Il processo dei martiri Scilitani (180 d.C.) e gli Acta martyrum Scilitanorum
Gli Acta martyrum Scilitanorum sono riconosciuti come il più antico documento a noi giunto della letteratura cristiana in lingua latina. Questo testo si presenta come un fedele resoconto di un processo svoltosi a Cartagine il 17 luglio del 180 d.C. a carico di un gruppo di cristiani provenienti da un piccolo villaggio della Numidia chiamato Scili o Scilium. L’interrogatorio fu condotto dal proconsole Vigellio Saturnino, un personaggio severo e scrupoloso che è disposto a concedere l’indulgentia imperiale solo in caso di pentimento. Questi si scontra con la fermezza degli imputati che, per bocca di Sperato (che fa da portavoce ai suoi compagni), rivendicano la propria condotta irreprensibile sul piano morale e la loro fede esclusiva in un solo Dio: essi rifiutano quindi di prestare giuramento per il genium imperatoris e ripetono uno dopo l’altro l’espressione “christianus sum” che vale la loro condanna a morte.
Tra le righe del documento, pur nella sua scarna essenzialità, si profila lo scontro – che presto diverrà di enormi proporzioni – tra due concezioni inconciliabili della religione e della vita stessa: da una parte vi è una formale identificazione tra la sfera politica e quella religiosa che si esprime nel culto dell’imperatore divinizzato e si appella a un razionale pragmatismo, dall’altra vi è l’adesione radicale al monoteismo cristiano, che si fonda sulla fedeltà ai libri sacri e si traduce in uno stile di vita obbediente e irreprensibile. Il testo ci è pervenuto anonimo, come gran parte di questo genere di letteratura: è probabile che il redattore abbia utilizzato i verbali del processo, di cui riproduce lo schema protocollare che annota domande e risposte senza alcuna aggiunta di abbellimenti retorici o osservazioni personali; qualche intervento potrebbe essere stato allo stesso modo rimosso al fine di evitare ripetizioni nell’interrogatorio e di esporre il tutto in maniera sintetica. L’andamento dei dialoghi, lo stile semplice e il linguaggio popolare danno modo di restituire immediatezza all’evento; il latino parlato non si discosta da quello del sermo cotidianus dell’epoca ma è arricchito da termini ed espressioni proprie dell’uso biblico.
L’importanza di questo documento, utilizzato per molto tempo a scopo liturgico e letto pubblicamente durante le celebrazioni nella Chiesa africana, sta soprattutto nel suo valore di testimonianza storica che comprova la precoce diffusione del cristianesimo in Africa, il passaggio dal greco al latino come lingua ecclesiastica e la persistenza della procedura giudiziaria anticristiana in vigore sotto Traiano.
Di seguito il testo:
Essendo consoli Presente per la seconda volta e Claudiano, il giorno 17 di luglio, introdotti nell’ufficio giudiziario Sperato, Nàrzalo, Cìttino, Donata, Seconda e Vestia, il proconsole Saturnino disse: “Voi potete meritare la clemenza dell’Imperatore nostro sovrano, se tornate a buon consiglio”. Sperato disse: “Non abbiamo mai fatto male azioni, né abbiamo cooperato nel mal fare. Non abbiamo mai proferito parole colpevoli, anzi, a chi ci ha insultati abbiamo reso grazie: non abbiamo quindi alcun demerito verso il nostro Imperatore”. Il proconsole Saturnino disse: “Anche noi siamo religiosi, e la nostra religione è semplice: noi giuriamo per il Genio dell’Imperatore nostro sovrano e facciamo sacrificio per la salute di lui. Voi pure dovete fare questo”.Sperato disse: “Se mi dai ascolto tranquillamente, ti esporrò una religione di incredibile semplicità”. Saturnino disse: “Se cominci a sparlare delle nostre pratiche di culto non ti darò ascolto; ma piuttosto giura per il Genio dell’Imperatore nostro sovrano”. Sperato disse: “Io non conosco l’impero di questo mondo; invece servo a quel Dio che nessun uomo ha veduto né può vedere con questi occhi. Non ho mai commesso furto; quello che compero, ne pago la tassa perché riconosco il mio sovrano, re dei re e imperatore di tutte le genti”. Il proconsole Saturnino, rivolto agli altri, disse: “Rinunziate a questa vostra maniera di pensare”. Sperato disse: “Pensa malamente chi commette omicidio e depone falsa testimonianza”. Il proconsole Saturnino disse: “Non vogliate partecipare a questa pazzia”. Cìttino disse: “Non abbiamo da temere alcun altro fuori del Signore Dio nostro che è nei cieli”. Donata disse: “Onore a Cesare come a Cesare; timore a Dio solo”. Vestia disse: “Sono Cristiana”. Seconda disse: “Quale sono, tale voglio essere”. Il proconsole Saturnino disse a Sperato: “Persisti come cristiano?”. Sperato disse: “Io sono cristiano”; e tutti gli altri gli fecero eco. Il proconsole Saturnino disse: “Volete qualche tempo per decidervi?”. Sperato disse: “In cosa tanto giusta non occorre altra decisione”. Il proconsole Saturnino disse: “Che cosa c’è in quel vostro cofanetto”? Sperato disse: “I Libri [la Bibbia – tà biblìa], e le Epistole di Paolo, uomo giusto”. Il proconsole Saturnino disse: “Avete trenta giorni di tempo. Riflettete”. Sperato nuovamente disse: “Sono cristiano”, e tutti ripeterono la stessa parola. Il proconsole Saturnino pronunziò la sentenza leggendola su la tavoletta: “Ordiniamo che siano decapitati Sperato, Nàrzalo, Cìttino, Donata, Vestia, Seconda e gli altri, rei confessi di vivere secondo il rito Cristiano, perché offerta loro la possibilità di tornare al culto romano, hanno ostinatamente perseverato”. Sperato disse: “Rendiamo grazie a Dio”. Nàrzalo disse: “Oggi siamo martiri in cielo; siano rese grazie a Dio”. Il proconsole Saturnino fece bandire dall’araldo: “Ho ordinato che siano condotti al supplizio Sperato, Nàrzalo, Cìttino, Veturio, Felice, Aquilino, Letanzio, Ianuaria, Generosa, Vestia, Donata e Seconda”. Tutti dissero: “Grazie a Dio”. Così tutti insieme ricevettero la corona del martirio e regnano col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Infine alcune considerazioni e informazioni ricavabili dal testo.
Luogo. Il luogo in cui si svolgono gli eventi è detto secretarium, ossia l’ufficio privato del magistrato, non accessibile al pubblico. Se dunque il processo si svolse a porte chiuse, il redattore degli Acta non ne fu testimone oculare, ma avrà potuto consultare gli archivi. Nomi e provenienza. I nomi Nartzalus e Cittinus non sono romani ma punici; il fatto che si trovano attestati in iscrizioni numidiche ha indotto gli studiosi a considerare gli Scilitani come elementi locali, di estrazione contadina e modesta cultura; ma non certo analfabeti, dal momento che sapevano leggere e citare le Scritture. Processo. L’offerta del perdono sta ad indicare che il processo mirava ad ottenere non tanto la confessione quanto l’abiura degli imputati, secondo le stesse indicazioni della lettera dell’imperatore Traiano a Plinio: “chi avrà negato di essere cristiano e lo avrà provato con i fatti, cioè venerando i nostri dei, anche se è stato sospetto per il passato, ottenga il perdono in seguito al suo pentimento”. Sentenza. La formula tecnica del procedimento giudiziario è gladio animadverti “essere giustiziati con la spada”: poiché la decapitazione era la pena solitamente riservata ai cittadini romani, in questo caso il proconsole sceglie di usare la clementia, concedendola a degli humiliores senza farla accompagnare da fustigazione o altro genere di tortura. Numero dei martiri. Sul problema del reale numero dei martiri si è molto discusso con diverse ipotesi proposte: o ai sei Scilitani sono stati aggiunti i nomi di altri martiri, di cui si celebrava la memoria lo stesso giorno (17 luglio) oppure gli Scilitani erano complessivamente dodici, ma divisi e processati in due giorni diversi, e si era conservato – al momento della stesura degli Acta – solo il verbale dell’interrogatorio relativo al secondo gruppo.
[X]
Articoli correlati: Le persecuzioni dei Cristiani nell’Impero romano | “Honestiores” e “Humiliores”