La città di Pompei (pt. 6): le case di III secolo a.C. della Regio VI
La suddivisione degli spazi abitativi comincia a Pompei tra il IV e il III secolo a.C. con la lottizzazione dei terreni. Si tratta di una divisione fatta in base al grado di appartenenza sociale tenendo conto anche della posizione strategica: non tutti i lotti sono di uguali dimensioni, e quelli più estesi si trovano in prossimità di zone maggiormente frequentate di passaggio. Le prime case avevano già, al momento della loro edificazione, una comune tipologia ad atrio tuscanico, ossia con il tetto che non aveva supporti architettonici che lo reggevano da terra. La casa ad atrio tuscanico si diffonde nello stesso periodo in cui Pompei inizia a gravitare intorno all’orbita culturale romana, così come buona parte dell’Italia centro-meridionale dell’epoca. Ne sono un esempio la Casa degli Scienziati, la Casa del Naviglio e la Casa del Chirurgo, risalenti rispettivamente all’inizio, a metà e alla fine del III sec. a.C., che hanno un modello planimetro comune.
Non mancano esempi di altre case di questo genere nelle colonie romane di età medio-repubblicana, come Fregellae o Cosa, dove l’atrio delle case volgeva verso il Foro (aspetto ipotizzabile a Pompei per l’area est del Foro Civile), probabile riferimento alla casa appartenuta alla famiglia degli Scipioni che vi affacciava a sua volta.
Una ricostruzione dell’atrio delle case che va al di là della semplice planimetria la si può fare notando l’evoluzione delle tombe etrusche ad ipogeo, che replicavano in formato “sotterraneo” le case convenzionali. Queste, nel loro periodo più antico (V-IV sec.), si presentavano nel seguente modo: andando verso l’interno si aveva un grande ambiente centrale dal quale si diramavano dei piccoli corridoi (o vestiboli) che conducevano ognuno verso un singolo spazio. Dal III secolo vi è la scomparsa dei mini-vestiboli, e gli ambienti laterali ora sono attaccati tra loro e affacciano tutti sul grande ambiente centrale (atrio). Ne è un esempio l’Ipogeo dei Volumni a Perugia, la cui datazione coincide con il periodo nel quale Perugia divenne civitas foederata.
Ma torniamo a Pompei. Sul finire del III secolo cominciano a comparire nuove tipologie di impianti abitativi. Le più importanti sono due:
- atrio testudinato trasversale, ambiente di servizio e atrio ricavato dallo spazio precedentemente occupato dall’hortus (retro). Es.: Protocasa del Centauro, Casa di Giulio Polibio.
- “case gemelle”: case diverse identiche tra loro, con atrio tuscanico e botteghe che affacciano sulla strada. Es.: Protocasa del Granduca Michele, Protocasa di Nettuno. L’esempio più antico in base alle indagini stratigrafiche sembra essere quello delle case 2 e 4 (Regio VI, insula 10). Nel resto di Pompei inoltre le “case gemelle” possono essere sia autonome che parte di un unica grande casa (pertanto a doppio atrio). In quest’ultimo caso è ancora dibattuto il perché di tale scelta: tra le ipotesi plausibili sono interessanti la divisione funzionale della casa in due parti, o la presenza di più nuclei familiari legati in qualche modo da rapporti familiari.
Queste dimore medio-sannitiche ci hanno lasciato anche grandiose testimonianze delle decorazioni che ne facevano parte. Di particolare bellezza sono la decorazione di I Stile del fregio di Casa del Naviglio e l’antefissa fittile della Protocasa del Granduca Michele.
I pavimenti, in origine almeno, erano in terra battuta. Sempre dal III secolo iniziano ad essere utilizzati pavimenti in cocciopesto talvolta ravvivato con tessere, che col tempo da forme irregolari acquisiscono forme sempre più perfettamente geometriche. Generalmente la qualità della pavimentazione è riscontrabile più negli ambienti più importanti e rappresentativi (tablino e atrio in primis).
Di pitture parietali antiche resta poco, e uno dei pochissimi ritrovamenti si è avuto nella Protocasa del Centauro, dove vi è un motivo a onde su sfondo bianco. Altre analogie decorative si hanno nella zoccolatura come fascia colorata. La maggior parte dei ritrovamenti è comunque dovuta alla scoperta di fosse di scarico poi richiuse che hanno preservato intatto questo pezzo di storia.