La figura di Eracle: nome, origini, infanzia
Oggi voglio iniziare una serie di articoli incentrati su figure della mitologia greca e romana. Per iniziare ho scelto una delle figure più conosciute e famose all’interno di questo ciclo: Eracle. Iniziamo subito quindi nel dare uno sguardo alla figura dell’eroe per eccellenza, sulle sue origini e sulla sua infanzia.
Eracle, che i Latini chiamavano Ercole, è l’eroe più popolare e più celebre di tutta la mitologia classica. Le leggende in cui figura costituiscono un ciclo intero, in perpetua evoluzione dall’epoca pre-ellenistica alla fine dell’Antichità. Così è assai malagevole esporre quei diversi episodi secondo un ordine logico. Già queste difficoltà erano state avvertite dai mitografi antichi, e, seguendo loro, adotteremo una classificazione, d’altronde piuttosto artificiosa, che distingue tre grandi categorie di leggende eraclee:
- il ciclo delle Dodici Fatiche;
- le imprese indipendenti dal ciclo precedente, e che comprendono le spedizioni condotte dall’eroe alla testa di eserciti (mentre le Fatiche sono compiute generalmente da Eracle solo, o con l’aiuto del nipote Iolao);
- le avventure secondarie, che gli sono capitate durante il compimento delle Fatiche.
Prima di esporre le Fatiche, riferiamo le leggende che concernono l’infanzia dell’eroe e la sua educazione. Con gli episodi relativi alla sua apoteosi, sono i soli elementi del ciclo eracleo che si lasciano integrare in una cronologia approssimativa.
I. Il nome, le origini, l’infanzia d’Eracle. Lo stesso nome dell’eroe non è, dicono i mitografi, quello che egli portò all’inizio: è un nome mistico che gli fu imposto da Apollo, sia direttamente, sia per la mediazione della Pizia, nel momento in cui diventò il servitore di Era, sottomesso alle fatiche ch’ella gli faceva imporre. All’origine, il figlio d’Anfitrione d’Alcmena si chiamava Alcide (che è un patronimico tratto dal nome del nonno, Alceo), o, anche, come sua nonno, Alceo. Questo nome evocava in greco l’idea della forza fisica (αλχη). Allorché, dopo l’uccisione dei figli ch’egli aveva avuti da Megara, l’eroe andò a chiedere la sua «penitenza» alla Pizia, quest’ultima, fra altre prescrizioni, gli ingiunse di assumere, da quel momento, il nome di Eracle, che significa «la Gloria d’Era», senza dubbio perché le fatiche che egli stava per intraprendere dovevano servire alla glorificazione della dea. Proprio questo nome gli resterà e con questo è sempre designato dagli autori e sui monumenti figurati.
Attraverso il suo padre «mortale» Anfitrione, e attraverso sua madre, Alcmena, Eracle appartiene alla stirpe dei Perseidi. I due nonni, paterno e materno, Alceo ed Elettrione, erano infatti entrambi figli di Perseo e d’Andromeda. E’ dunque di stirpe argiva, e nacque a Tebe in modo del tutto casuale. Egli considererà sempre il Peloponneso e più particolarmente l’Argolide come la sua vera patria. Proprio qui cercherà sempre di tornare, malgrado la volontà di Euristeo e qui, soprattutto, verranno a stabilirsi i suoi discendenti.
Eracle è figlio d’Alcmena e d’Anfitrione; ma, di fatto, il suo vero padre è Zeus, il quale aveva approfittato dell’assenza di Anfitrione, partito in spedizione contro i Teleboi, per ingannare Alcmena assumendo la forma e l’aspetto del marito, e durante la lunga notte, prolungata dietro suo ordine, per generale l’eroe. Anfitrione, ritornando il mattino, si fece riconoscere, e diede ad Alcmena un secondo figlio, Ificle, il fratello gemello di Eracle, più «giovane» di lui di una notte. Si raccontava che, per farsi riconoscere da Alcmena e toglierle ogni possibilità di dubbio, Zeus le aveva inviato in regalo una coppa d’oro che era appartenuta a Pterelao, re dei Teleboi. E, inoltre, le raccontò, come se fossero sue, le imprese compiute durante la spedizione dal vero Anfitrione. Durante il ritorno di quest’ultimo, intervenne per riconciliare marito e moglie, e Anfitrione si rassegnò, si dice, a far la parte del padre putativo del divino infante.
La collera di Era, gelosa di Alcmena, comincia a manifestarsi anche prima della nascita del bimbo. Zeus aveva imprudentemente affermato che il bambino che stava per nascere, dalla stirpe dei Perseidi, avrebbe regnato su Argo. Subito Era ottenne dalla figlia Ilizia, la dea dei parti, che la nascita di Eracle fosse ritardata, mentre fosse anticipata quella d’Euristeo, suo cugino, figlio di Stenelo. Così. Euristeo nacque a sette mesi, mentre Eracle fu portato dieci mesi dalla madre.
Esistono diverse leggende che raccontano come Eracle, ancora piccolissimo, succhiò il seno d’Era, la sua peggior nemica. Si dice che fosse la condizione attraverso la quale l’eroe poteva ottenere l’immortalità, ed occorse giocare d’astuzia affinché questa condizione venisse soddisfatta. Secondo alcune tradizioni, fu Ermes a porre il bambino sul seno della dea addormentata. Quand’ella si risvegliò, respinse il bambino, ma troppo tardi. Il latte che colò dal suo seno produsse una striscia nel cielo, la Via Lattea.
Un’altra tradizione racconta l’avventura in modo diverso: Alcmena, temendo la gelosia d’Era, avrebbe esposto il piccolo Eracle alla nascita, nei pressi di Argo (e non Tebe, come lo esigerebbe la verosimiglianza, se questa leggenda non fosse stata inserita nel ciclo tebano dell’eroe), in un luogo che portò in seguito il nome di «Pianura d’Eracle». Atena ed Era si trovarono a passare di lì. Atena, stupita per il vigore del neonato e per la sua bellezza, chiese ad Era di offrirgli il seno. Era acconsentì, ma Eracle succhiò con tanta forza che ferì la dea. Quest’ultima lo scagliò violentemente lontano da lei. Atena lo raccolse, lo riportò da Alcmena e le ordinò di allevare il bambino senza timore.
Allorché Eracle ebbe otto mesi (altri dicono dieci), Era tentò di farlo morire. Una sera Alcmena aveva messo a dormire i due gemelli, Eracle ed Ificle, nella loro culla, e si era addormentata. Verso mezzanotte, la dea introdusse nella camera due enormi serpenti che si avvolsero attorno ai bambini. Il piccolo Ificle si mise a gridare. Eracle, intrepidante, afferò gli animali per la gola, uno per ogni mano, e li strangolò. Anfitrione accorse alle grida d’Ificle, con la spada in mano, ma non ebbe bisogno d’intervenire. Vide bene che Eracle era il figlio d’un dio.
Si attribuiva ad Eracle un’educazione conforme a quella dei fanciulli greci dell’epoca classica, simile anche a quella ricevuta da Achille da parte del centauro Chirone. Avrebbe avuto come primo maestro il musico Lino, il quale gli insegnò, si dice, i rudimenti delle lettere e della musica. Seguiva le lezioni inseme ad Ificle. Ma, mentre quest’ultimo si mostrava un allievo docile e diligente, Eracle era assai indisciplinato, dimodoché Lino doveva richiamarlo all’ordine, e, un giorno, tentò di punirlo. Eracle non volle subire e s’incollerì; afferrò uno sgabello (altri dicono una lira), e con questo colpì tanto forte il suo maestro che lo uccise. Eracle fu portato davanti a un tribunale e accusato d’omicidio. Si salvò citando una sentenza di Radamanto, secondo la quale si aveva il diritto di uccidere il proprio avversario in caso di legittima difesa. Così, fu assolto. Ma Anfitrione, poco rassicurato, e temendo nuovi accessi di collera nel proprio figlio adottivo, si affrettò a mandarlo in campagna a custodire le mandrie. Qui, secondo una tradizione, la sua educazione fu continuata da un bovaro, uno Scita chiamato Teutaro, il quale gli insegnò il tiro con l’arco. Ma, più generalmente, si ammetteva che la sua formazione era stata diretta da altri maestri: lo stesso Anfitrione l’iniziò alla guida di un carro; Eurito nel tiro con l’arco; secondo una variante, dovette quest’ultimo insegnamento anche a Radamanto, che, come Cretese, era molto esperto in quest’arte. Castore (che bisogna identificare o con uno dei Dioscuri, o con un rifugiato da Argo, figlio d’un certo Ippalo) gli insegnò ad adoprare le armi. Dopo Lino, il suo sfortunato maestro, ricevette ancora le lezioni d’Eumolpo, figlio di Filammone e nipote d’Autolico, il quale lo perfezionò nella musica.
Intanto, Eracle cresceva e giungeva alla straordinaria statura di quattro cubiti e un piede. A diciotto anni, compì la sua prima impresa, uccidendo il leone di Citerone. Questo leone era una belva d’una grossezza e di una ferocia tali che provocava perdite considerevoli nelle mandrie d’Anfitrione e del re Tespio (il quale regnava su un paese vicino a Tebe), senza che alcun cacciatore osasse attaccarlo. Eracle decise di liberarne il paese. Per questo, andò a stabilirsi dal re Tespio, e durante tutto il giorno cacciava, ma ritornava a dormire al palazzo di sera. In capo a cinquanta giorni, riuscì ad uccidere il leone. Ma, per tutto questo periodo, il re Tespio, il quale aveva avuto cinquanta figlie dalla moglie Megamede, figlia d’Arneo, e che desiderava avere nipoti dall’eroe, fece in modo da mettere, ogni sera, nel suo letto, una delle figlie. Eracle si unì a tutte, nel buio, era così stanco della giornata passata a caccia che credette di unirsi ogni sera con la stessa. Generò cinquanta figli, i Tespiadi.
Alcuni autori pongono questa prima caccia al leone, prefigurazione di quella del leone di Nemea, non sulle pendici del Citerone, ma sull’Elicona o anche vicino a Teumessa. Pausania ha anche raccolto una leggenda secondo cui il leone di Citerone non fu ucciso da Eracle, ma da Alcatoo (al quale, generalmente, si attribuisce la morte del leone di Megara). Infine, una leggenda locale dell’isola di Lesbo diceva che, anche in tal luogo, Eracle aveva ucciso un leone.
Mentre Eracle ritornava dall’aver cacciato il leone del Citerone, incontrò, avvicinandosi a Tebe, i legati del re d’Orcomeno, Ergino, che venivano a reclamare il tributo che i Tebani pagavano agli abitanti d’Orcomeno. Eracle lì oltraggiò, tagliò loro il naso e le orecchie, li infilò con una corda e li sospese al loro collo. Poi disse loro di portare quel tributo al loro padrone. Ergino, indignato, marciò contro Tebe. Ma fu battuto da Eracle, il quale impose ai Mini d’Orcomeno un tributo doppio di quello che loro stessi avevano imposto a Tebe. Nella battaglia, Anfitrione fu ucciso, combattendo valorosamente a fianco del figlio. Secondo un’altra tradizione, Anfitrione morì più tardi, dopo aver portato a buon fine, con Eracle, la spedizione contro il re d’Eubea Calcodonte, e aver assistito all’uccisione dei nipoti. Eracle avrebbe combattuto da solo contro Ergino, avendo avuto armi dalla stessa Atena.
Il re di Tebe, Creonte, per ringraziare degnamente Eracle per il servizio che aveva reso alla città, gli diede in sposa la figlia maggiore, Megara, mentre maritava la minore a Ificle. Megara dette vari figli all’eroe: otto, secondo Pindaro; tre, secondo Apollodoro, che li nomina: Terimaco, Creontide e Deicoonte. Altre tradizioni ne conoscono sette, o cinque. Ma, ben presto, Eracle uccise i suoi figli e due di quelli che aveva avuti Ificle. Questo delitto è raccontato in modo diverso dagli autori. Ha fornito l’argomento d’una tragedia a Euripide e a Seneca.
Secondo gli uni (e ciò sembra essere la tradizione più antica), Eracle buttò i figli nel fuoco. Secondo gli altri, e particolarmente Euripide, li uccise a frecciate. Giunse fino ad attaccare il padre, Anfitrione, ed era sul punto di ucciderlo, allorché Atena lo colpì al petto con una pietra e lo fece immergere in tal modo in un sonno profondo. La ragione di questa serie di delitti è generalmente attribuita a un eccesso di follia provocato da Era. Secondo certe tradizioni, essa voleva obbligarlo a mettersi al servizio d’Euristeo, sia provocando in lui un’impurità morale che lo avrebbe costretto a sottomettersi a un’espiazione, sia perché, malgrado l’oracolo di Zeus, Eracle esitava a recarsi ad Argo e a riconoscere Euristeo come suo padrone. Era un avvertimento che gli inviava la dea.
Dopo essere rinsavito, Eracle non volle più vivere con Megara. La diede al nipote Iolao (benché la differenza d’età fosse considerevole fra i due, dato che, secondo i calcoli dei mitografi antichi, lei aveva 33 anni, mentre lui ne aveva solamente 16).
Euripide ha unito la leggenda dell’uccisione dei figli di Megara con la storia d’un usurpatore venuto dall’Eubea, Lico, il quale uccide il re Creonte e s’impadronisce di Tebe durante l’assenza di Eracle sceso agli Inferi. L’eroe ritorna in tempo, uccide Lico; ma, nel momento in cui sta per offrire un sacrificio di ringraziamento all’altare di Giove, davanti al palazzo, Era gli invia la Follia, che s’impadronisce di lui. Crede che i suoi figli siano quelli d’Euristeo, e li uccide. Scambia il proprio padre per quello d’Euristeo, Stenelo, ed è sul punto di ucciderlo quando Atena lo colpisce al petto e l’addormenta. Al risveglio, si rende conto dei delitti, e vuole suicidarsi. Ma Teseo, il quale giunge in quel momento, lo svia dal progetto e lo conduce ad Atena. Si vede che Euripide ha cambiato la cronologia tradizionale dell’episodio, ponendolo dopo a discesa agli Inferi, cioè travalicandolo all’interno delle Fatiche, invece di farne il primo atto della vita dell’eroe. Inoltre, fa intervenire Teseo, l’eroe «filosofo» per eccellenza, simbolo della misurata saggezza attica di fronte alla violenza dorica.
(Fonte: Dizionario di mitologia greca e romana)
Nel prossimo articolo vedremo invece quelle che furono le imprese che diedero alla figura di Eracle il suo “status” di eroe, ossia le dodici fatiche.