La caratteristica principale della Letteratura Latina Tardoantica è quella di avviare un nuovo ciclo e, al tempo stesso, di non dimenticare quanto è stato prodotto in precedenza dagli autori pagani. Se da una parte la produzione letteraria si arricchisce di opere cristiane, dall’altra gli stessi autori cristiani, educati nelle tradizionali scuole di retorica, non possono che avvalersi delle tecniche dei pagani e, soprattutto, rifarsi alle celebri opere dell’Antichità. Si tratta, insomma, di un’epoca di passaggio (in genere individuata tra il III e il VII secolo) che sfocerà, poi, nella produzione letteraria medievale.
Davvero numerosi sono i prodotti partoriti dall’epoca tardoantica (in particolar modo dal IV, con la libertà di culto conquistata dai cristiani, la relativa produzione letteraria conosce un incremento significativo) che possono essere studiati e confrontati con i classici repubblicani e altoimperiali. In questo articolo si parlerà di un componimento sconosciuto ai più e davvero poco studiato (basti pensare che non esiste una traduzione italiana del testo): si tratta del De Ligno Crucis, noto anche come De Cruce, De Pascha e De ligno vitae. Esso consta di solo 69 esametri ma si distingue per i contenuti e per la tecnica di composizione.
Prima di esaminare questi elementi, tuttavia, va sottolineato che la tradizione manoscritta attribuisce il poemetto al vescovo Cipriano (210-258) ma gli studiosi sono concordi nel posticipare la nascita del componimento. Diverse sono le teorie su datazione e paternità dell’opera ma, ad oggi, gli studiosi non sono riusciti a convergere su un unico nome. Per quanto riguarda il contenuto, protagonista del componimento è un albero che sorge al centro della Terra, raggiunge con la sua chioma il cielo e diffonde i suoi rami in tutto il mondo. È l’Albero della Vita, un simbolo che, sicuramente, non nasce con il cristianesimo ma venne riadattato dagli autori cristiani accostandolo all’immagine della Croce. Non si dimentichi che in epoca medievale la simbologia dell’Albero della Vita e del Legno della Croce sarà davvero molto diffusa: tra le prime testimonianze si ricordi Vexilla regis di Venanzio Fortunato (530-607).
Si diceva che l’immagine dell’Albero della Vita precede (e di tanto) il cristianesimo: esso compare nell’Epopea di Gilgamesh, nella mitologia egiziana, nella mitologia indiana (con il cosiddetto Soma, nome dell’elisir che dona immortalità, nonché della pianta stessa che lo produce), nella tradizione buddista (con l’Aşvaṭṭha, l’Albero cosmico presso cui Siddharta sacrificherà se stesso per diventare Buddha), nella mitologia cinese (con il Quián Mù,il legno eretto che sostiene il mondo). Nella mitologia greco-romana, poi, si ricordino le querce sacre di Dodona, il dio albero Velchanos a Creta (identificabile con il romano Vulcano), l’identificazione di Zeus con la quercia, di Marte con il fico, di Poseidone con il frassino, di Atena con l’ulivo, nonché Dioniso spesso citato come dendrites (protettore degli alberi) o èndendros (colui che è nell’albero), il giardino delle Esperidi con l’albero dai pomi d’oro che donano immortalità. Infine vanno citate la tradizione germanica con l’albero cosmico Yggdrasill e, ovviamente, quella giudeo-cristiana con l’albero della conoscenza e l’albero del bene e del male nel giardino dell’Eden.
Tornando al De Ligno Crucis, la simbologia fa da padrona in questo poemetto: i frutti di quest’albero che sono sul Golgota vengono colti non solo da “quelli del luogo” ma anche da stranieri (novità del messaggio di Cristo non più solo rivolto al popolo giudaico), l’albero nasce da una sola trave e ha due rami gemelli (simbolo della Croce), in tre giorni si eleva verso il cielo (la Resurrezione), in quaranta lo tocca (Ascensione), mentre dodici rami si diffondono per tutta la terra portando nutrimento (missione evangelizzatrice dei dodici apostoli) e, nel cinquantesimo giorno, lo spirito celeste riversa nei frutti il “gusto” (Pentecoste). Ai piedi dell’albero scorre una fonte nella quale i popoli di tutto il mondo possono purificarsi dai loro peccati e la seconda parte del componimento verte proprio sul tema della purificazione, del perdono dei peccati e della rinascita spirituale.
Da quanto detto, si potrebbe concludere che il componimento sia di tipo non solo celebrativo ma anche catechetico: con una semplice simbologia numerica, vengono riassunti i princìpi base del cristianesimo.
Dal punto di vista stilistico si possono fare diverse riflessioni:
- I primi due versi («Est locus ex omni medius quem cernimus orbe, / Golgotha Iudaei patrio cognomine dicunt») rimandano a Eneide 1, 530 («Est locus, Hesperiam Grai cognomine dicunt») e al De Ave Phoenice di Lattanzio, vv. 1-2 («Est locus in primo oriente remotus / Qua patet aeterni maxima porta poli»).
- Il v. 8 («Et mox in geminos extendit brachia ramos») rimanda a Eneide 6, 282-283 («In medio ramos annosaque bracchia pandit / ulmus opaca ingens […]»)
- Ai vv. 15-17 si legge: «Sed bis vicenis formatus et ille diebus Crevit in immensum caelumque cacumine summo Contigit et tandem sanctum caput abdidit alte». Similmente in Eneide 4, 176-177: « […] mox sese attolit in auras / Ingrediturque solo et caput inter nubila condit». E in Georgiche 3, 422: «[…] iamque fuga timidum caput abdidit alte».
In questa sede basteranno tali esempi ma le corrispondenze tra il De Ligno Crucis e il componimento di Lattanzio, nonché le opere virgiliane, sono molte di più. È stata data, comunque, un’idea di quella che si può definire un’aemulatio tardoantica.
In poche parole il De Ligno Crucis è da considerarsi come emblema delle tendenze letterarie dell’epoca tardoantica: esso ripropone la ripresa e il superamento della tradizione letteraria pagana e, al tempo stesso, delle tradizioni mitologiche molto più antiche. Per la prima volta, infatti, l’Albero della Vita viene paragonato a un oggetto (la Croce) e a una persona (Gesù Cristo). E se questo superamento e rimodellamento fosse nato da un’esigenza che non fosse solo catechetica? Se lo sconosciuto autore avesse preso spunto da una realtà ben precisa dell’epoca? Se l’esigenza non fosse stata soltanto quella di diffondere il messaggio evangelico e il dogma cristiano, ma quella di combattere il paganesimo ancora diffuso?
Nella biografia di San Martino realizzata da Sulpicio Severo si legge di come il santo voglia abbattere un pino venerato dai pagani e di come questi ultimi lo sfidino a resistere all’albero che cadrà su di lui. Martino, allora, con un semplice cenno della mano riesce a far cadere l’albero dalla parte opposta dimostrando che il suo è il vero Dio da adorare. Oltre la leggenda, si può leggere di personaggi del calibro di Columba e San Benedetto che, nel VI secolo, fondarono monasteri laddove sorgevano boschi sacri ai pagani (rispettivamente in Irlanda e a Monte Cassino) con l’intento di purificare quelle aree e consacrarle al vero Dio. Si potrebbe, quindi, immaginare che il De Ligno Crucis nasca in un contesto simile? Non a caso nel 452 ad Arles, nel 567 a Tours e nel 568 a Nantes si tennero dei concili ecclesiastici con l’intento di legiferare contro il culto pagano di alberi, fontane e pietre. Che il nostro componimento volesse insegnare a un paganesimo ancora diffuso e influente sul popolo cristiano che l’unico albero da adorare fosse quello della Croce?