La riforma agraria impossibile [2/2]: Gaio Sempronio Gracco
Continuazione de: La riforma agraria impossibile [1/2]: Tiberio Gracco
In seguito all’assassinio di Tiberio Gracco, una parte dell’aristocrazia era consapevole dei problemi della società romana ed era disposta a perdere qualche privilegio pur di evitare la situazione di instabilità che avrebbe potuto mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza del loro potere. Il parere restava comunque quello che a governare fosse la classe aristocratica, ma con un occhio verso classi subalterne, alleati e provinciali. Un’altra parte dell’aristocrazia, al contrario, non era disposta a concessioni di potere e privilegi ed era pronta anche a scavalcare la legge, ricorrendo se necessario alla violenza fisica e all’omicidio. La lotta tra questi due gruppi, rispettivamente populares e optimates, non riguardava più classi sociali; non sono da intendersi nemmeno con il concetto della parola “partito”, piuttosto due orientamenti interni alla sola aristocrazia.
Tornando alle vicende storiche, nel 123 a.C. la politica di Tiberio fu ripresa con vigore dal fratello Gaio Gracco, che raggiunse anch’egli la carica di tribuno della plebe. Tenendo conto del precedente drammatico, Gaio prese opportune contromisure, come quella di isolare la frangia più conservatrice dell’aristocrazia e quella di guadagnarsi l’appoggio dell’ala più moderata (sostegno che suo fratello non ebbe): così riuscì a farsi eleggere per due mandati consecutivi, cosa non riuscita al fratello. Mantenendo come scopo finale l’approvazione di una legge che limitava il possesso delle terre pubbliche, Gaio affiancò ad essa molti provvedimenti e misure. Questi provvedimenti, che furono approvati, riguardavano la plebe urbana e i cavalieri. Le legge annonaria, ad esempio, stabilì l’acquisto e l’immagazzinamento di enormi quantità di grano, da parte dello Stato, che sarebbe stato distribuito periodicamente ai nullatenenti ad un basso prezzo. Un’altra misura importante fu l’ammissione del ceto equestre nelle giurie dei tribunali che si trovavano a giudicare il malgoverno delle province, fino ad allora di esclusiva competenza senatoria. Poi, Gaio propose di fondare nuove colonie in Italia e nelle province, per dare terre e case ai nullatenenti, cercando inoltre di dare maggiori diritti agli alleati italici, più vicini a quelli dei cittadini romani.
La politica di Gaio sembrò andare nel verso giusto, ma ci fu sempre l’aristocrazia ottimata con cui fare i conti. Approfittando dell’assenza del tribuno, recatosi in Africa per pianificare la fondazione di una colonia, il Senato approvò una serie di misure a favore del proletariato. Ma come mai gli ottimati che erano sempre contrari ad ogni forma di concessione appoggiarono tali riforme? Semplice, per il semplice fatto di togliere consenso a Gaio. Ma non finì qui: avendo di fatto il controllo degli organi preposti alle leggi, l’aristocrazia introdusse un nuovo strumento giuridico, il senatusconsultum ultimum, un provvedimento che conferiva ai consoli pieni poteri in caso di gravi minacce all’ordine pubblico, tra cui anche la condanna a morte di un cittadino romano senza alcun processo.
Se con l’uccisione di Tiberio si era giunti all’omicidio politico, illegale, ora un eventuale assassinio di questo genere diventava a tutti gli effetti legale e non perseguibile. Dopo aver fallito la terza elezione al tribunato della plebe nel 121 a.C. Gaio fu dichiarato nemico pubblico insieme ai suoi sostenitori: per sfuggire alla cattura Gaio preferì farsi uccidere da uno schiavo; poi fu decapitato e il corpo gettato nel Tevere. Sorte diversa ebbero i suoi sostenitori, tutti catturati (in una vera e propria caccia all’uomo da parte aristocratica) e giustiziati.
La riforma agraria di Gracchi? Quella di Gaio fu smantellata per sempre. Anzi, ignorata, proprio come quella di suo fratello Tiberio: la repressione violenta ebbe l’effetto di scoraggiare per molti anni (sino a Gaio Mario e a Livio Druso) a venire l’iniziativa politica dei populares.
[X]