Antica RomaLingue e Letteratura

La trasmissione della letteratura latina

«Ciò che resta della letteratura romana, come della greca, è soltanto un cumulo di rovine, tanto ridotto, in confronto alla sua originaria estensione, quanto i ruderi del Foro romano attuale in confronto a quello dell’età imperiale.»

Questa frase efficace e famosa si deve al tedesco Eduard Norden, studioso di letteratura latina del Novecento, e ci rimanda a una domanda cruciale: cosa è successo alle opere di scrittori, poeti, scienziati e filosofi latini quando l’Impero è crollato? Cosa ne è stato di un immenso patrimonio culturale, vecchio di oltre settecento anni, e dei libri in cui quel patrimonio era tramandato, quando nel 476 d.C. Romolo Augustolo veniva deposto e tutto l’Occidente crollava come un castello di carte? Per la conservazione dei testi classici, gli ultimi due secoli dell’Impero rappresentano una specie di imbuto: poco a poco, tutta una serie opere smettono di circolare, non vengono più copiate, cessano di essere lette, e le copie esistenti nelle biblioteche pian piano di deteriorano e si perdono. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che nel mondo antico i libri vengono copiati a mano, il che vuol dire, tra l’altro, che il numeri di copie in circolazione non può mai essere troppo alto: se quelle copie scompaiono, il libro è perduto per sempre.

Ricostruzione di una biblioteca romana, Museo della civiltà romana
Ricostruzione di una biblioteca romana, Museo della civiltà romana

A questo limite oggettivo dell’editoria antica si aggiungono, nel periodo che ci interessa, le distruzioni materiali. All’epoca dell’imperatore Costantino, all’inizio del IV secolo, nella sola città di Roma esistevano ventotto biblioteche: un numero enorme, che poche città moderne possono vantare. Ma non sappiamo cosa ne sarà stato di quelle biblioteche dopo il sacco di Alarico del 410 o durante i quindici giorni di saccheggi operati dai Vandali nel 455… E ancora: nei primi due secoli dell’Impero, accanto alle collezioni private, esistevano le grandi biblioteche pubbliche e le scuole di “istruzione superiore”, con i loro maestri e, naturalmente, i loro libri di testo. A mano a mano che che l’Impero si indeboliva e la difesa dei confini drenava tutte le risorse economiche e umane disponibili, però, quelle preziose istituzioni culturali dovettero essere abbandonate al loro destino: non si poteva pensare di conservare i libri del passato quando era in gioco la sopravvivenza stessa della civiltà latina.

Infine, non va dimenticato il cristianesimo. La Chiesa tardo-antica non procedette a roghi di libri pagani, né questo era necessario: come si è visto, era sufficiente che un testo non venisse ricopiato perché a poco a poco smettesse di circolare. Certamente, però, quando l’Impero divenne cristiano molti libri del passato cessarono di essere letti, per ragioni di contenuto o anche, semplicemente, perché affrontavano questioni e problemi che nella nuova realtà non erano più attuali. i libri che si salvavano dal crollo dell’Occidente e giungono fino al Medioevo e poi all’età moderna, quando l’invenzione della stampa (nella seconda metà del XV secolo) ne mette definitivamente al sicuro la sopravvivenza, sono dunque quelli che circolano in gran numero sufficientemente alto di copie da far sì che qualcuna almeno, a volte una sola, sfugga alla distruzione. Vediamo ora quali sono questi libri.

Mosaico romano del III secolo d.C. che rappresenta Virgilio con in mano l'Eneide, tra le Muse Clio e Melpomene.
Mosaico romano del III secolo d.C. che rappresenta Virgilio con in mano l’Eneide, tra le Muse Clio e Melpomene.

I grandi classici che si leggono nella scuola, anzitutto, e che proprio per questo sono molto diffusi nelle diverse aree dell’Impero: Virgilio o Cicerone si salvano certo per l’eccezionale qualità letteraria delle loro opere, ma anche per il fatto che costituivano il modello rispettivamente della poesia e della prosa latina, e come tali venivano studiati e imparati a memoria dagli scolari di tutto l’Occidente romano. Sopravvivono le grandi opere storiche, alle quali è affidato il ricordo delle epoche passate e che dunque rappresentano la memoria collettiva della civiltà romana. Sopravvivono i manuali tecnici (quelli di agricoltura, per esempio, ma anche quelli di grammatica o di medicina), perché sono ancora utili, perché le notizie e le informazioni in essi contenute continuano a servire agli uomini e alle economie delle generazioni successive. Sopravvivono le grandi enciclopedie, quelle opere che rappresentano una specie di bacino di raccolta dell’intero sapere di una cultura e si prestano a trasmetterlo, comodamente compendiato, alle età successive.

Ma ci sono anche alcuni testi che sopravvivono grazie a una “battaglia per la memoria” tenacemente perseguita da ristrette élite di intellettuali. Tra il IV e il V secolo alcune famiglie senatorie daranno vita a una sorta di rinascita pagana, un tentativo disperato ma ostinato di tenere in vita e trasmettere alle generazioni future la cultura e la religione tradizionale di Roma. Non è una caso che tra queste famiglie vi sia anche quella di Simmaco, il senatore che lottò contro Ambrogio per riportare nella curia l’altare della Vittoria. Difendere la tradizione culturale significava in questi casi difendere i libri in cui quella tradizione si incarnava.

oncialeAlcuni dei manoscritti allestiti in quei decenni – libri di grande formato, con pagine spaziose e spesso meravigliosamente illustrate – sono giunti fino a noi, a volte persino con la “firma” degli studenti tardo-antichi che li avevano letti, corretti e fatti pubblicare. Grazie al lavoro anche di questi uomini è che una parte dell’immensa produzione letteraria latina è giunta fino a noi: la loro cultura fu presto travolta dalla storia, ma i risultati della loro fatica restarono. Tramandando quei testi, l’obbiettivo primario era difendere il proprio passato; se però si considera l’importanza capitale che la letteratura latina ha avuto lungo tutto l’arco della cultura occidentale, essi hanno lavorato, senza saperlo, soprattutto per il futuro.

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Antonio Palo

Laureato in 'Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente' e specializzato in 'Archeologie Classiche' presso l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Fondatore e amministratore del sito 'Storia Romana e Bizantina'. Co-fondatore e presidente dell'Associazione di Produzione Cinematografica Indipendente 'ACT Production'. Fondatore e direttore artistico del Picentia Short Film Festival.

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