La Tomba degli Scipioni a Roma
L’ipogeo gentilizio degli Scipioni a Roma fu uno dei primi monumenti che seguirono all’apertura della via Appia (avvenuta nel 312 a.C. grazie al censore Appio Claudio); il suo fondatore fu molto probabilmente Scipione Barbato, dato che il suo sarcofago occupa una posizione d’onore all’interno della tomba. La tomba degli Scipioni non fu edificata in un’unica fase costruttiva: all’inizio essa si presentava come una grande camera quadrangolare senza alcuna decorazione al suo interno, ma caratterizzata dalla presenza di quattro pilastri ottenuti a risparmio durante le operazioni di scavo (nel tufo) che assicuravano solidità a tutto l’impianto ipogeico: essa quindi si presentava percorribile lungo i quattro lati esterni, dalle cui metà si diramavano due corridori “a croce” che portavano al centro della struttura.
Il sarcofago più importante, quello di Barbato, era collocato lungo l’asse centrale dell’ipogeo, quello in corrispondenza dell’entrata centrale. Gli altri sarcofagi presenti nell’ipogeo – aggiunti nel corso del tempo – sono molto più “semplici”: si tratta soprattutto di semplici casse scavate in blocchi tufacei monolitici o con lastre tufacee, poste poi nicchie scavate nelle pareti dei corridori. Solo sette sarcofagi recano delle iscrizioni: queste hanno permesso di datare l’effettivo uso dell’ipogeo, che non sembra aver superato il 150 a.C., ad eccezione delle sepolture della figlia e del nipote di Gneo Cornelio Lentulo Getulico (lontani discendenti degli Scipioni) di età neroniana. La metà del II secolo vide, dato il riempimento della tomba di IV secolo, la realizzazione di una nuova camera sepolcrale adiacente a quella più antica: essa era sempre di forma quadrangolare e divergeva leggermente rispetto all’asse della camera principale, e vi furono sepolti gli ultimi membri della prestigiosa famiglia. In occasione di questo allargamento venne creata anche una facciata monumentale al sepolcro, che consisteva in un podio con cornici “a cuscino” dal quale si aprivano tre archi, uno cieco, e gli altri due conducenti rispettivamente all’antico e al nuovo ipogeo, in un prospetto tripartito anche nella parte superiore: secondo Livio, vi erano, in corrispondenza dei tre archi, le statue marmoree di Scipione l’Africano, Scipione l’Asiatico e del poeta Ennio, che dovevano probabilmente ispirarsi alle scenae frontes ellenistiche.
Il sarcofago di Scipione Barbato. Come già detto, il sarcofago principale della tomba (in nenfro) è quello di Scipione Barbato, console nel 298 a.C., che è l’unico ad avere una decorazione elaborata di tipo architettonico. Di chiara ispirazione artistica ellenistica, esso presenta la forma di altare, con una cornice ionica a dentelli che incornicia il fregio dorico lungo la parte alta; le estremità del coperchio sono di forma cilindrica e terminano con la scultura di foglie d’acanto (coronamento corinzio). Il tratto più caratteristico sono le iscrizioni sul sarcofago, di due periodi differenti: la più antica riporta il nome del defunto sul coperchio, la più recente (II secolo a.C.) invece un estratto dell’orazione funebre tenuta in sua memoria.
«Lucio Cornelio Scipione Barbato, figlio di Gneo, uomo forte e sapiente, il cui aspetto fu in tutto pari al valore, fu console, censore, edile presso di voi. Prese Taurasia Cisauna nel Sannio, assoggettò tutta la Lucania e ne portò via ostaggi»
«La menzione della forma del defunto, che sarebbe stata virtutei parisuma, ricorda la motivazione secondo la quale i Romani avrebbero eretto nel Comizio, al tempo delle guerre sannitiche, le statue di Pitagora e di Alcibiade per obbedire all’oracolo delfico, su indicazione dell’oracolo di Delfi; vale anche la pena osservare che la scelta delle due personalità greche appare derivata dall’ambiente italiota, confermando i profondi legami tra ambiente romano e centro-italico e mondo della Magna Grecia e della Sicilia greca.» [Bianchi Bandinelli, Torelli, L’Arte dell’Antichità Classica, Roma-Etruria]
Lo Pseudo-Ennio. Dalla tomba degli Scipioni provengono anche due teste in tufo, ritrovate rispettivamente nel ‘700 e nel 1935 (quest’ultima venne quasi subito trafugata e vi si persero le tracce), rese in maniera semplice e non particolarmente rifinite, che andrebbero attribuite a qualcuna delle personalità lì sepolte e non – come direbbe il nome – al (cosiddetto) Ennio o a qualcuna delle statue della facciata esterna poiché esse sarebbero state scolpite nel marmo. Oltre a non poter essere identificato il soggetto, è altrettanto difficile stabilire la tipologia del reperto, probabilmente una testa di un coperchio, dato che non vi sono elementi comprovanti la presenza di statue all’interno della struttura funeraria. La testa “superstite” è stata collocata nei decenni centrali del II secolo a.C., essendo stilisticamente vicina alla produzione etrusca (meridionale) e influenzata dal classicismo greco importato in quel periodo a Roma.
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