La “Buona Scuola” secondo Platone
Il governo Renzi ha da pochi giorni ottenuto l’ok del Parlamento alla sua riforma della Scuola, la cosiddetta “Buona Scuola”. Mille polemiche, per diversi motivi, hanno interessato questa riforma che, nel bene o nel male, cambierà la pubblica istruzione italiana. Ma, nell’antica Grecia, quali sono state le proposte di riforma dell’istruzione? Un interessante caso è quello di Platone e della sua Politeia, meglio nota come Repubblica. Nel secondo libro dell’opera (per la precisione paragrafi 376e-383c) vengono delineati i principali elementi della migliore (secondo il filosofo) didattica per i futuri custodi della polis.
Le due materie principali sono la ginnastica e la musica in quanto riguardano l’educazione del corpo e dell’anima. Proprio sulla musica si focalizza la teorizzazione di Platone affidata alla bocca del maestro Socrate. Si può leggere che la materia “Musica” riguarda anche l’arte oratoria, cioè la capacità di elaborare dei discorsi. Affinché i futuri difensori della città possano dare il meglio, bisogna fare in modo che intellettuali e filosofi sovraintendano ai narratori. Si tratta, in sintesi, di una vigilanza ferrea su narratori, maestri e cantori (tra i quali vanno incluse anche le balie e le madri dei bambini) che dovranno esporre determinate storie ai più piccoli. Il tutto nella consapevolezza che il buon cittadino si forma sin dalle prime fasi della sua educazione.
Quali sono, dunque, i poeti ammessi nella buona scuola di Socrate/Platone? Certamente non Omero o Esiodo, in quanto autori di falsi racconti. Dichiarazione sorprendente! Le pietre miliari del genere epico sono “falsi racconti”. Perché questa affermazione? Perché i versi di questi insigni poeti mettono in cattiva luce dèi ed eroi. I miti contenuti nelle loro opere, infatti, ci mettono di fronte a figli che si ribellano e spodestano i padri (si pensi ai miti dell’origine e alla linea Urano-Kronos-Zeus) e a divinità che si fanno la guerra tra loro. I futuri difensori della città non possono essere educati, insomma, alla guerra fratricida (o meglio “patricida”), ovvero alla guerra civile. Un bambino, infatti, non ha uno spirito critico tale da poter giudicare in maniera obiettiva quelle storie «ma ciò che ha accolto a questa età fra le sue opinioni suole diventare incancellabile e inalterabile» (378e): un bambino che vive con storie di guerre intestine sarà, insomma, destinato ad essere protagonista di guerre intestine! Tali storie, pertanto, non dovranno essere neanche rappresentate nei ricami e nell’arte decorativa. Ai più piccoli vanno offerti esempi di virtù!
L’interlocutore di Socrate, Adimanto, si chiede, dunque, quali siano le “tracce” che i poeti dovrebbero seguire nel comporre “buoni racconti”, ricchi di esempi di virtù. I due si focalizzano sull’ambito della teologia. Bisogna rappresentare il dio così com’è, cioè buono: se il dio è buono, non sarà neanche responsabile dei mali dell’uomo. Pertanto andrebbero purgati quei versi in cui Omero ed Esiodo attribuiscono alla divinità l’origine dei mali dell’uomo. Su questo Platone non fa sconti: «affermare che un dio, che è buono, possa esser responsabile di mali per chiunque – bisogna lottare in ogni modo perché nessuno lo dica nella propria città, se questa dev’esser retta da buone leggi» (380c). Questa è la prima legge votata da Adimanto!
La seconda legge è volta a negare la “magia” degli dèi: tutte le storie sulle loro trasformazioni e apparizioni in diverse forme vanno cancellate. Se un dio è perfetto, come potrebbe trasformarsi in qualcos’altro? Sarebbe insensato ammettere una forma diversa da quella perfetta! Questa falsa credenza porta spesso le madri a spaventare i propri figli con storie di dèi che si aggirano nella città come stranieri. Questa affermazione porta a constatare che il dio non può e non vuole ingannare gli uomini. Perché dovrebbe mentire, perché dovrebbe ingannare, se è perfetto, se è superiore agli uomini e non dovrebbe averne alcun timore? Non sarebbe un dio, in tal caso. «Il dio è dunque del tutto semplice e veritiero sia nelle opere sia nelle parole, e non muta se stesso né inganna gli altri, con immagini fantasmatiche o con discorsi o con l’invio di segni, nella veglia o nel sogno» (382e). La seconda legge, dunque, afferma che gli dèi non sono dei maghi, non possono trasformarsi, non possono ingannare gli uomini.
Sono questi i presupposti per la buona educazione dei giovani ateniesi del secondo libro della Repubblica di Platone. Il filosofo stupisce, specialmente noi cultori della poesia epica e della mitologia greca. Ma, affinché si abbiano dei buoni politici, bisogna educarli a dei sani valori: all’amore, alla concordia, alla virtù, alla veridicità. Se, per avere dei buoni custodi e rappresentanti, questo è il prezzo da pagare, quanti sarebbero stati e tuttora sarebbero concordi a un controllo così radicale (che sa tanto di totalitarismo) della storia e della tradizione?
(Traduzione di riferimento a cura di Mario Vegetti per la casa editrice Bur Rizzoli)