L’Impero di Sibari
Nei rapporti con gli indigeni che si vengono a creare durante la cosiddetta “colonizzazione greca”, nel caso della principale città greca d’Italia, questo è di sottomissione e di integrazione, definito come ” l’impero di Sibari”.
La pianura dove si trova Sibari ha una sua peculiarità, in questo è la più grande della Calabria Ionica perché servita dai fiumi Crati e Coscile con portata maggiore e costante creando una pianura fertile, con insediamenti precoci fin dall’età del bronzo su piccole alture, frequentate anche da elementi greci con oggetti di scambio che prefigurano i trasferimenti in età storica. La presenza del terreno fertile ha quindi permesso la enorme crescita di Sibari in poche generazioni. Strabone, VI,13, racconta:
“Dopo 200 stadi viene Sibari, un’altra colonia degli Achei situata in mezzo a due fiumi, il Crati e il Sibari [oggi Coscile]. Ne fu ecista Is di Elice (città dell’Acaia di cui non si sa praticamente nulla, ma grazie alle operazioni di survey operate dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene finalizzati alla comprensione e allo studio delle metropoli achee che apparentemente al momento della fondazione di Crotone, Sibari e Metaponto sono città molto povere anche se i primi indizi scientificamente corretti su Elice ci dicono dell’esistenza di Santuari in epoca geometrica; il problema probabilmente è il deficit d’informazione della regione dell’Acaia, nella quale non si sono mai effettuati scavi fortemente mirati, essendo una zona fortemente abbandonata già in epoca ellenistica e romana, testimoniata dal libro di Pausania, dedicato all’Acaia, che gira il mondo testimoniando le tradizioni, e ci dice che le città dell’Acaia non esistono più al suo tempo). La città raggiunse in antico una tale fortuna che ebbe potere su quattro popoli ed ebbe soggette 25 città e poté schierare in battaglia contro i Crotoniati ben 300.000 uomini; inoltre, con le sue abitazioni, riempiva intorno al Crati un cerchio di 50 stadi. Tuttavia, a causa della loro mollezza ed arroganza essi furono privati della loro fortuna dai Crotoniati nel giro di 70 giorni. Questi, conquistata la città, vi indirizzarono sopra il fiume e la sommersero.”
Questa è l’estrema sintesi della storia della città, che ebbe il suo grande sviluppo con decine di ettari e caratterizzato dalla sua bellezza, questo fino alla sua sconfitta quando ebbero fine le ricchezze e le fortune dei Sibariti. E’ chiaro che le fonti di riferimento non saranno i Sibariti ma i Crotoniati che li avevano sconfitti e quindi la percezione sulla città è stata distorta dalla loro sconfitta. Questo elemento negativo, presente nel passo di Strabone e in altre testimonianze, sono confluiti in tradizioni estranee quasi sempre a livello di aneddoti e non di storia, che riguardano ad esempio la loro mollezza. Un dato che Strabone ci dà e fa emergere questa negatività, si parla di un rapporto di soggezione su 4 popoli e di un rapporto di alleanza militare con 25 città; i popoli e le città non sono greci ma indigeni, e sono anche di una certa fioritura. Un’espansione molto grande che viene fatta utilizzando vari sistemi, quelli militari con la soggezione e le alleanze come la Symmachia, che sottintende la superiorità dei Sibariti; la prima esperienza, e unica nella Magna Grecia, di unificare il territorio tramite l’azione di un’unica città.
Tutto questo non è visto bene dalla storiografia greca e da una proiezione ideologica, perché i Greci vedono molto male i rapporti di parità con gli altri, essendo il mondo greco un mondo chiuso in cui i diritti sono di pochi; quando ad un certo punto i Crotoniati incarnano la tradizione dei Greci, vanno in battaglia contro i Sibariti, che sono sotto il regime tirannico, il tipo di informazione che viene fatta passare è: i Crotoniati non vanno contro una città greca ma una città greca che si è ibridizzata, contaminandosi con il rapporto strutturato con la popolazione indigena a tal punto da riuscire a mettere in campo ben 300.000 uomini, cifra enorme e impossibile, e significa, nella fonte dove ha attinto Strabone, aver proiettato su Sibari il classico impero egemonico alla Persiana, sconfitti dai pochi perché esercito formato da persone poco coese tra loro essendo sudditi; significa proiettare su Sibari la barbarie mentre su Crotone la civiltà nobile greca che in pochi riescono a sopraffare molti. La colpa di Sibari è quindi quella di essere andata ad ampliare la sua sfera d’interessi andando a patti con le popolazioni indigene e creando le premesse di un’archè, che i moderni hanno visto come un’idea anomala nel mondo greco in generale. Per sottolineare questo, la cosa che risalta, nel passo di Strabone, è la mollezza, l’arroganza e di essere ormai contaminati da questo loro modo di vivere barbaro, attaccando tutti e di voler fare il grande impero universale, e questo loro vivere che non permette di coltivare la virtù guerriera ma di ricercarla nelle alleanze, nei popoli soggetti che parlano diverse lingue, creando le premesse della sconfitta mentre i greci, che sono sempre gli stessi, chirurgicamente superiori con una tattica di guerra molto raffinata e superiore a quella dei barbari. Molte volte questo discorso viene proiettato anche nel greco contro greco: l’arroganza è quella di aver voluto fare del loro mondo un mondo esclusivo tentando di far controllare a Sibari il maggior numero di terre presenti nell’Italia Meridionale, la mollezza è raccontata in molte occasioni, ad esempio si dice che i Sibariti avessero istituito le Olimpiadi del gusto della cucina. Ma le Olimpiadi, nel mondo greco, sono una cosa seria e non c’è nulla di più violento perché metaforicamente è lì che si fanno le guerre, con una violenza inaudita, con il gioco del Pancrazio in cui si massacravano e il Pugilato, in cui, tra l’altro, sono famosi proprio i Crotoniati con Milone di Crotone, che è la quintessenza del guerriero, tanto forte quanto stupido. Milone guiderà le forze di Crotone, vestito da Eracle con la leontè, contro Sibari, a sottolineare che loro sono i greci e gli altri non lo sono, però, era talmente fesso che si andava ad allenare nella foresta non avendo nessuno con cui farlo, e dava pugni agli alberi, in un’occasione rimase incastrato e venne sbranato dai lupi sopraggiunti la notte.
Quando ci si reca ad Olimpia, le decine di basamenti delle statue dedicate a Zeus, dette Zanes, come dice Pausania, furono fuse con i soldi delle multe perché erano state truccate le gare di combattimento. Inoltre sempre nell’Altis, vi erano esposti i trofei delle guerre; chi vinceva una battaglia dedicata un oggetto votivo che ricordava la vittoria. È un luogo anche di accoglienza politico-militare, che interessa anche Sibari.
Negli anni ’70, durante gli scavi, venne ritrovata una laminetta di bronzo, sui cui erano conservati gli elementi fondamentali di un trattato di alleanza tra Sibari e il popolo dei Serdaglioli, uno di quei quattro popoli che vengono citati da Strabone; i patti sono soggetti all’influenza e alla tutela di Zeus, quindi quale luogo migliore di Olimpia dove sottoscrivere il patto. Da Olimpia proviene anche un altro oggetto importante, di tutta la Magna Grecia, è un elmo di tradizione picena con un’iscrizione di dedica a Zeus da Gelone di Siracusa per la vittoria contro gli Etruschi a Cuma.
I Sibariti quindi frequentavano i luoghi importanti della Grecia, ma poi vengono ricordati per aver voluto indire queste Olimpiadi del Gusto, per la loro mollezza. In realtà sappiamo che i Sibariti tentarono di istituire giochi panellenici nella Magna Grecia in sostituzione o competizione a quelli di Olimpia, fatto che poi la tradizione ha modificato. Dietro tutta questa tradizione negativa, c’è proprio l’invidia della altre città, nell’aver registrato, in un periodo che va dalla metà del VI Secolo al 510 a.C., quando la città viene conquistata e distrutta con la deviazione delle acque del fiume, di questa città che era riuscita a fare qualche cosa che all’epoca era inaudito, seppur in una forma di predominanza, di creare un’integrazione strutturale non come a Locri o Cuma con sterminio e schiavitù, ma certamente sconfitti e soggiogati cercare di vivere con gli indigeni traendo il maggior risultato possibile anche a livello della produzione che loro non potevano garantire. Un esempio è l’area lungo un’ansa del fiume Crati, con una collinetta in cui negli anni ’30, furono individuati i resti di una necropoli indigena, di Macchiabate, che aveva restituito decine di tombe dell’età del ferro con collane d’ambra del Mar Baltico, ad un certo punto nell’VIII Secolo la necropoli cessa di essere frequentata. Nella collina al di sopra, gli scavi hanno permesso di mettere in luce un’area santuariale, con ben cinque edifici di culto con pronao e naos molto grande, e la cosa interessante, in prossimità di questi templi, dedicati ad Atena, si dispongono degli abitati indigene che continuano ad essere utilizzati fino alla distruzione di Sibari; si sarebbe quindi verificato un fenomeno classico di arrivo e distruzione del precedente insediamento e abbandono della necropoli, però successivamente, nel giro di poche generazioni, gli indigeni sarebbero rientrati in possesso del territorio sotto la protezione di una divinità greca fondata dai Sibariti ma con una certa autonomia che gli permetteva di vivere come personale di servizio dei culti. La titolarità del culto ad Atena la si deve ad una targa votiva fatta da Cleomboto, vincitore ad Olimpia del Pugilato, che decide di dedicare la decima della sua vittoria alla dea, ipotizzando che la sua famiglia potesse esercitare una sorta di protettorato della zona. Le informazioni che si ricavano sono triplici:
- i linguisti si sono molto sbizzarriti perché ci sono degli aspetti linguistici molto complessi e della lingua che si parlava in una colonia Achea del VI Secolo a.C. non si sapeva nulla, e rende questa testimonianza molto importante;
- il culto era dedicato ad Atena che era la divinità forte della presenza dei Greci, che li aiuta nei momenti della colonizzazione, dopo che Apollo ha dato le indicazioni;
- che Sibari, nonostante tutte le mal dicerie sulle Olimpiadi del Gusto in realtà era città, come tutte quelle della Magna Grecia e Grecia, che dava ottimi atleti che in realtà sono guerrieri camuffati degni di altre città.
Dalla parte opposta a Sibari, si ha il sito di Amendolara, che ci dà delle informazioni differenti sul piano d’insediamento degli indigeni. Della Sibari storica si sa poco e nulla perché sulle rovine si è impiantata la colonia di Turi e dentro la colonia panellenica quella romana di Copia, per cui i livelli archeologici di Sibari sono conosciuti in maniera frammentaria; negli strati profondi sono stati identificati due muretti fatti di ciottoli di fiumi su cui si impostavano le murature in mattoni crudi o battuti che non hanno lasciato traccia. Strutture di questo genere, sono state rinvenute sulla vicina collina di Amendolara, località Uomo Morto, al cui interno uno dei pochi insediamenti antichi scavati in area Magno Greca, sono venuti in luce una serie di strade disposte in modo da formare angolo retto e abitazioni organizzate su più ambienti, che sono del tutto simili a quei pochi frammenti conosciuti all’interno di Sibari. La cosa interessante è che la maggior parte dei reperti, oggetti sono di carattere indigeno con elemento significativo rappresentato da pesi da telaio con registrati i nomi di donne che hanno un nome indigeno scritto in greco, che lavoravano la lana di cui Sibari era famosissima per i mantelli di lana, secondi solo a quelli di Mileto. Anche in questo caso, si ha un insediamento indigeno organizzato esattamente alla greca, con uno standard di vita che non è quello presente nelle zone abitate dell’interno della Lucania con capanne o insediamenti sparsi con addirittura sepolture interne alle abitazioni.