo del suo arcontato Pisistrato figlio di Ippia dedicò nel santuario di Apollo Pizio
I prezzi dell’altare sono stati ritrovati in sito originale, nei pressi del fiume Ilisso. Si può immaginare che l’altare dei dodici dèi, fosse simile a questo così come l’epigrafe che Tucidide non ha potuto vedere ma che si trovava incisa.
Chi sono i Dodici Dèi? Dovrebbero essere i dodici più importanti dell’Olimpo: Zeus, Era, Poseidone, Demetria, Apollo, Artemide, Efesto, Atena, Ares, Afrodite, Ermes ed Estia.
Questo altare diventa importante perché dopo la sua costruzione diventa il centro della città: da questo luogo si misuravano le distanze tra Atene e le altre città greche. Ce lo testimonia Erodoto, che nel secondo capitolo delle sue “Storie”, parla dell’Egitto e ci vuole indicare la distanza tra due località egizie, fa ricorso al confronto: “la strada per Eliopoli è simile in lunghezza alla strada che da Atene, dall’altare dei Dodici Dei, porta a Pisa e al Santuario di Zeus Olimpio”. Pisa era il nome della città che aveva sotto controllo il Santuario di Zeus ad Olimpia, che perse nel VI Secolo e il controllo passò alla città di Elide. E’ interessante vedere come sia scontato che Erodoto dia subito la distanza partendo dall’altare. Un’altra testimonianza ci è data da un’altra iscrizione: IG II2 2640 (Hiscriptiones Grecae, secondo volume, seconda edizione, numero dell’iscrizione dell’Attica). Questa epigrafe è una pietra posta lungo la strada ad indicare la distanza, i greci posero questo cippo con un epigramma in versi: “La città mi pose come monumento veritiero per indicare a tutti i mortali la misura del loro commino, la distanza dall’altare dei Dodici Dèi dal porto è di 45 stadi”. L’iscrizione è del IV Secolo e l’unità di misura usata è lo stadio, 45 stadi= 8.325km 1stadio= 185m.
Infine vi è un componimento poetico di Pindaro, nel “Ditirombo”, dedicato agli Ateniesi, ed invita gli dèi dell’Olimpo a venire “a danzare presso l’ombelico della città di Atene, molto frequentato e fragrante d’incenso, e alla famosa e riccamente adorna agorà […]”; Pindaro fa sicuramente riferimento ad un luogo dell’agorà, molto frequentato dove si fanno sacrifici con incenso, sicuramente riferito all’altare dei dodici dèi, definito “ombelico”.
L’altare dei dodici dèi, usato come centro delle distanze si poneva su un altro aspetto dei Pisistratidi, in particolare Ipparco che si dedicò all’edilizia e al sistema viario e da un’operetta, falsamente attribuita a Platone, sappiamo che Ipparco disseminò tutta l’Attica di Herme, cioè statuette raffiguranti in maniera sommario il dio Ermes, era un pilastrino quadrangolare sormontato dalla testa del dio e tutto il resto è appena accennato. Ipparco fede apporre su queste statue due iscrizioni, una per lato, da un lato vi erano le indicazioni delle direzioni e dall’altra vi era una massima di sapienza inventata da lui stesso, poiché voleva educare il popolo ateniese: “Cammina con giusti pensieri” oppure “Non ingannare l’amico”. La cosa interessante è che una di queste Erme è stata ritrovata benché rotta, metà del pilastrino reca l’incisione:
“A metà fra Kephalè e la città è lo splendido Hermes”
chi leggeva veniva a sapere che si trovava a metà tra il demo e la città di Atene. Tornando all’altare dei dodici dèi, sappiamo che divenne luogo di rifugio e di suppliche per le persone perseguitate, nel mondo greco un altare o un santuario erano luogo dove potersi rifugiare e diventare intoccabile. Si recavano in supplica ambasciatori provenienti da Platea, che andarono per supplicare gli ateniesi ad intervenire nelle persecuzioni che Tebe esercitava sulla polis nel 519 a.C.; altro episodio è riferito ai collaboratori e a Fidia, che andarono a rifugiarsi dall’accusa di essersi appropriati dell’oro che componeva la statua crisoelefantina di Atena nel Partenone. L’altare venne ritrovato ed identificato durante gli scavi del 1934, nella zona nord-ovest nell’agorà; è stato ritrovato un pezzetto del recinto sacro dell’altare, il recinto si chiamava Peribolos, e fuoriesce dai un muro di pietra che fa parte della famosa ferrovia costruita alla fine dell’800. Negli anni 1946, sono stati fatti molti saggi di scavo sotto il muro per vedere altri pezzi di recinto e ne sono stati trovati che proseguono; si è visto quindi che questo monumento ebbe due fasi costruttive: la prima del 522/20 a.C. con Pisistrato, poi il monumento fu danneggiato sicuramente nel 480 dalle invasioni persiane e venne ristrutturato alla fine del V Secolo a.C., 425/400 a.C., con modifiche nelle dimensioni. Tracce dell’altare non vi sono. Nelle cavità presenti sul peribalos erano inseriti pilastri di pietra, a distanza regolare, e tra i pilastri vi dovevano essere delle sottili lastre di marmo ed il tutto era ornato da una fila di blocchi di pietra. L’area sacra aveva due aperture, una ad occidente e l’altra ad oriente per permettere l’accesso dalla strada delle Panatenee. Al centro vi era collocato l’altare. Dai solchi si è visto che le lastre accanto agli ingressi erano più spesse, probabilmente perché contenevano dei rilievi. Nella prima fase del tempio la pavimentazione era in terra battuta, con il restauro fu applicato un pavimento in pietra. I rilievi non ci sono giunti ma si sono ipotizzati cosa potessero contenere attenendosi ai rilievi di epoca romana con tre figure, copie di rilievi greci del V Secolo a.C.; di questi rilievi romani ce ne sono ben quattro: probabilmente erano questi ad essere posizionati all’ingresso dell’altare? Non lo sappiamo, ma sappiamo cosa raffigurano.
Vi sono rappresentate scene mitiche:
- Orfeo ed Euridice: Orfeo, poeta greca, perde sua moglie che va nell’aldilà, e chiede agli dèi di andare nell’aldilà per poterla recuperare a patto di non guardarsi indietro fino a quando non fosse uscito, ma lui si gira la guarda ed Ermes, che ha funzione di accompagnatore delle anime, si riprende Euridice e la riporta indietro.
- Le figlie del re Pelia e la maga Media: le figlie del re Pelia di Tessaglia e Iolco, vengono ingannate dalla perfida maga Media, la quale dice alle fanciulle di poter ringiovanire il vecchio re. La maga prende un ariete e lo fa a pezzi inserendolo in un calderone da cui ne uscì un giovane agnello; le ragazze allora fanno a pezzi il vecchio padre e lo mettono nel calderone ma non ne uscì un giovane.
- Gli altri due rilievi vedono Teseo ed Eracle
Abbiamo visto che il recinto fa parte dell’altare, ma come? Grazie ad un’epigrafe trovata su una base di una statua bronzea, portata via dai persiani nel 480 a.C. L’epigrafe posta sul bordo superiore dice: “Leagros, figlio di Gloukon, dedicò ai Dodici Dèi”, e questo è il certificato dell’autenticità della zona. Leagros è un personaggio che ricoprì la carica di stratego nella prima metà del V Secolo, da giovane doveva essere prestante perché su una serie di vasi attici è noto sotto il nome di “Gruppo di Leagros”, si tratta di un gruppo di vasi che recano incisioni e Leagros viene definito Kalos=bello.
In età romana l’altare fu chiamato “Altare della pietà”, secondo Pausania, anche Stazio lo chiama “Altare della Clementia”. Lo descrive come un altare circondato da un boschetto di ulivi. Per le cerimonie sacre veniva utilizzata l’acqua raccolta in una basetta cava che era collegata tramite una canaletta all’acquedotto. Vi era anche un’acquasantiera dove le persone prendevano acqua per purificarsi prima di entrare, i bacini si chiamavano Perirrhanterion. Infine vicino vi è un altro oggetto chiama Eschara, altro altare particolare, si tratta di un altare basso con cavità centrale in cui vi era il fuoco sacro. Non si sa a chi fosse dedicato ma forse a Dioniso Leneo.