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Il Vesuvius attraverso un affresco

La prima cosa che sorprende quando si studia la geografia antica sono ovviamente i vari cambiamenti che possono avvenire nell’arco di anni, secoli, millenni… Questo è il caso anche della geografia campana ed in particolare dell’attuale Monte Vesuvio, il vulcano che domina il Golfo di Napoli.

La famosa veduta cartolina dell’attuale Vesuvio

All’epoca di Pompei il Vesuvio (per come noi lo conosciamo) infatti non era visibile come oggi. Per comprendere meglio cosa un abitante del posto vedesse, bisogna utilizzare un po’ l’immaginazione e ‘cancellare’ il cono del Vesuvio. Quindi la domanda che sorge spontanea è: Chi distrusse Pompei, Ercolano, Stabia, Terzigno, Oplonti, Boscoreale?

La risposta è abbastanza semplice, un altro vulcano che si trova nella stesso punto, ma molto più antico: il Somma. Ancora oggi è visibile ma molti magari non se ne accorgono. Si tratta appunto di quella parte della ‘corona’ dell’antico vulcano situata sulla sinistra del Vesuvio attuale. Quindi fu proprio il Somma ad uccidere tutte le povere persone che abitavano quei luoghi durante l’eruzione del 79 d.C.

L’attuale Vesuvio nacque proprio da quell’eruzione: s’innalzo proprio al centro dell’antico cratere del Monte Somma. Impiegò secoli prima di raggiungere l’attuale grandezza, in alcuni affreschi medievali che raffigurano San Gennaro con il Vesuvio alle spallo lo si vede ancora più piccolo del Somma.

Il complesso Somma-Vesuvio visto dal satellite, in una fotografia della NASA. È ben distinguibile il cono del Vesuvio col suo cratere, e in direzione nord, l’unico versante del Monte Somma.

Il nome che gli antichi romani utilizzavano per identificare la montagna non era Somma ma già Vesbius o Vesuvius, quindi per non commettere eventuali errori bisognerebbe parlare di Vesuvius al tempo dei romani e di Vesuvio in seguito.

Ma come mai i romani non si accorsero di vivere vicino ad un vulcano? Dopo tutto la loro forma è evidente. In realtà il vulcano ebbe dimensioni gigantesche solo in epoca preistorica, durante l’ultima glaciazione, quando l’uomo viveva ancora nelle caverne. In seguito, eruzioni violente demolirono e fecero sprofondare il gigante lasciando solamente la base del cratere.

I romani quindi vedevano solamente un monte basso e lungo, pianeggiante al centro e con qualche rilievo lungo i margini. Inoltre a renderne difficile l’individuazione era la ‘copertura’ di vegetazione che lo ricopriva con boschi, vigneti e campi coltivati quindi perfettamente mimetizzato con l’ambiente. Le sole zone sprovviste di vegetazione dovevano essere la cresta più alta (da identificare con l’attuale monte Somma) ed un’area centrale, che doveva essere il ‘tappo’ che sigillava il tunnel magmatico.

Tuttavia alcuni studiosi antichi, come Strabone (geografo greco), avevano già individuato la pericolosità della montagna poiché si era accorto che sulle pendici dei fertili campi coltivati, in alto era piatto ed arido con un color cenere con tracce di bruciato e concluse che in passato vi era stato un vulcano ma che oramai si era spento… Anche Diodoro Siculo giunse alla stessa conclusione circa un secolo prima dell’eruzione dicendo che quella montagna eruttava fuoco come l’Etna. Tuttavia, neanche Plinio il Vecchio, naturalista ed uno dei maggiori eruditi del suo tempo, riuscì a percepire il pericolo che incombeva.

Dipinto dalla Casa del centenario a Pompei, in cui c’è l’unica rappresentazione pittorica del Vesuvio, quello che allora si credeva essere un monte ubertoso.

Il Vesuvio è una montagna rivestita di terra fertile alla quale sembra che abbiano tagliato orizzontalmente la cima; codesta cima forma una pianura quasi piatta, totalmente sterile, del colore della cenere, nella quale si incontrano di tratto in tratto caverne piene di fenditure, formate da pietre annerite come se avessero subito l’azione del fuoco; di modo che si può congetturare che là vi fosse stato un vulcano il quale si è spento dopo aver consumato tutta la materia infiammabile che gli serviva da alimento. Forse è questa la causa cui dobbiamo attribuire la mirabile fertilità delle pendici della montagna”.

Strabone

La cosa incredibile è che i romani avevano anche raffigurato questo killer nei loro numerosi affreschi, ma ovviamente non sapevano che si trattasse di un vulcano. Come detto sopra, il cratere del monte Somma doveva presentarsi frastagliato e quindi si doveva avere una percezione diversa di cosa si osservava a seconda della prospettiva da cui lo si osservava. Dal lato di Ercolano si poteva ammirare il lato più basso e l’effetto che dava è stato immortalato in un celebre affresco rinvenuto nel 1879 che decorava un tempietto domestico dell’abitazione di un abitante di Pompei, Rustio Vero.

Nell’affresco si vede Bacco, dio del vino, coperto di grappoli d’uva e alle sue spalle un monte ripido, ricoperto di vigneti. Oggi noi lo chiamiamo Vesuvio ma non si tratta d’altri che del Somma. Da questa foto dell’epoca si puo’ ben capire come il profilo fosse aguzzo e quanto fosse ricco d’uva, segno di fertilità del luogo e inteso come dono e non come potenziale assassino.

Invece chi osservava dal lato di Pompei o Stabia, si trovava davanti il lato piatto e coperto del vulcano e non vi era nessuna barriera naturale che potesse arrestare la furia che vi si sarebbe sprigionata di lì a poco. Infine chi osservava da Nocera vedeva solo un monte basso e nulla più.

Se il Vesuvius avesse conservato la sua forma di cratere circolare, forse i romani si sarebbero accorti del pericolo nel vivere nella zona, ma il suo silenzio secolare avrebbe ingannato comunque. Nel 73 a.C. Spartaco, il gladiatore che diede inizio alla terza guerra servile, durante la fuga assieme ai suoi uomini, si rifugiò proprio in cima al cratere: era un luogo selvaggio e impervio. Il pretore romano Appio Claudio Pulcro sbarrò l’unica via d’accesso sul lato dei vigneti pensando di aver chiuso in trappola i ribelli. Ma Spartaco si calò lungo il lato opposto, una parete ripida e scoscesa usando corde fatte con i viticci.

Particolare zona identificata come cratere

Una cosa che inoltre in tutte le ricostruzione dell’eruzione viene sbagliata è il rappresentare il vulcano con una punta, perché abbiamo detto che non vi era. Quindi la ‘bocca’ del vulcano non è da ricercare al centro ma sulla base, nell’antica caldera pianeggiante. Un aiuto nell’identificare questa zona arida e desolata viene proprio dall’affresco raffigurante Bacco e il Somma alle sue spalle: in basso alla cresta vulcanica, sulla destra, si nota uno spuntone e un’area ovale scura. Alcuni studiosi, tra cui Virgilio Catalano, hanno ipotizzato che il vulcano preistorico, avesse al centro della sua caldera un altro cratere più piccolo, prodotto da eruzioni precedenti avvenute circa milleduecento anni prima di Pompei. E’ quindi possibile che l’area che Strabone descrive fosse limitata a questo piccolo cratere centrale.

Per concludere, tutta l’area attorno era una piana fertile con boschi popolati da caprioli e cinghiali e doveva ospitare una flora ed una fauna selvatiche.

Egli [Plinio il Vecchio] era a Miseno ove personalmente dirigeva la flotta. Il nono giorno prima delle calende di settembre [24 agosto], verso l’ora settima, mia madre gli mostra una nube inconsueta per forma e grandezza (…) La nube si levava, non sapevamo con certezza da quale monte, poiché, guardavano da lontano: solo più tardi si ebbe la cognizione che il monte era il Vesuvio. La sua forma era simile ad un pino più che qualsiasi altro albero. Come da un tronco enorme la nube svettò in alto nel cielo e si dilatava e quasi metteva i rami. Credo, perché prima un vigoroso soffio d’aria, intatto, la spinse in su, poi, sminuito, l’abbandonò a se stessa, o anche perché il suo peso la vinse, la nube si estendeva in un ampio ombrello: a tratti riluceva di immacolato biancore, a tratti appariva sporca, screziata di macchie, secondo il prevalere della cenere o della terra che aveva sollevato con se (…) Da uomo eruditissimo qual era, egli ritenne che il fenomeno dovesse essere osservato meglio e più da vicino. Ordina, allora, che gli sia apprestata una liburna (…) Era sul punto d’uscir di casa: riceve un messaggio di Rectina, moglie di Tasco, atterrita dal pericolo che vedeva sovrastarla (la sua villa era, infatti, ai piedi del monte, e nessuna possibile via di scampo v’era tranne che con le navi); supplicava d’esser sottratta a tale pericolo. Egli, allora, mutò consiglio e, quello che intendeva compiere per amor di scienza, fece per dovere. Dette ordine di porre in mare le quadriremi e s’imbarcò egli stesso, per portare aiuto non alla sola Rectina, ma a molti (infatti, per l’amenità dei siti, la zona era molto abitata) (…) Già la cenere pioveva sulle navi, sempre più calda e densa quanto più esse si avvicinavano; e si vedevano già pomici e ciottoli anneriti e bruciati dal fuoco e spezzati, poi un passaggio e la spiaggia bloccata dai massi proiettati dal monte. Dopo una breve esitazione indeciso se tornare indietro come gli suggeriva il pilota, esclama: “La fortuna aiuta gli audaci, dirigiti verso Pomponiano!” Questi si trovava a Stabia, dall’altro lato del golfo (…) Frattanto dal monte Vesuvio, in molte parti risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi, il cui risplendere e la cui luce erano resi più vividi dalla oscurità della notte. Per calmare le paure [di Pomponiano], mio zio diceva che si trattava di case abbandonate che bruciavano, lasciate abbandonate dai contadini in fuga (…) Già altrove faceva giorno, ma là era notte, più scura e fitta di ogni altra notte; ancor che molte fiamme e varie luci la rompessero. Egli volle uscire sul lido e guardare da vicino se fosse il caso di mettersi in mare; ma questo era, tuttavia, tempestoso ed impraticabile. Quivi, buttatosi su un lenzuolo disteso, domanda dell’acqua e beve per due volte. Intanto le fiamme e un odore sulfureo annunziatore delle fiamme fanno sì che gli altri fuggano ed egli si riscuote. Sostenuto da due servi si leva e spira nel punto stesso; dal momento che il vapore che aumentava gli impedì, così come io penso, il respiro e gli serrò lo stomaco…”.

Plinio il giovane


Bibliografia utilizzata:

  • Alberto Angela, I tre giorni di Pompei
  • Gaius Plinius Caecilius Saecundus, Epistularum liber VI
  • Strabone, Geografia

Simone Riemma

Studente del corso in Civiltà Antiche ed Archeologia: Occidente dell'Università degli Studi di Napoli - Orientale. Sono CEO e founder dei siti: - www.storiaromanaebizantina.it assieme al mio collega dott. Antonio Palo (laurea in archeologia) - www.rekishimonogatari.it assieme alla dott.ssa Maria Rosaria Formisano (laurea magistrale in lingua e letteratura giapponese e coreana) nonché compagna di vita.Gestisco i seguenti siti: - www.ganapoletano.it per conto dell'Associazione culturale no-profit GRUPPO ARCHEOLOGICO NAPOLETANOLe mie passioni: Storia ed Archeologia, Anime e Manga.

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