La Battaglia di Hattin: 4 luglio 1187
La Battaglia di Hattin, svoltasi ai Corni di Hattin vide opposte le forze dei Cristiani a quelle Saraceni (ayyubidi), comandati dal Saladino il 4 luglio 1187.
In questa battaglia le forze Crociate subirono la più grossa sconfitta in Terrasanta, trovandosi con l’esercito distrutto, grazie soprattutto all’imperizia ed all’avventatezza dei condottieri che vi parteciparono. La disfatta di Hattin provocò la perdita di Gerusalemme.
I Personaggi principali
- Guido di Lusignano, Re di Gerusalemme dal 1186 al 1187.
- Reginaldo di Chatillon. Cavaliere crociato arrivato in Terrasanta nella Seconda Crociata. Fu Principe d’Antiochia dal 1153 al 1160.
- Raimondo III, Conte di Tripoli dal 1152 al 1187 e Principe di Galilea e Tiberiade. Fu Reggente di Baldovino IV e Baldovino V, minorenni. Fu in concorrenza con Guido di Lusignano per il trono.
- Eraclio, Patriarca di Gerusalemme dal 1180. Appoggiò Guido di Lusignano.
- Gerard de Ridefort, Maestro dell’Ordine dei Cavalieri templari dal 1185. Anche egli appoggiò Guido di Lusignano.
- Saladino (Salah al-Din Yusuf Ibn Ayyub, detto anche al-Malik an-Nasir Salah al-Din Yusuf I), Sultano dell’Egitto dal 1171.
L’esercito musulmano
Il 13 marzo 1187 Saladino lasciò Damasco e si accampò a Ra’s al-Ma’, centro di raccolta del suo esercito. In totale Saladino riuscì a mettere insieme 14.000 cavalieri ben addestrati.
Giunsero anche numerosi gruppi irregolari di volontari.
Saladino riunì il suo esercito nel giugno del 1187 a Tal ‘Ashtrab. Si stima che il suo esercito fosse composto da almeno 30.000 soldati. Le stime più alte arrivano a 60.000.
L’esercito cristiano
L’esercito cristiano si riunì a Sephorie (Saffuriya). Il luogo era molto ben protetto ed era stato già utilizzato in passato per fronteggiare gli attacchi provenienti dalla Siria. In totale si radunarono circa 1.200 cavalieri. Tra la cavalleria d’elite vi erano i Templari e gli Ospitalieri. A questi si affiancarono circa 4.000 turcopoli privi di armatura pesante.
A protezione dei cavalieri vennero assunti dei balestrieri ed altre truppe mercenarie, pagati da Enrico II, Re d’Inghilterra. In totale l’esercito cristiano ammontava a circa 15.000-18.000 uomini.
2 luglio: i Preparativi e L’assedio di Tiberiade
Il 26 giugno l’esercito musulmano si mise in marcia verso Khisfin nelle colline del Golan. Saladinostabilì il suo campo base a Cafarsset (Kafr Sabt), a metà strada tra Saffuriya e Tiberiade.
Il 2 luglio ha inizio l’assedio di Tiberiade, sede del Principato di Galilea. A difendere la città era rimasta Eschiva di Bures, la moglie di Raimondo, Conte di Tripoli.
Le truppe scelte della guardia di Saldino si concentrarono intorno a Tiberiade. Il resto dell’esercito rimaneva a Cafarsset.
La sera del 2 luglio Guido di Lusignano radunò il consiglio di guerra a Saffuriya. Fu scelta la linea di Raimondo, secondo cui l’esercito doveva rimanere al sicuro a Saffuriya. L’attacco di Tiberiade, infatti, era stato giudicato un trucco di Saladino per far uscire l’esercito cristiano allo scoperto. Nella notte il Maestro dei Templari, Gerard de Ridefort, fece cambiare idea a Guido di Lusignano.
3 luglio: in marcia verso Tiberiade
Il 3 luglio l’esercito crociato iniziò la marcia verso Tiberiade. L’avanguardia, per diritto feudale, spettava a Raimondo. Il feudatario attaccato, infatti, poteva valersi dell’onore di essere in testa all’esercito. Al centro era Guido di Lusignano, accompagnato dai Vescovi di Lidda e Acri che portavano la Santa Reliquia della Croce.
Baliano di Ibelin guidava la retroguardia con i Cavalieri templari e gli Ospitalieri.
Guido scelse un percorso alternativo a quello occupato da Saladino, in modo da ritardare lo scontro. Saladino allora inviò alcune truppe verso l’esercito cristiano, allo scopo di uccidere i cavalli con il lancio di frecce, per poi ritirarsi senza ingaggiare battaglia.
Dopo circa 6 ore di marcia, l’esercito di Guido arrivò al Monte Turan, dove era presenta una sorgente d’acqua. L’esercito si era incamminato senza scorte d’acqua, vista la brevità del tragitto verso Tiberiade. Guido fece continuare il cammino, senza approfittare dell’acqua a disposizione.
Dopo 8 ore di marcia l’esercito si trovò, a mezzogiorno, in zona desertica, impervia e senza acqua. La grande calura era mal sopportata. La stanchezza iniziava a farsi sentire.
Saladino ordinò l’attacco alle retroguardie. Raimondo, conscio della difficoltà di intraprendere la battaglia in quelle condizioni, fece deviare l’esercito a nord, allo scopo di raggiungere le sorgenti d’acqua nei pressi di Hattin, distanti circa 4 ore di marcia. Li l’esercito avrebbe potuto rifucillarsi.
Saladino, intuite le mosse di Raimondo, ordinò al grosso dell’esercito che era rimasto al campo base di Cafarsset, di bloccare il percorso ai cristiani, schierandosi tra loro ed Hattin.
Raimondo intendeva rompere il blocco per raggiungere Hattin, attaccando l’ala destra dell’esercito musulmano, guidato da Techedino (Taqi al-Din), nipote di Saladino. Ma il Re Guido di Lusignano, in disaccordo con Raimondo, ordinò di fermarsi e stabilire un campo. Guido, infatti, non voleva che i Templari e gli Ospitalieri nelle retroguardie, non ancora riorganizzati dopo l’attacco subito, riManessero in difficoltà per un nuovo attacco.
Il Conte Raimondo, allora si rivolse così al Re: «Ahimé! Ahimé! Mio Dio, la guerra è finita. Siamo consegnati alla morte e lo stato è perduto»
Per tutta la notte grida, canti e tamburi impedirono ai cristiani di riposare.
I musulmani intanto organizzavano l’attacco con le frecce.
4 luglio: lo scontro finale
Il 4 luglio, all’alba, l’esercito cristiano tentava disperatamente di rimettersi in marcia verso Hattin. Abu Shama scrisse: «Sirio gettava i suoi raggi su quegli uomini vestiti di ferro e la rabbia non abbandonava i loro cuori … Speravano di raggiungere l’acqua, ma avevano di fronte le fiamme dell’inferno e furono sopraffatti dall’intollerabile calura».
Saladino attaccò la retroguardia. I Cavalieri templari e gli Ospitalieri contrattaccarono più volte. Intanto Raimondo continuava ad avanzare verso le gole di Hattin.
Infine i fanti, in preda allo sconforto, si dispersero sulle colline. Allora i musulmani diedero fuoco alle sterpaglie. Il vento portò il fumo verso l’esercito cristiano già tormentato dalla sete. Saladino approfittava della situazione scatenando il lancio delle frecce, che colpivano ovunque.
In mezzo al fumo dei roghi, la polvere sollevata da uomini e cavalli, le grida e il terrore che si propagava di schiera in schiera, ormai nessun ordine era più mantenuto. I cristiani erano in balia del nemico.
Raimondo, visto quello che accadeva, ordinò la carica ai suoi cavalieri. Techedino aprì le fila e lasciò passare i soldati di Raimondo, poi richiuse i varchi e contrattaccò. Raimondo si trovò isolato fuori del campo di battaglia. Non gli rimase che allontanarsi con i superstiti.
La fuga di Raimondo rappresenta un punto interrogativo. C’è chi vede in questa azione un possibile tradimento, dal momento che riuscì a fuggire attraverso un varco aperto dalle truppe di Saladino.
150 cavalieri cristiani ancora montati, disposti dall’alto del corno meridionale, riuscirono a caricare per ben due volte. Raccolte le energie, si compattarono e caricarono verso il basso.
Entrambe le volte l’esercito musulmano fu rigettato. Una delle due carcihe, addirittura, finì molto vicino a Saladino, sarebbero bastati pochi altri metri per cambiare il destino della battaglia.
La battaglia si concentrò intorno alla Reliqua della Croce, portata in battaglia a supporto spirituale e protezione dell’armata dal Vescovo di Acri e di Lydda. Il Vescovo di Acri rimase ucciso. La reliquia passò allora al Vescovo di Lydda. Ma anche questi fu sopraffatto e la Croce sparì per sempre. Techedino si impadronì personalmente della Reliquia.
Il segnale della definitiva sconfitta dei cristiani, fu la conquista degli islamici della tenda rossa di Guido di Lusignano. Allora gli ultimi cavalieri cessarono di combattere. IN circa sei ore, dalle 9 del mattino alle 3 del pomeriggio, l’esercito del Regno aveva cessato di esistere.
Dopo la battaglia
Guido di Lusignano per la sua libertà dovette garantire la consegna di Ascalona. Tuttavia la città non si arrese. Quando Guido di Lusingano ordinò la resa venne insultato dai difensori.
L’assedio durò dal 23 agosto al 5 settembre. Saladino onorò coloro che avevano combattuto valorosamente e concesse loro di rimpatriare in Europa.
Il Gran Maestro dei Templari, Gerard de Ridefort, che aveva malconsigliato il Re, ebbe la libertà in cambio della consegna di Gaza.
Reginaldo di Chatillon venne invece ucciso personalmente da Saladino, che poi intinse le mani nel suo sangue.
Raimondo di Tripoli morì pochi mesi dopo.
Baliano di Ibelin, che era sfuggito alla cattura in battaglia, organizzò la difesa di Gerusalemme e ne trattò la resa con Saladino.
Minore fortuna ebbero i Cavalieri degli Ordini religiosi, Templari ed Ospitalieri. Saladino li condannò a morte. La strage dei cavalieri avvenne al cospetto di Saladino.
Lo storico arabo Imad al-Din, presente all’episodio, racconta:«Saladino promise cinquanta denari a chiunque portasse un templare o un ospitaliero prigioniero. Subito i soldati ne portarono centinaia, ed egli li fece decapitare perché preferì ucciderli piuttosto che ridurli in schiavitù. Era circondato da un gruppo di dottori della legge e di mistici, e da un certo numero di persone consacrate alla castità e all’ascetismo. Ognuno di essi chiese il favore di uccidere un prigioniero, sguainò la spada e scoprì l’avambraccio. Il Sultano stava seduto con la faccia sorridente … Le truppe erano schierate, con gli emiri su due file. Fra i religiosi, alcuni diedero un taglio netto ed ebbero ringraziamenti; la spada di altri esitò e rimbalzò: furono scusati; altri ancora furono derisi e sostituiti. Io ero presente e osservavo il Sultano che sorrideva al massacro, scorsi in lui l’uomo di parola e d’azione. Quante promesse non adempì! Quante lodi non si meritò! Quante ricompense durature a motivo del sangue da lui versato! …».
A proposito dei Templari Saladino disse:«Intendo purificare la terra da questi due ordini mostruosi, dediti a pratiche insensate, i quali non rinunzieranno mai all’ostilità, non hanno alcun valore come schiavi e rappresentano quanto di peggio vi sia nella razza degli infedeli…».
I Commenti dei cronisti e dei testimoni
La disastrosa sconfitta subita dai crociati ad Hattin, nei pressi del lago di Tiberiade, il 4 luglio del 1187 è descritta in modo particolareggiato dallo storico arabo Ibn al-Athir: «…Saladino e i musulmani, montati a cavallo, avanzarono verso i Franchi. Anche questi montarono in sella e i due eserciti vennero a contatto, ma i Franchi soffrivano gravemente della sete ed erano sfiduciati. Si accese ed infuriò la battaglia, con tenace resistenza dalle due parti: gli arcieri musulmani lanciarono un nugolo di frecce, come sciami diffusi di cavallette, e uccisero in questo combattimento molti cavalli dei Franchi.
I Franchi, strettisi coi loro fanti, puntavano combattendo su Tiberiade con la speranza di di giungere all’acqua, ma Saladino fatto accorto di questo loro obiettivo, lo impedì, piantandosi con l’esercito in faccia a loro. Egli girava personalmente tra le formazioni musulmane incitandole con ordini e divieti opportuni, e tutti obbedivano ai suoi ordini e si fermavano ai suoi divieti.
Uno dei suoi Mamelucchi giovanetti fece una terribile carica sui Franchi, e vi compì prodigi di valore finché sopraffatto dal numero fu ucciso; e allora tutti i musulmani caricarono, facendo vacillar le linee nemiche con grande strage… La strage e la cattura furono così grandi fra loro che chi vedeva gli uccisi non credeva possibile che ne avessero catturato anche uno solo, e chi vedeva i prigionieri non credeva possibile che anche uno solo fosse stato ucciso. Dai tempi del loro primo assalto al litorale in Siria nell’anno 491 [1098] ad ora, mai i Franchi avevano subito una simile disfatta …»
Pochi furono i templari scampati alla battaglia di Hattin e tra questi c’era frate Thierry, Commendatario dell’Ordine del Tempio. Con una lettera, scritta il 10 luglio 1187, offre una vivida descrizione degli eventi colti dal punto di vista dell’Ordine. La missiva, destinata specificatamente a Papa Urbano III e Filippo d’Alsazia Conte di Fiandra, era rivolata in generale a tutti i cristiani e a tutti i fratelli dell’Ordine: «Tali e tante sono le calamità che la collera divina ci ha inflitto per via dei nostri peccati, che è quasi impossibile scriverne o parlarne. Quale tristezza! I Turchi, adunate le proprie genti in immensa moltitudine, iniziarono spietatamente l’invasione dei territori cristiani. Ad essi opponemmo le nostre falangi, che li combatterono durante l’ottava dei santi apostoli Pietro e Paolo [la settimana successiva al 29 giugno].
All’inizio ci mettemmo in viaggio verso Tiberiade, che essi avevano conquistato lasciando il loro campo. Dopo averci sospinto su di un accidentato terreno roccioso, attaccando con furia tale da catturare la santa croce ed il Re, uccidendo un gran numero dei nostri uomini; riteniamo infatti che quel giorno 230 dei nostri frati vennero decapitati, senza contare i sessanta ammazzati il primo maggio [la battaglia alle sorgenti di Cresson]. Il Conte di Tripoli, Reginaldo di Sidone, Baliano di Ibelin e noi stessi, fummo appena in grado di fuggire da quel miserevole campo. In seguito i pagani, che infierivano alla sfrenata ricerca del sangue cristiano, non tardarono a giungere presso la città di Acri con le loro moltitudini, e dopo averla conquistata con la violenza invasero quasi per intero la regione.
Solo Gerusalemme, Ascalona, Tiro e Beirut sono attualmente in mano nostra. Non possiamo tuttavia mantenere il controllo di queste città, i cui abitanti sono stati quasi tutti uccisi, a meno di ricevere immediatamente l’aiuto divino e un soccorso da parte vostra. Gli attacchi violenti non cessano, né di giorno né di notte, e la città di Tiro è sottoposta ad un implacabile assedio; l’esercito nemico è tanto grande che può coprire l’intero territorio che separa Tiro da Gerusalemme ed oltre fino a Gaza, simile ad una moltitudine di formiche.
Stimiamo perciò onorevole inviare a noi e ai cristiani dell’Oriente, ormai quasi perduto, un aiuto il più presto possibile, in maniera che, grazie a Dio e alla distinzione della vostra fratellanza, le restanti città possano esser salvate per mezzo del sostegno che fornirete.»
Gregorio VIII, a seguito delle notizie catastrofiche sulla strage compiuta ad Hattin, esprime così il suo profondo dolore nella bolla Auditia tremendi: «Avendo udito notizia del tremendo giudizio divino con cui la mano del Signore si è abbattuta sulla terra di Gerusalemme, noi e i nostri fratelli siamo confusi da tanto orrore e afflitti da tanti grandi dolori da non sapere che cos’altro fare se non piangere … poiché il Saladino, approfittando della discordia scoppiata in quella terra a causa della malvagità degli uomini istigata dal demonio, è giunto là con gran quantità di uomini armati. Gli sono andati incontro il Re, i vescovi, i Templari, gli Ospitalieri, i baroni e i cavalieri col popolo tutto portando in campo come insegna la reliqua della Croce … ci fu battaglia, e i nostri furono sbaragliati: perduta la Croce del Signore, trucidati i vescovi, catturato il Re e quasi tutti passati per le armi e trucidati, salvo pochissimi salvatisi con la fuga; i Templari e gli Ospitalieri furono tutti decapitati sotto gli occhi stessi del Re …»
Riferimenti Bibliografici
- M. Barber – La Storia dei Templari – Piemme
- P. Partner – I Templari – Einaudi
- B. Marillier – I Templari – Storia e segreti del più misterioso ordine medievale. Edizioni L’Età dell’Acquario
- F. G. Giannini – I Templari – I Cavalieri del silenzio. Medioevo Dossier n. 2/2002. De Agostini – Rizzoli periodici
- A. Demurger – I Cavalieri di Cristo – Medioevo n. 6/1997. De Agostini – Rizzoli periodici
- L. Imperio – La nascita dell’Ordine del Tempio – Templari n. 1/2001. Trentini
- R. Pernoud – I Templari – FdF Edizioni cinetelevisive e a stampa
- M. Meschini – Battaglie Medievali – Il Giornale. Biblioteca Storica
- A. Demurger – I Cavalieri di Cristo – Garzanti
- J. Markale – I Templari. Custodi di un mistero. Sperling