La parete ovest della Tomba di Nakht (TT52) della necropoli tebana di Sheikh Abd el-Qurna raffigura un'antica vendemmia. Fotografia di Michele Alquati

Il vino era un prodotto molto apprezzato, tanto che anche i defunti venivano forniti di questa bevanda per la loro esistenza ultraterrena. Si otteneva attraverso un lungo processo di raffinata elaborazione.

La parete ovest della Tomba di Nakht (TT52) della necropoli tebana di Sheikh Abd el-Qurna raffigura un’antica vendemmia.
Fotografia di Michele Alquati

La coltivazione della vite, in piccoli orti o grandi campi, aveva una notevole importanza nell’antico Egitto. Le pitture murali delle tombe sono una straordinaria testimonianza delle diverse fasi attraverso le quali si otteneva il vino: l’irrigazione delle viti, la raccolta dei grappoli e il loro trasporto nelle giare, la pigiatura e la pressatura dell’uva, il modo in cui veniva filtrato il mosto, i metodi utilizzati per far fermentare e maturare il vino, il luogo in cui veniva conservato e il controllo della produzione, svolto dallo scriba. Generalmente, il vino prodotto era rosso e veniva profumato con varie spezie o addolcito con il miele. In alcune pitture, è raffigurato anche un vino chiaro, fatto che indica la produzione di qualche rara varietà di vino bianco. Si preparavano anche altre bevande: facendo fermentare il succo della palma, utilizzando i datteri o altri frutti. Benché non si conosca con esattezza la sua composizione, lo shedeh, forse un vino prodotto utilizzando la melagrana o i fichi, era una bibita molto inebriante, apprezzata soprattutto durante il Nuovo Regno.

I grappoli d’uva crescevano su pergole alzate e disposte in modo che potessero estendere ampiamente i loro rami. Il frutto doveva raggiungere un certo grado di maturazione prima della vendemmia e dell’inizio della produzione del vino nelle sue diverse “denominazioni” di origine. Quando i grappoli erano maturi venivano utilizzati per la vinificazione. L’uva veniva posta in una grande giara. dove veniva pigiata da alcuni uomini scalzi, che si tenevano alle corde fissate a una struttura di legno. In tal modo, i lavoranti evitavano di perdere l’equilibrio e di cadere a causa dell’inalazione dei vapori tossici emanati dal mosto. Dopo aver pigiato l’uva, si estraevano i residui, che venivano posti in sacchi di olona e pressati utilizzando due barre fermate a entrambi i lati, facendo girare le estremità in senso contrario. Il mosto veniva poi filtrato facendolo passare attraverso alcune tele e travasato in altri recipienti. Le anfore in terracotta erano trattate con la resina e poi ricoperte da un cono di argilla e da un intreccio di corde per tenerle ferme e trasportarle con maggiore facilità. Così erano pronte per essere inviate in tutto il paese. A metà della fermentazione, il vino veniva travasato con imbuti o tubi in grandi anfore, dove veniva lasciato per un po’ di tempo. Una volta maturo, veniva stacciato con una tela e aromatizzato con l’aggiunta di spezie o di miele. Le anfore che contenevano il vino venivano chiuse con un tappo di terracotta.

I centri vitivinicoli più importanti si trovavano nel Delta, vicino ad Alessandria, ma anche lungo la costa occidentale al confine con la Libia, nelle oasi di Dakhla e Kharga, e a Cinopoli, nel Medio Egitto. Sebbene molte vigne appartenessero a funzionari, si può affermare che, col tempo, furono i sacerdoti a monopolizzare la maggior parte della produzione vinicola. C’erano contadini che lavoravano per i templi con un’unica funzione, produrre vino, e riscuotevano una tariffa equivalente alla sesta parte del raccolto. Il vino era un’apprezzata merce di scambio, con cui si pagavano tributi e imposte. La sua qualità dipendeva dalla “denominazione di origine”, attestata dai sigilli posti sui recipienti in cui veniva conservato. Il vino tinita di Nutirka o quello delle piante di Ramesse II, nella zona orientale del Delta, erano apprezzati per l’alta qualità.

Il controllo dello scriba

I dipinti murali della tomba di Nakht (TT52) della necropoli tebana di Sheikh Abd el-Qurna raffigurano in modo dettagliato momenti di vita legati alla lavorazione della terra; in particolare la raccolta dell’uva e la spremitura, la conservazione del vino nelle anfore e la preparazione di un banchetto con grappoli offerti al defunto.
fotografia di Michele Alquati

Gli scribi erano incaricati di controllare la produzione del vino. Essi imprimevano in un primo tempo i sigilli con la “denominazione di origine” sui recipienti di argilla quando era ancora tenera; più tardi per questa operazione fu usato il calamo. In alcuni scavi sono state rinvenute iscrizioni o intestazioni in ieratico, che hanno fornito ricchi documenti sul modo in cui veniva eseguito il controllo del vino. Abbondano le indicazioni riguardo all’anno della vendemmia, al tipo e alla qualità dell’uva, all’origine e alla località in cui si trovavano i vigneti, e i sigilli impressi con i nomi dei proprietari delle tombe. Il vino ebbe importanza notevole anche nel contesto religioso dell’antico Egitto. Prima di iniziare le diverse fasi della produzione, si effettuava una libagione in onore del dio Sha, protettore delle vigne, affinché il raccolto fosse abbondante e il vino di buona qualità. La mitologia egizia legava le origini di Osiride al vino: infatti, tale divinità fu assimilata a Bacco in epoca tarda e nel Rituale dell’Imbalsamazione veniva evocato il suo nome nell’espressione «Osiride è il tralcio», poiché si credeva che egli dispensasse abbondanza dall’aldilà. Per tale motivo, il vino era importante anche nella vita ultraterrena. Nelle tombe sono stati ritrovati resti di anfore e i grappoli sono spesso dipinti sulle tavole delle offerte al defunto. Uno degli aspetti curiosi della dea Hathor era quello di essere la protettrice degli ebbri. Infatti, essa presiedeva la cosiddetta “festa dell’ebbrezza”, durante la quale il popolo accorreva gioioso al tempio della dea, a Dendara. La festività ricorreva venti giorni dopo l’inondazione del Nilo. In essa si beveva molto vino e si componevano e recitavano poesie erotiche.

By Simone Riemma

Studente del corso in Civiltà Antiche ed Archeologia: Occidente dell'Università degli Studi di Napoli - Orientale. Sono CEO e founder dei siti: - www.storiaromanaebizantina.it assieme al mio collega dott. Antonio Palo (laurea in archeologia) - www.rekishimonogatari.it assieme alla dott.ssa Maria Rosaria Formisano (laurea magistrale in lingua e letteratura giapponese e coreana) nonché compagna di vita. Gestisco i seguenti siti: - www.ganapoletano.it per conto dell'Associazione culturale no-profit GRUPPO ARCHEOLOGICO NAPOLETANO Le mie passioni: Storia ed Archeologia, Anime e Manga.

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