La figura storica di Pitagora e il pitagorismo nella storia
[immagine di copertina: Pitagorici celebrano il sorgere del sole di Fëdor Bronnikov,1869]
La tradizione ha presentato la figura di Pitagora come quella di un profeta-mago, di un operatore di miracoli a cui ha attribuito una sapienza nascosta, che egli avrebbe riservato agli iniziati e che avrebbe appreso direttamente dal suo dio protettore, Apollo, per bocca di Temistoclea, una sacerdotessa di Delfi. In realtà ciò che sappiamo di lui, se si prescinde dagli elementi leggendari, è molto poco.
Pitagora nacque a Samo, tra il 571 e il 570 a.C.; giunse in Italia nel 532-531 e morì intorno al 490 a.C. A Crotone fondò una scuola che fu anche una sede di indottrinamento religioso (una vera e propria setta) e politico, che ebbe grande grande diffusione ben presto in buona parte delle città greche dell’Italia meridionale, ponendosi come una politica anti-tirannica, che arrivò anche ad occupare il potere, ma che lo esercitò in senso aristocratico. Molto probabilmente Pitagora non scrisse nulla: la sua dottrina fu trascritta e portata avanti dai suoi discepoli. Delle tante dottrine filosofiche attribuite nel corso del tempo, l’unica su cui vi è la certezza che sia autentica è quella della metempsicosi, ossia della trasmigrazione delle anime dopo la morte in corpi umani o animali. Il corpo era visto come una prigione dell’anima che doveva “scontare” nel corpo una colpa originaria: l’unico rimedio per liberare l’anima era per egli la filosofia, intesa sia come sapienza e conoscenza, sia riconducibile a riti purificatori che avrebbero portato alla salvezza e alla liberazione dell’anima.
«Si dice che un giorno, passando vicino a qualcuno che maltrattava un cane, [Pitagora], colmo di compassione, pronunciò queste parole: ‘smettila di colpirlo! La sua anima la sento, è quella di un amico che ho riconosciuto dal timbro della voce’.» (Diogene Laerzio)
La setta dei pitagorici non si limitava a condividere conoscenze tecnico-scientifiche, ma aveva anche regole ascetiche (come ad esempio il vegetarianesimo) e praticava la comunione dei beni. Essa considerava Pitagora come unico riferimento e vietava di apportare modifiche alla dottrina (valeva il principio dell’ipse dixit), tanto meno di diffonderla ad estranei (Ippaso di Metaponto fu cacciato per aver diffuso l’idea di “infinito matematico”).
«Quanto Pitagora comunicava ai discepoli più stretti, nessuno è in grado di riportare con sicurezza: in effetti presso di loro il silenzio era osservato con grande cura. Tuttavia, i punti ammessi sono i seguenti: prima di tutto, che l’anima è immortale; inoltre, che essa trasmigra in altre specie di animali; inoltre, che in periodi determinati, ciò che è stato rinasce, che nulla è assolutamente nuovo; e che bisogna riconoscere la stessa specie a tutti gli esseri che ricevono la vita. In effetti sono questi, secondo la tradizione, le dottrine che Pitagora per primo introdusse in Grecia.» (Porfirio)
Quando nelle città magno-greche si determinò un movimento democratico che distrusse le istituzioni di tipo aristocratico – politiche e non – dei pitagorici, questi furono massacrati o costretti a fuggire, esportando in quest’ultimo caso la filosofia pitagorica anche al di fuori dell’Italia meridionale.
Il contributo dei pitagorici alla cultura umana tuttavia può essere definito notevole. A loro si deve, infatti, la fondazione scientifica della matematica (aritmo-geometria); ad essi si deve pure un’intuizione che starà alla base della scienza moderna (passata dai Pitagorici a Platone, da Platone a Galileo Galilei): quella secondo la quale la matematica costituisce il più importante codice d’interpretazione della realtà. Altre due dottrine sviluppate dai pitagorici oggi sono alla base dell’astronomia e della biologia moderne: l’eliocentrismo, secondo cui la Terra si muove intorno al Sole, e l’encefalocentrismo, quella secondo cui il cervello (e non il cuore) è l’organo della vita spirituale.