La città di Pompei (pt. 4): Foro Triangolare e strutture adiacenti
Il Foro Triangolare è una delle più antiche aree sacre dell’area pompeiana; si trova sul uno sperone lavico da quale si domina il paesaggio circostante della valle del Sarno e la sua posizione era tale che si poteva vedere anche dal mare. Il tempio risale alla prima metà del VI secolo a.C. ed era dedicato ad Atena. In seguito ad Atena fu aggiunto anche il culto di Ercole, a cui venne dedicato un heroon, in virtù della sua presunta fondazione. L’area sacra si arricchì in età sannitica di altri santuari dedicati a divinità orientali (Iside, Esculapio), divenne un luogo legato alla formazione fisica-intellettuale (Palestra, Teatro); in età romana vi fu costruito l’Odeion e furono ristrutturati tutti gli edifici mantenendo gli spazi da sempre preposti alle loro rispettive funzioni.
L’acceso al Foro era segnato da sei colonne tufacee ioniche, che ne facevano da propileo, risalente al II secolo a.C. e rifatto dopo il terremoto del 62 d.C. in laterizio. Dal propileo si accedeva ad un portico a tre bracci (per un totale di circa un centinaio di colonne) che delimitava l’area sacra. Già dopo il 62 d.C. alcuni tratti del portico, eventualmente danneggiati dal sisma, mancavano di tetto. Nei pressi del portico settentrionale vi si trovavano una base marmorea sulla quale poggiava la statua del nipote di Augusto Marcello e una fontana alimentata dall’acquedotto romano del Serino. La presenza dell’acquedotto rese superflua la presenza della più antica cisterna legata alla falda acquifera sottostante, lunga 35 metri, che venne dismessa. La zona era adibita a ginnasio, e non a caso si trovava comunicante con la vicina Palestra Sannitica.
Sulla struttura del Tempio Dorico non si sa molto, se non che fosse circondato interamente da colonne (7×11) con capitelli dorici in travertino e che aveva un piccolo sacello. La scarsa conoscenza della storia dell’edificio è dovuto al suo carente stato di conservazione già riscontrabile in età romana. Dai frammenti ritrovati è pertanto possibile fare solo ipotesi: di sicuro vi sono state minimo tre fasi decorative (metà VI sec., fine VI sec., fine IV sec.), e sempre dai frammenti, si è giunti ad identificare le rappresentazioni di miti come le Fatiche di Ercole (?) o la spedizione degli Argonauti (metopa). Da un’iscrizione ritrovata sul posto si è potuto comprendere che il tempio fosse dedicato a Minerva, della quale si conservano oggetti di una stipe votiva antecedenti alla fine del II secolo a.C.
Altri monumenti del Foro Triangolare sono:
- schola, sedile semi-circolare in tufo risalente all’età augustea [angolo nord-occidentale].
- tre piccoli altari in tufo [davanti al tempio].
- heroon, recinto rettangolare dedicato ad Ercole [est].
- tholos, pozzo (dismesso) circondato da colonne doriche in tufo. Una parte degli studiosi non lo identifica come pozzo ma come “mundus”, ossia come luogo di incontro tra mondo dei vivi e mondo ultraterreno, su modello di una struttura analoga presente nel Foro di Roma. A sostegno di questa ipotesi vi è il fatto che non vi siano segni dello sfregamento di corde di un eventuale pozzo.
Palestra Sannitica. La struttura risale al II secolo quando fu destinata all’utilizzo da parte delle vereia, un’associazione aristocratica locale sannitica. Non vi affacciano nella palestra molti ambienti, presenti solo sul lato occidentale, che fungevano probabilmente da spogliatoi. Il portico manca sul lato orientale: questa mancanza è frutto di una ristrutturazione di età imperiale che sancì il passaggio dei due ambienti presenti all’adiacente Tempio di Iside. Sul lato meridionale vi è una piccola rientranza dove vi è un basamento marmoreo, nel quale vi era una copia del Doriforo di Policleto (ritrovato frammentato durante lo scavo, oggi esposto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli). Contrariamente a quanto creduto, la copia risale all’età sannitica (e non romano-imperiale). Affianco al Doriforo, vi doveva essere una statua onoraria di M. Lucrezio, come testimoniato da un’epigrafe di età augustea: la Palestra Sannitica fu scelta dal dedicante proprio per ricalcare la continuità tra la storia antica della città e la nuova storia sotto il Principato di Augusto.
Teatro Grande. Datato alla metà del II secolo a.C., il Teatro sfrutta la pendenza naturale della collinetta su cui sorge. La cavea era formata in origine da gradini tufacei o calcarei. La struttura oggi visibile è frutto della ristrutturazione di età augustea su committenza dei fratelli Holconii, facenti parte di una delle famiglie più famose della città, che aveva fatto del commercio del vino la loro fortuna. I due fratelli si fecero carico di tutte le spese e dotarono il teatro di una crypta (sottopassaggio coperto), dei tribunalia (tribune d’onore) e della gradinata. Per la crypta fu necessario dotare di fondamenta più solide gli edifici circostanti, tra cui il portico del Foro Triangolare, dotato da questo momento anche di una latrina. La struttura fu anche abbellita da statue onorarie (per gli Holconii) e anche di un posto speciale riservato con su incise lettere bronzee nella media cavea (per Holconius Rufus). La gradinata era divisa in tre anelli circolari ognuno poi ripartito in cinque settori: l’ima cavea per i membri del Senato locale, la media cavea e la summa cavea. L’ima cavea e il palcoscenico sono separati dall’orchestra, che era collegata con la via Stabiana e col Foro Triangolare. Gli attori infine potevano avere accesso indipendente da un vano retrostante.
Caserma dei Gladiatori. A partire (sempre) dal II secolo a.C e fino al 62 d.C. la struttura venne usata come “Porticus Post Scenam“, ovvero come luogo di intrattenimento durante le pause degli spettacoli del Teatro Grande, a cui era collegato. Originariamente non aveva tutte le stanzette che oggi è possibile vedere, se non quella più grande posta sul settore meridionale del quadriportico. Le stanzette, appunto, furono fatte solo nel 62 d.C. quando i collegamenti tra l’ex Porticus Post Scenam e il Teatro Grande furono chiusi e si determinò quindi una nuova struttura indipendente, ovvero la Caserma dei Gladiatori. Sul lato orientale della Caserma vi erano le strutture di riunione e di abitazione del lanista, mentre sui restanti lati vi erano le stanzette dei gladiatori. Al momento degli scavi furono ritrovati 22 scheletri e vari paramenti e armi.
Odeion. L’Odeion (o Teatro Piccolo) è teatro utilizzato per le esibizioni musicali e canore, ed era coperto proprio per permettere una maggiore amplificazione dei suoni, altrimenti dispersa se fosse stato all’aperto. Era collocato nello spazio compreso tra il Teatro Grande e il Porticus Post Scenam. Vi sono due ipotesi che fosse una struttura adibita a luogo consiliare per decurioni o coloni, ipotesi da scartare rispettivamente per il numero di posti (1500/2000 spettatori) troppo grande e per non essere un centro politico quale era il Foro Civile. Le murature sono in opus semi-reticolato. La costruzione è testimoniata da un’iscrizione che indica come appaltatori i duomviri, gli stessi che fecero costruire a loro spese l’Anfiteatro. Gli ingressi erano multipli ed erano varii a seconda della classe sociale dello spettatore. L’ima cavea era separata dalla media cavea da una balaustra di tufo con agli estremi zampe di leone alate. La media cavea invece sosteneva il tetto, a doppio spiovente. Dietro la scena vi erano tre ambienti che fungevano da sala di preparazione o spogliatoio. I muri di contenimento della cavea sono blocchi di tufo sagomati.
Tempio di Esculapio. Questo edificio si è creduto a lungo fosse il sacello di Giove Meilichio, in realtà scoperto successivamente fuori le mura dopo la Porta Stabiana. L’identificazione come tempio sacro a Esculapio fu fatta da Winckelmann che durante gli scavi trovò due statue che lui stesso attribuì a Esculapio e Salus. L’accesso al tempio è dato da un portico da due colonne laterizie che introducono ad un altarino in tufo. Seguono una scalinata che conduce alla cella quadrata in opus quasi reticulatum, alla cui entrata vi è un pronao tetrastilo. In fondo alla cella vi è il basamento delle statue. La cella risale alla prima metà del I secolo a.C. (età coloniale-sillana), ma scavi stratigrafici hanno segnalato la presenza di una struttura precedente, sempre di ambito sacro, ascrivibile all’età sannitica.
Tempio di Iside. L’ingresso è dal portico orientale, distinguibile dalla presenza di due pilasti e di un intercolunnio più largo rispetto a quello degli altri lati. La scelta di questa soluzione è di carattere visivo, per permettere la visione dell’intero edificio. Sulla parete di fondo vi è una nicchia con pittura murale raffigurante un sacerdote. Gli ambienti ad ovest (quelli appartenuti alla Palestra Sannitica fino al 62 d.C.) furono destinati come sala per riunioni tra iniziati e come sacrarium: entrambe erano dipinte all’interno con pitture che celebravano Iside e Osiride, nature morte, soggetti e paesaggi egizi. Il sacrarium in particolar modo celebrava Iside attraverso il mito di Osiride (la ricerca del suo corpo da parte di Iside) e la tipica processione egizia che celebrava il funerale (navigium Isidis). Il lato meridionale era scandito da stanze minori utilizzate dagli addetti al culto. Il centro del santuario è dato dall’altare tetrastilo, dal quale si poteva accedere sia tramite una scalinata frontale, sia da una scalinata di servizio sul retro. Ai lati del pronao vi sono due nicchie, che avrebbero dovuto contenere le statue di Anubi e Arpocrate (associate al culto di Iside e Osiride). Non mancavano poi riferimenti e simboli alla divinità e all’Egitto: ne sono un esempio una colonnina con iscrizioni geroglifiche e una nicchia che ai lati ha due orecchie giganti, simbolo dell’ascolto delle preghiere. Un’altra importante struttura è il piccolo ambiente a cielo aperto che da una scala conduceva ad un bacino che si credeva alimentato dal Nilo. Le decorazioni presenti all’epoca degli scavi (e oggi andate perdute) richiamavano quelle dell’omonimo tempio (Serapeion) di Alessandria d’Egitto.