L’Italia centro-meridionale nell’Età del Bronzo [1]: età antica e media (2300-1500 a.C.)
Premessa. La definizione di una cronologia dell’Età del Bronzo risulta abbastanza complessa in relazione alla morfologia del territorio italiano, che costituisce in alcuni casi un ostacolo per contatti e scambi culturali: è stato possibile tuttavia identificare delle aree aventi in comune omogenei aspetti e caratteristiche culturali dei manufatti (facies).
L’Italia tra la fine del III e il II millennio a.C….
ITALIA CENTRALE
Nelle regioni centrali gli aspetti archeologici presenta alcuni aspetti collocabili in successione, anche se i rinvenimenti sono numericamente inferiori rispetto a quelli delle regioni meridionali. Nella IEB (I Età del Bronzo), almeno prima del II millennio a.C., le facies ivi presenti si caratterizzano non solo per elementi di derivazione campaniforme ma anche per aspetti locali come l’assenza di decorazioni della ceramica e la presenza di anse a gomito.
Prima di vedere nel dettaglio la varietà culturale-manufatturiera con relative facies, esponiamo ora in breve la presenza insediativa degli inizi dell’Età del Bronzo:
- In Emilia-Romagna troviamo la facies di Polada, caratterizzata per la presenza di insediamenti palafitticoli e da una produzione metallurgica correlabile con quella contemporanea transalpina. Vi sono anche varie forme vascolari, in particolar modo anfore e boccali con appendice a bottone. Le influenze campaniformi sono limitate a contesti isolati. I siti sono sia all’aperto che in grotta.
- In Toscana e nel Lazio gli abitati sono per lo più all’aperto e posizionati in prossimità di zone lacustri o fluviali, o su altura. Le sepolture occupano, al contrario degli insediamenti, grotte naturali o artificiali. L’economia di queste zone si basa sulla pastorizia, con allevamento, caccia e agricoltura a scopo integrativo.
- Nelle Marche gli abitati sono di modeste dimensioni e collocati tra versanti e fondovalle.
- Nel Lazio meridionale i siti sono invece prevalentemente di fondovalle.
Facies di Grotta Nuova. Tipica delle regioni centrali, questa facies è tipica per le grandi ciotole con orlo a colletto, in un primo momento nettamente differenziata da quella notoriamente protoappennica. L’abitato meglio conosciuto è quello di Monte Castellaccio di Imola, impiantato su un piccolo rilievo a scopo difensivo, il quale ha conservato tracce di ben tre livelli stratigrafici (eneolitico, età del bronzo ed età del ferro, alto-medioevale). Questo sito ha avuto sin dalla sua fondazione continui cambiamenti nell’uso dell’area. Le prime tracce sono i segni del disboscamento, cui seguì la costruzione di abitazioni, dotate di pavimenti in argilla, e di ricoveri per animali. Lo sviluppo continua fino alla media Età del Bronzo, ossia quando si registra una contrazione dell’abitato. Le abitazioni sono capanne di piccole dimensioni (per una popolazione totale stimata in poche centinaia di individui) di forma ovale o circolare, al cui interno vi sono pozzetti e focolari. Le attività documentate comprendono filatura, tessitura, fusione del metallo e lavorazioni artigianali su osso e pietra levigata. Venivano inoltre allevati bovini, ovicaprini, maiali, cavalli, cani; mentre la caccia, come attività integrativa, era consistentemente rappresentata da prede selvatiche come cervi, caprioli e cinghiali. Le coltivazioni poi includevano cereali e legumi.
Le informazioni sui riti funebri nell’area centro-italiana sono piuttosto limitate; quel che appare certo comunque è che non vi era un rituale specifico comune a tutti i membri della comunità, che venivano sepolti in grotte naturali. La presenza di corredi di armi potrebbe essere spiegata con il tentativo di emergere e distinguersi di singoli gruppi di parentela. Le principali offerte funebri sono costituite da prodotti agricoli e (sembrerebbe) anche da sacrifici animali e talvolta umani.
Riguardo invece le attività metallurgiche, essa è ben documentata specie in Etruria, mentre la circolazione del metallo sembra sia portata verso aree non produttrici da artigiani metallurgici itineranti. Non dobbiamo pensare però, come potremmo fare, che vi fosse un repertorio legato ad un utilizzo puramente funzionale: al contrario, la produzione metallurgica, almeno fino alla metà dell’Età del Bronzo, è riservata ad oggetti (spade, asce, pugnali) il cui possesso diviene sinonimo di ornamento e prestigio sociale. Una parte di questi oggetti verrà poi intenzionalmente spezzata per scopi rituali, iniziando un’usanza che diverrà comune sul finire dell’Età del Bronzo (EBR). Iniziano, come già accennato prima, con gli artigiani itineranti, anche i primi “contatti” con le regioni settentrionali.
ITALIA MERIDIONALE
La facies meglio definita della IEB (I Età del Bronzo) è quella di Palma Campania, il cui studio è stato reso possibile dall’ottimo stato dei reperti: i villaggi che occupavano l’area, infatti, furono colpiti da un’eruzione vulcanica (detta delle “Pomici di Avellino”) intorno al 1750 a.C. che, come nel caso di Pompei, sigillò il tutto preservando buona parte di essi. Le tracce rimaste suggeriscono un momento di pieno sviluppo per l’area: sono presenti abitati (una settantina), tracce di attività agricole, divisione dei campi coltivati, canali di irrigazione, segni di aratura, di allevamento di animali domestici e addirittura di percorsi segnati da solchi lasciati dai carri, così come quelli lasciati al momento della fuga e dell’abbandono.
La ceramica è esclusivamente d’impasto modellata a mano. Le forme principali sono tazze troncoconiche, scodelle emisferiche, olle a due anse e biconiche, vasi per alimenti liquidi e solidi, sostegni con parete concava o a clessidra, le quali potevano presentare segni decorativi a incisione.
Un altro complesso databile sempre tra la fine della IEB è S.Abbondio (di Pompei), dove sono state scoperte 70 sepolture a inumazione, che in alcuni casi presentano legami tra loro (in base alla posizione; collegamenti di parentela?), vasi frantumati e oggetti in bronzo. Altrettanto importante è il sito di Nola-Croce del Papa, che oltre le caratteristiche riscontrate nel contesto della facies di Palma Campania, lo si segnala per la conservazione delle strutture (grossomodo intatte): esse sono a pianta allungata, con fondo absidato e ingresso su un lato breve. Il pavimento era in terra battuta, al cui centro (lungo l’asse maggiore) vi era l’alzato costituito da pali; le pareti interne avevano poi un’intercapedine che aveva la duplice funzione sia di isolare l’ambiente abitativo sia di fungere da magazzino o ripostiglio. L’ambiente absidato era invece la dispensa, dentro la quale vi erano vasi per derrate; l’ambiente centrale era il nucleo abitativo principale ed era solitamente dotato di un focolare (o anche di un forno), fosse di scarico e numerosi vasi di varie dimensioni e materiali. Non vi è solo traccia di abitazioni vere e proprie, ma anche di altre strutture minori con differenti funzioni: la “capanna 2” era un deposito di cereali e farina, la “capanna 3” aveva un piano ammezzato, mentre la “4” aveva nei suoi ambienti rispettivamente carne essiccata (o affumicata) e una (ipotizzata) immagine di culto costituita da una statuetta femminile molto rozza.
Coeva a quella di Palma Campania è, in Puglia, la facies cosiddetta del Protoappeninico B, la cui documentazione archeologica più completa è data dal sito di Capo Piccolo, sulla costa ionica calabrese. Il sito è segnato da due fasi: una prima che mette in luce materiali molto simili a quelli di Palma Campania, databili tra il 2000 e il 1800 a.C.; una seconda – tipica protoappeninica – che presenta elementi di influenza egea (Tardo Elladico), ascrivibile intorno alla metà del II millennio. La relazione iniziale che lega due territori come Campania e Puglia ha fatto pertanto supporre che, fino al momento degli sconvolgimenti sismici, entrambe le facies avessero uno sviluppo costante e avanzato. L’importanza di questi abitati costieri sta anche nel ritrovamento in essi di tracce della ceramica egea, imputata inizialmente alle prime navigazioni micenee, ma che si è rivelata essere in alcuni casi addirittura precedente a quella stessa civiltà.
Tra i molti siti, una particolare attenzione va riservata a quello di Coppa Nevigata (Foggia) e Roca Vecchia (Lecce), che hanno conservato un tratto di fortificazione, lasciando ben intendere che le esigenze difensive erano abbastanza diffuse e che dunque vi fossero conflitti tra vicine comunità.
Le comunità protoappenniniche praticavano il rito inumatorio funebre utilizzavano diverse tipologie di strutture funerarie. In alcune delle strutture più antiche vi sono contenuti per lo più individui giovani, in altre – come i Dolmen di Bisceglie e Giovinazzo – piccoli gruppi familiari, e sembra dunque delinearsi già da quest’epoca un’esclusiva, al di fuori della comunità, per le sepolture. Nel nord della regione, invece, verso la fine del protoappenninico, compaiono delle sepolture collettive (sempre di ambito familiare), in ipogei (come quelli dei Bronzi e di Madonna di Loreto), che si caratterizzano per la presenza di corredi maschili contenenti armi, e femminili contenenti ambra o pasta vitrea, ossia materiali di importazione. Un’ulteriore tipologia di sepoltura, protrattasi sino all’Appenninico, è costituita dal tumulo, solitamente sormontato da una stele.
Le principali attività protoappenniniche sono la pastorizia per le zone interne, e la pesca e la raccolta di molluschi per i siti costieri. Altre innovazioni sociali sono date dalla frequentazione di luoghi di culto esterni agli abitati (qualcosa di simile ai “santuari extra-urbani”) e la circolazione di metallo e di manufatti metallici: questi ultimi lasciano supporre l’esistenza di collegamenti marittimi degli abitati costieri favoriti da uno sviluppo della navigazione, costa-a-costa, specie nel Tirreno meridionale.
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