L’impero di Sibari: Laos, Siris
Quello che la ricerca archeologica ha messo in luce per Sibari mette in mostra quella integrazione della manodopera indigena nei processi produttivi dell’intera area di pertinenza di Sibari e questo spiega non solo la vasta area geografica di influenza che la città raggiunge ma anche il livello elevatissimo della sua economia, che in età arcaica sarà tale da giustificare tutte le critiche sul lusso sfrenato che fanno parte dell’immaginario collettivo nello stile di vita cosiddetto sibaritico, cioè molto molle molto lussuoso, che giustifica questa nomea negativa che la città si conquistò nella sua vita e negli ultimi periodi di vita nel VI Secolo a.C. Quando la città raggiunge un’influenza territoriale da una parte all’altra della Calabria e tenendo conto che i passaggi da un versante all’altro sono molto difficili perché nel punto in cui si alza la Sila, verso il Tirreno, i passi di montagna sono molto complessi da raggiungere e questo significa aver potuto garantire, da parte di Sibari dopo aver risalito le valli del Crati e del Coscile, arrivati poi alla sorgente, di aver fatto anche delle sistemazioni di aree tali da poter raggiungere l’altro versante del Tirreno su cui era molto importante per una città averne il controllo per le rotte commerciali verso la Campania, tenendo conto che la città viene poi a fondare nel VII-VI Secolo a.C. due colonie: Poseidonia e Laos, dove poi, secondo la tradizione, parte dei Sibariti si sarebbe rifugiata dopo la distruzione della città. Fondazione di Laos molto controversa la cui si data o ad una decina di anni prima della distruzione o proprio successivamente alla distruzione di Sibari e di cui il passo di Erodoto inerente Laos e molto ambiguo, ma resta il fatto che Laos rimarrà per un periodo abitata dagli esuli di Sibari e poi entrerà nella sfera di influenza e poi di controllo delle nuove popolazioni indigene che si affacciano nel V Secolo a.C., che sono i Lucani.
La zona di Laos ha inoltre restituito molte monete con la scritta SERV, battute e coniate con un zecca che imita esattamente i pesi ponderali, materiale e forma dell’iconografia con una figura con corpo di toro e testa barbuta che di fatto è l’iconografia del fiume Sibaris e che mostrano come questo popolo fosse gravitante nell’orbita di Sibari e insediata in questa zona della Calabria Tirrenica.
Un’altra modalità di contatto, sempre tra Greci e Indigeni, è un’integrazione molto meno forte ed evidente che definisce una crescita economica e culturale di comunità indigene che non si trovano direttamente coinvolte territorialmente nelle vicende storiche della colonizzazione, sono quelle popolazioni che vivono nell’interno delle valli e che sono importanti per il controllo delle vie di comunicazione che si trovano a ridosso dei fiumi. Questo fenomeno è stato ben individuato da una serie di rinvenimenti molto importanti negli anni ’70 in Basilicata, ad opera della Soprintendenza, prima con Dino Adamisteanu e dopo con Angelo Bottini, in un periodo in cui la sensibilità della documentazione sulle popolazioni indigene era molto forte; la Basilicata ha una serie di siti archeologici molto importanti, Siris ed Eraclea ma soprattutto Metaponto fondata su indicazione dei Sibariti per attirare altri gruppi di colonizzatori per crearsi un protettorato tenendo conto che la città di Siris fu una fondazione particolare ad opera di una stirpe cacciata dall’Asia Minore che venne conquistata e distrutta dai Sibariti, che non riuscendo a controllare direttamente il territorio della Basilicata sud-orientale lo fecero in maniera indiretta con Metaponto. Questi due siti sfruttano le valli dell’Agri e del Bradano Basento, che sono fiumi sufficientemente lunghi e nel tratto finale anche navigabili con piccole imbarcazioni, e non casualmente nella parte alta dei fiumi. Una serie di rinvenimenti hanno permesso di individuare una serie di necropoli che a dispetto degli abitati sono meglio conservate, in quanto fatto con materiali non deperibili come il legno per le abitazioni, e questi reperti, che sono ben databili al preciso momento della deposizione sono anche di miglior qualità e maggior quantità e permettono di avere tutta una serie di informazioni sulla loro circolazione e sulle forme di contatto. I ritrovamenti riguardano armi e ceramiche greche, bronzi e buccheri etruschi e tutto questo comporta che queste sono comunità a cui i greci si rivolgono per ottenere tutta una serie di scambi di prodotti che probabilmente erano mancanti o non sufficienti per un’autarchia della colonia e nel territorio. Questi contatti e la necessità di istituire i commerci soprattutto con la zona controllata da Siris, risalendo l’Agri, perché la zona è un posto anomalo, è una colonia fondata da Colofoni che arrivano in questo posto che presenta già segni di una pre-colonizzazione ma nella tradizione storica questa colonia viene ricordata per la sua popolazione molto attiva negli scambi e questo spiega questa enorme quantità di importazione che si trova all’interno delle necropoli, tra cui Olle ad impasto, risalenti alla prima metà dell’VIII Secolo a.C., non lavorate al tornio che presentano motivi cosiddetti “a tenda” con scene anche di lamentazione al defunto con personaggi stilizzati con le mani aperte; nel 1956, De Martino scrisse un volume di antropologia culturale dal titolo “Morte e pianto rituale” che racconta le pratiche religiose delle donne che si mettono a piangere ancor prima di conoscere queste raffigurazioni.
Nella tomba maschile degli inizi VIII Secolo a.C., il correndo è caratterizzato dalle armi, la presenza di asce per la lavorazione, punte di lancia a testa in giù a sottolineare la defunzionalizzazione dell’oggetto, e la presenza di questi oggetti sottrae al mondo dei vivi l’oggetto stesso, olle per contenere il cibo. Tutti questi elementi sottolineano l’importanza di questo personaggio nella società evoluta in un epoca ancora pre-greca.
Nel periodo successivo l’VIII Secolo a.C., la prima metà del VII Secolo a.C., si stanzia nella zona la comunità di Siris, di cui Strabone ha scritto un passo, VI, 14 (fondazione di Siris, ca. 660 a.C.):
“Dopo Turi […] vengono poi Eraclea, città poco distante dal mare, e due fiumi navigabili, l’Aciris e il Siris, sul quale ultimo sorgeva una città troiana detta anch’essa Siris. Col passar del tempo, avendo i Tarentini fondato qui Eraclea, Siris divenne il porto degli Eracleoti. Essa dista da Eraclea 24 stadi e da Turi circa 330. A prova del fatto che qui si insediarono dei Troiani adducono la presenza del simulacro di «Atena Iliaca» che secondo la leggenda avrebbe chiuso gli occhi quando alcuni supplici furono strappati via da esso per opera degli Ioni che avevano perso la città. Questi Ioni, infatti, vennero ad abitare qui per sfuggire al dominio dei Lidi e si impadronirono con la forza della città che allora apparteneva ai Coni, dando ad esse il nome di Polieion; anche oggi suol mostrarsi quel simulacro, cogli occhi chiusi. Certamente è già cosa alquanto ardita sostenere questa favola, che, cioè, quel simulacro abbia chiuso gli occhi per lo sdegno – così come si suol raccontare che quello di Troia volse all’indietro la faccia quando fu fatta violenza a Cassandra – e il mostrarlo anche ora con gli occhi socchiusi; ma cosa ancora più ardita è sostenere che provengono da Ilio tutti quei simulacri di cui parlano gli storici; infatti a Roma, a Lavinium, a Luceria cosi come nella Siritide, Atena viene chiamata «Iliaca», come se fosse giunta lì da Ilio. Ed anche l’atto audace attribuito alle donne troiane viene raccontato in riferimento a parecchi luoghi, diventando così incredibile, sebbene esso sia possibile. Alcuni poi dicono che Siris e Sibari sul Traente furono fondate dai Rodii.”
Questa testimonianza, nella sua seconda parte ci segnala tutti quei simulacri che provengono da Ilio, perché la presenza di questi simulacri di Atena Iliaca o Pallade, ossia quella famosa statua lignea che avrebbe assicurato a Troia la sicurezza e l’impossibilità di essere conquistata fin quando non verrà trasferita altrove quando Odisseo ruberà il Palladio, che poi diverrà la garanzia, prosperità e persistenza nel tempo delle comunità che la possedevano; molte le città che rivendicavano questa statua lignea molto grossolana per motivi di propaganda interna perché avere quella statua significava avere origini molto antiche e quel simulacro di garanzia di potenza e di eternità e la più importante di queste finì a Roma portata da Odisseo o Enea, e verrà conservata fino alla fine dell’antichità nel tempio di Vesta a garanzia dell’eternità della città di Roma, in questo contesto la cosa interessante è la rivendicazione della comunità all’origine troiana in questo caso oltretutto con un nome, della popolazione che abita nella Siris in cui arrivano i Colofoni, che scappano dai Lidi del regno di Creso che è un punto fondamentale nella strutturazione del Vicino Oriente in questo periodo agli inizi del VII Secolo a.C., arrivati a Siris dove incontrano questa popolazione indigena che ha un nome differente rispetto al resto delle comunità indigene che sono gli Enotri, e che si chiamano Comi che si sentivano diversi dal substrato che abitava la zona dandosi un altro nome e una tradizione di presunta origine troiana. I Colofoni si comportano nei loro riguardi in modo violento e fondano questa città Polieion di cui fatto il nome non verrà mai utilizzato, perché si continuerà ad utilizzare il nome antico di Siris e su cui sono state proposte varie ipotesi sul riconoscimento di Polieion con un insediamento diverso da quello di Siris/Eraclea, anche per la distanza riportata da Strabone di 24 stadi da Eraclea non sembra giustificata dai resti arcaici, avendo una città alta e bassa; la città alta è dominata da un’unica sopravvivenza che è un castello che si imposta sull’Acropoli distruggendo una serie di strutture ritrovate con una cronologia alta di VII Secolo a.C., così come alcune strutture (case) nella parte bassa di Eraclea fondata dai Tarentini che riportano al VI Secolo a.C. e che sono tutte pertinenti a Siris. Quando Eraclea è stata fondata sui resti più antichi, qualcosa di Siris è andata perduta e la sua localizzazione all’epoca di Strabone, nel II Secolo a.C., si era persa collocandola leggermente distante da Eraclea. Quindi il nome di Polieion ha riscontro solo in Strabone.