Insulti, oscenità e scuse: l’altra faccia del ‘Liber’ di Catullo
Il Liber di Catullo non è solo incentrato sull’amore per Clodia-Lesbia, ma anche un reale e fedele specchio dei valori della vita privata del poeta. Laddove vi è questa “incompatibilità” di valori, il poeta si “lascia andare” ad un’abbondante dose di insulti nei loro confronti, che non risparmiano nessuno, amici compresi. Vediamone un primo esempio, il carme 16, in risposta ad Aurelio e Furio, amici che accusavano il poeta di effeminatezza:
«Io ve lo ficcherò su per il cu*o e poi in bocca, Aurelio succhiaca**i e Furio froc*a sfondata, che per miei versetti pensate, sol perché son teneri e gentili, che io sia poco pudico e virtuoso. [5] Giacché è appropriato per un poeta onesto esser casto con sé stesso, ma nulla è dovuto dai suoi versetti; i quali hanno ora e per sempre arguzia e grazia, quando son tenerelli e un poco spudorati, e riescono a risvegliar un certo pruriginoso desiderio, [10] non dico nei fanciulli, ma in quei vecchi pelosi incapaci ormai d’inarcar la schiena rattrappita. Voi, che avete letto de’ miei innumerevoli baci, pensate forse che io sia uomo perverso e poco virile? Credetemi, ve lo ficcherò su per il cu*o e poi in bocca.»
Se questo carme lo potremmo considerare come di “leggero scherno”, ed è rivolto a due suoi amici, vediamo ora il trattamento riservato a coloro che non erano suoi amici. Gli oggetti di scherno da parte del poeta sono i superbi e i rozzi: fra questi spiccano Arrio, che crede di parlare in modo raffinato aspirando a sproposito le vocali e le consonanti, o Asinio Marrucino, che si illude di essere spiritoso rubando i fazzoletti dei commensali durante le cene. Le invettive e gli insulti sono diretti anche a personaggi pubblici: Cesare stesso è fatto segno di ostentata noncuranza e alcuni cesariani, come Mamurra, Nonio e Vatinio, sono ripetutamente bersagliati da invettive e accuse infamanti. Una larga parte dei carmi quindi del Liber esprime odio, rabbia, disprezzo, ed è condotta con un linguaggio crudo e spesso osceno e con una calcata insistenza su difetti fisici e perversioni sessuali. In essi Catullo riprende toni tipici della poesia giambica e anticipa temi e umori che confluiranno nella satira e negli epigrammi di età imperiale.
Catullo e Cesare. Fedele alla sua natura spregiudicata e pungente, Catullo – come già anticipato – rivolse carmi ingiuriosi o derisori anche contro i potenti e non risparmiò neppure Cesare e i personaggi della sua cerchia, fra i quali Mamurra: costui è oggetto di frequenti invettive, rese più violente dal riferimento alla sua presunta depravazione sessuale. Nel carme 57 Catullo infatti scrive:
«Vi è accordo perfetto fra quei due infami fro*i, Mamurra e Cesare, checca passiva. Niente di strano: l’uno e l’altro hanno la stessa macchia: cittadina la prima, di Formia l’altra; [5] l’hanno come un marchio, non si cancella; ugualmente viziosi, una coppia di fratelli gemelli, infarciti di letteratura entrambi sullo stesso lettino, adultero ingordo questo non più di quell’altro, alleati nel gareggiare anche con le ragazzine. [10] Vi è accordo perfetto fra quei due infami fro*i.»
Cesare, però, non mostrò risentimento verso il poeta: non tanto perché egli era per natura clemente, quanto perché probabilmente invettive di carattere osceno rivolte a personaggi potenti erano abbastanza comuni e tollerate in certe occasioni della vita militare (come i trionfi) e facevano quindi parte di un repertorio al quale i poeti potevano attingere impunemente. Catullo, comunque, stando alla testimonianza di Svetonio (Vita di Cesare), fece le sue scuse a Cesare, e questi, da parte sua, lo invitò anche a cena e continuò a frequentare la casa di suo padre.
«[73] Di pari passo, al contrario, non conservò mai rancori molto profondi e, quando si presentava l’occasione, volentieri li deponeva. Alle violente orazioni di Gaio Memmio contro di lui aveva risposto con non minor livore, e tuttavia più tardi giunse anche a sostenere la sua candidatura al Senato. Per primo, e spontaneamente, scrisse a Gaio Calvo che, dopo averlo diffamato con i suoi epigrammi, aveva chiesto l’aiuto di alcuni amici per riconciliarsi con lui. Valerio Catullo, con i suoi versi su Mamurra, gli aveva impresso un indelebile marchio di infamia e Cesare ben lo sapeva, ma quando il poeta volle chiedergli scusa, lo invitò a cena il giorno stesso e non cessò, come ormai era abituato, le relazioni di ospitalità con suo padre.»
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