La crisi nell’impero romano nel III e nel del IV secolo
In tale articolo prenderemo in considerazione uno dei periodi storici più travagliati e conflittuali della storia dell’impero romano, ovvero il III e il IV secolo. Tale periodo non appare tanto un’epoca di crisi e di decadenza tra due periodi felici ma piuttosto un’età di radicali trasformazioni e di lotte che erano l’inevitabile conseguenza delle politiche perseguite dall’impero romano in quell’epoca storica. Infatti, in questo periodo, lo stato romano era potenzialmente debole a causa dei suoi squilibri che favorivano le classi sociali più elevate, ponendo le premesse dei futuri conflitti sociali. Inoltre nella società romana di quel periodo si avvertiva la mancanza di una politica economica che cercasse di ovviare alle difficoltà più gravi derivanti dalla presenza in essa di una spietata concorrenza che danneggiava soprattutto gli individui più deboli.
La mancanza di tale politica ebbe conseguenze gravi: lo stato romano era potenzialmente vulnerabile a ogni crisi provocata sia dai fattori interni, che ne assicuravano la vitalità, sia dalle pressioni di forze esterne, che tentavano di minarne la stabilità. Inoltre già a partire dal secondo secolo assistiamo al mutare delle strutture agrarie sulle quali era fondata l’economia dell’impero; infatti il lavoro servile decadde per impossibilità di procurarsi il ricambio necessario e per il sostituirsi di una manodopera meno qualificata ma a prezzi più bassi. Al sistema della villa, basata sul lavoro servile, si sostituì progressivamente la struttura agraria del latifondo. Esso era costituito da più unità coltivate da coloni legati al dominus attraverso vari rapporti giuridici. Tuttavia la crisi dell’economia servile e l’instaurarsi dei nuovi rapporti di produzione non portarono ad un miglioramento delle condizioni delle masse. Ciò avvenne per il calo generale della produttività e per l’inflazione monetaria che divenne vertiginosa nella seconda metà del III secolo. Dobbiamo mettere in evidenza che il tenore di vita dei ceti medi non migliorò per la mancanza di una politica tesa a modificare le strutture portanti della società imperiale e i privilegi delle classi superiori.
Queste contraddizioni e diseguaglianze del sistema economico non portarono alla formazione di quelle che oggi chiameremmo l’ideologia e la coscienza rivoluzionaria di classe. Tuttavia è innegabile che le tensioni sociali nel III secolo furono drammaticamente avvertite e causarono importanti mutamenti. La vita nelle città decadde, mentre nuove forze emersero dalle campagne. Nelle province, tra gli strati inferiori della società ,specie di matrice rurale, l’opposizione si esprimeva spesso in una rinascita di stili di vita, lingue, cerimonie religiose, forme artistiche anteriori alla conquista romana. Infatti dobbiamo tenere presente che la romanizzazione presso le classi inferiori delle province era meno forte della romanizzazione delle classi superiori. Pertanto culture popolari come la copta, la siriaca, la punica cominciarono a penetrare nella “civilitas” classica minandola in profondità, in un gioco complesso di relazioni e di interrelazioni assai problematiche. In Egitto, Diocleziano, un imperatore assai preoccupato delle sorti della “romanitas”, tentò di imporre il latino ma senza efficaci risultati.
D’altra parte la predicazione cristiana, caratterizzata da tematiche assai accessibili alle masse e rivolta ai popoli nelle rispettive lingue indigene, rendeva più rapido quel grandioso processo che oggi si tende a definire “democratizzazione della cultura”. A queste spinte, che provenivano dal basso, le classi dominanti resistettero ma il prezzo di tale resistenza fu la loro trasformazione. L’ordine senatorio perse alcuni privilegi e fu costretto a cedere comandi e posti amministrativi alla nuova gerarchia equestre e militare. Le stesse aristocrazie municipali, costituite da proprietari di medie e piccole aziende a condizione servile, furono molto danneggiate nel confronto con i nuovi proprietari di latifondi a conduzione coloniaria. Nell’Oriente ellenistico-romano, esse pressate ed impaurite dalle sommosse del proletariato urbano, furono propense ad accettare, anche a costo della rinuncia alla loro libertà politica un forte potere centrale monarchico ed autoritario. Infatti tale potere era l’unico in grado di ristabilire la pace sociale. La classe degli “honestiores” si arricchì dunque di nuove forze: militari, latifondisti, burocrati conquistarono le più alte cariche dello stato.
Le riforme promosse da Diocleziano sancirono definitivamente la formazione di questa nuova classe sociale costituita dagli amministratori imperiali. Tale cambiamento risulterà di grande importanza per il futuro del cristianesimo. Infatti, Costantino e i suoi successori non dovettero fronteggiare un’aristocrazia ereditaria saldamente trincerata sulle sue posizioni e ostile alle innovazioni religiose. Pertanto Costantino e i suoi successori poterono costruire e plasmare una nuova nobiltà più ossequiente ai loro voleri. In questo contesto sociale di rivoluzionari mutamenti, il supporto ideologico e religioso per lo stato restò ancorato alla tradizione pagana. Malgrado fossero assai diffuse le tendenze al monoteismo anche in ambienti pagani, durante il regno di Diocleziano si celebravano ancora come protettori dell’impero Giove ed Ercole, le grandi divinità del Pantheon greco–romano. Appena qualche anno prima che Costantino giungesse al potere, si promossero le ultime sanguinarie persecuzioni contro i cristiani ma da tali persecuzioni la nuova religione riuscì ad uscire indenne e rafforzata. Il Cristianesimo pur essendo quantitativamente minoritario, specie in Occidente, si era diffuso, secolarizzandosi nel mondo intero, come con allarme constatava Porfirio, l’illustre filosofo neoplatonico.
Il Cristianesimo aveva ottenuto successi significativi in tutto il territorio dell’impero romano. Nel fare un esempio concreto a Roma la chiesa locale aveva compiuto opera di proselitismo anche tra le classi più alte, riportando significativi risultati. Marcia, la concubina di Commodo era considerata amica dei cristiani e poco dopo ai tempi di Papa Callisto, donne importantissime di rango senatorio erano solite offrire le loro ricche elemosine. In estrema sintesi la chiesa di Roma raggiunse una tale efficienza organizzativa e forza economica da entrare in concorrenza con lo stato romano. Addirittura la chiesa di Roma fu in grado di sostituirsi allo stato nelle donazioni ai poveri e nelle elargizioni di benefici. In Spagna poi tra la fine del III e l’inizio del IV secolo vi erano non pochi cristiani tra le aristocrazie municipali. Dobbiamo tuttavia mettere in evidenza che alcuni di loro vennero colpiti dai canoni del Concilio di Elvira perché addirittura detenevano il supremo onore del sacerdozio provinciale. Di conseguenza nessuno poteva negare che il cristianesimo aveva compiuto passi molto importanti nel proselitismo tanto che a colui che guardasse dall’esterno appariva chiaro che il cristianesimo giocava un ruolo importante nell’impero romano.
Per fare un esempio concreto, Mani nella sua predicazione incominciata nello stato persiano affermava che dell’impero romano, almeno nella sua parte orientale, erano abbastanza numerosi i cristiani. Pertanto dobbiamo mettere in evidenza che benché il cristianesimo avesse subito durissime e sanguinarie persecuzioni aveva saputo trovare le energie per superare questa durissima prova. A queste nuove realtà che erano andate maturando nel corso del III secolo Costantino volle realisticamente adeguarsi. Egli a differenza dei suoi predecessori comprese quanto fosse priva di prospettive una politica religiosa anticristiana e favorevole ai culti degli antichi dei.
Costantino comprese che l’impero romano era ormai diventato una società monoteistica nelle sue componenti più rappresentative soprattutto in Oriente dove il Cristianesimo aveva ottenuto i successi più clamorosi. D’altra parte anche all’interno del paganesimo le correnti monoteiste acquistarono sempre più importanza a danno del tradizionale paganesimo politeistico romano. Per quanto riguarda il Cristianesimo, Costantino andò assai oltre la concessione della libertà di culto ai seguaci della nuova religione: egli volle che l’impero monarchico ed ereditario avesse il sostegno delle strutture del cristianesimo. Influenzato in tal senso dai vescovi legati alla comunità romana, l’imperatore non solo difese la chiesa dai suoi nemici esterni ma sentì anche il bisogno di eliminare i dissensi e le discussioni teologiche che rischiavano di spezzarne l’unità e perciò la sua stessa forza politica. Ciò spiega sia l’attività di Costantino contro i donatisti africani, sia l’appoggio da lui dato più tardi, durante il Concilio di Nicea, alle tesi sostenute dalla chiesa ufficiale contro l’eresia di Ario, a proposito del complesso problema cristologico.
Durante il Concilio di Nicea, seduto su un trono d’oro massiccio posto al centro della sala, l’imperatore presiedeva la discussione partecipandovi vivamente, come afferma Eusebio di Cesarea, il suo panegirista cristiano. In parallelo alla sua rivoluzionaria politica religiosa, Costantino promosse mutamenti altrettanto rivoluzionari nella politica economica e monetaria. Resosi conto dell’inutilità degli sforzi di difendere il denarius ( l’inflazionata moneta dei ceti meno abbienti), egli l’abbandonò al suo destino, ancorando l’intero sistema monetario all’oro. Infatti Costantino creò il “solidus aureus” destinato a rimanere inalterato sino alla fine del XII secolo. Da queste radicali riforme uscirono vittoriosi i ceti più agiati possessori di oro e la nuova nobiltà della burocrazia imperiale che si era formata nel corso del III secolo. Tale burocrazia trovava ulteriore spazio e rigore nel complesso ordinamento amministrativo e militare della monarchia teocratica di Costantino. D’altro lato il supporto ideologico dell’impero di Costantino rifletteva in fondo le esigenze culturali delle sue classi egemoni. Infatti, nella stessa corte costantiniana si propagandava l’ideale aristocratico della “civilitas” in cui potevano riconoscersi non solo i cristiani ma anche quegli intellettuali pagani che prese le distanze dagli aspetti deteriori della cultura classica, si incontravano nel culto della “ summa divinitas”.
Tuttavia non bisogna ritenere che la politica di Costantino si affermò senza traumi e scosse. Al contrario essa venne condotta tra aspri contrasti e tensioni con cui l’imperatore dovette costantemente fare i conti. Innanzitutto esplosero le contraddizioni all’interno stesso delle classi superiori tra le quali l’antica aristocrazia senatoriale si sentì attaccata dalla concorrenza della nuova aristocrazia dei funzionari imperiali. La prima per la sua forte tendenza conservatrice, restò ancorata alla religione tradizionale in cui essa vide il simbolo dei propri splendori passati. La seconda, pur essendo formata in buona parte da pagani, era disposta ad una revisione del patrimonio ideologico del vecchio paganesimo. Inoltre essa in certe occasioni era disposta ad accettare tra i suoi ranghi anche i cristiani, ai quali andava il favore dell’imperatore. Vogliamo mettere in evidenza che il delicato problema dei rapporti con le forze pagane più conservatrici, che in occidente godevano ancora di un forte prestigio sociale, costituì una preoccupazione tra le più rilevanti per Costantino e per i suoi successori. In secondo luogo la svalutazione del “denarius” e l’ancoraggio del sistema monetario all’oro causò una spaccatura incolmabile tra le classi sociali più deboli e quelle dominanti. Le sperequazioni economiche e sociali tra un ceto e l’altro esistenti, causarono fortissimi ed insanabili conflitti sociali che determinarono comportamenti violenti che misero a rischio l’incolumità fisica di molti individui. Inoltre, i componenti dei ceti medi e inferiori, espressero il proprio risentimento verso i membri delle classi sociali dominanti creando le condizioni per la nascita di culture indigene provinciali che si opposero alla fortissima ellenizzazione e romanizzazione dei componenti delle classi sociali dominanti. Malgrado l’impero di Costantino avesse una struttura fortemente autoritaria, piramidale, le tensioni e i fermenti al suo interno furono rilevanti ed interessarono le diverse classi sociali. Diversi sono i giudizi formulati dagli studiosi dalla politica, sociale ed economica di Costantino.
Per fare degli esempi, la politica di Costantino fu considerata da Burkhardt opera di un uomo Machiavellico mentre fu considerata da Biganiol opera di un uomo indeciso e in crisi mentre altri autori considerarono la politica di Costantino l’espressione e la conseguenza dei complessi problemi economici, sociali e religiosi, con i quali essa fu costretta ad incontrarsi e scontrarsi. A nostro avviso la politica religiosa di Costantino non fu frutto di un calcolo politico dal momento che essa favorì i cristiani anche se essi erano una minoranza nell’impero romano in quel periodo storico. Costantino adottando un politica religiosa filo-cristiana si espose a notevoli rischi ragion per cui tale politica non può essere considerata frutto di un calcolo politico. Secondo la nostra opinione le scelte politiche di Costantino furono determinanti in buona parte dall’evento miracoloso che gli accadde prima della battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio. Tale evento convinse Costantino a convertirsi alla religione cristiana abbandonando il paganesimo e ad adottare una politica religiosa filo-cristiana sebben incline ad un evidente sincretismo religioso. Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso sugli eventi storici, religiosi, politici ed economici che caratterizzarono il terzo secolo e l’inizio del IV secolo nell’impero romano, periodo storico molto ricco di problemi e di conflitti di ogni genere.
Prof. Giovanni Pellegrino – Prof.ssa Mariangela Mangieri