Il principato di Galba tra conservatorismo repubblicano e mancanza di consenso
Servio Sulpicio Galba aveva compiuto il suo cursus honorum sotto la dinastia giulio-claudia (console nel 33, governatore della Germania Superiore dal 39 al 42 e della Spagna Tarraconense dal 60 al 68), era stato proclamato imperatore ormai ultrasettantenne l’8 giugno dell’anno 68 et omnium consensu capax imperii nisi imperasset (“e per unanime consenso degno della carica di imperatore, se non l’avesse ricoperta”, come dirà poi, beffardamente, Tacito in Historiae I, 49, 4), e morì linciato dalla folla inferocita il 15 gennaio del 69. Con lui morì anche Tito Vinio, proconsole della Gallia Narbonense, che lo aveva appoggiato e lo seguì nella disgrazia. Analizziamo dunque, al fine di comprendere meglio le vicende che furono all’origine dell’anno dei quattro imperatori, quali furono le reali ragioni che portarono alla destituzione di Galba e all’inizio della guerra civile.
Il discorso “repubblicano” di Galba. Nel tentativo di porre un argine al diffuso malcontento che il suo governo alimentava – mancato mantenimento della promessa del predecessore di donativi alle legioni e nomine di civili inesperti in ambito militare – e come precauzione contro nuovi possibili rivolte tra le legioni di stanza sul Reno, l’imperatore Galba fu indotto, il 10 gennaio del 69, a designare un suo vicario e futuro successore: Lucio Calpurnio Pisone Frugi. Galba era un tipico personaggio della classe senatoria che era rimasto molto legato ai valori tradizionali, non avendo una grande predisposizione al governo ma comunque dotato di un forte senso della giustizia e di fedeltà allo Stato, che ne facevano di lui un onesto amministratore: la scelta di Pisone riflette proprio questo intento, ed infatti questi era stato il prescelto per la nobiltà di stirpe, per la moderazione, per la fedeltà agli antichi principi che avevano reso Roma un’Impero. Il racconto di Tacito, poi, mette in luce nuovi ideali che avevano trovato ampio sostegno anche in quelle stesse istituzioni repubblicane: l’Impero è avvertito come una necessità, nonostante sia la Repubblica quella forma di governo più adatta al rispetto della libertà dei cittadini romani, così come è altrettanto necessario (perché i tempi lo richiedevano, sempre secondo Tacito) a conciliare la libertas con il principatus. Quest’ultima forma aveva però rivelato molti problemi, soprattutto quelli relativi alla successione, che rischiavano di compromettere la stessa dinastia regnante. Galba scelse quindi di adottare il principio dell’adoptio, che consentiva di designare l’uomo migliore a prescindere dal grado di parentela con l’imperatore.
«Si racconta dunque che Galba, presa nella sua la mano di Pisone, così abbia parlato: Se in virtù della legge curiata, io, quale privato cittadino, ti adottassi dinanzi ai pontefici, secondo la consuetudine, sarebbe un altissimo pregio per me accogliere nella mia casa un discendente di Gneo Pompeo e di Marco Crasso e per te un onore l’aver aggiunto il prestigio dei Sulpici e dei Lutazi alla tua nobiltà. Ora io, chiamato al potere imperiale per volere congiunto degli déi e degli uomini, sono spinto dalle doti della tua persona e dall’amore di patria a offrirti in pace quel principato, che pure con la guerra ho avuto e per cui i nostri antenati hanno impugnato le armi. Ciò sull’esempio del divo Augusto che ha innalzato al vertice del potere, a una carica quasi pari alla sua, prima il figlio di sua sorella, Marcello, poi il genero Agrippa, poi ancora i suoi nipoti e alla fine il figliastro Tiberio Nerone. Senonché Augusto ha cercato il successore in famiglia, io nello stato; e non perché a me manchino parenti o compagni di guerra; ma, come non sono arrivato al potere per ambizione, così valga come prova del disinteresse della mia scelta l’aver posposto a te non solo i miei parenti, ma anche i tuoi. Hai un fratello egualmente nobile, maggiore d’età e degno di questo ruolo, se tu non fossi ancor più degno. E la tua è un’età in cui si sono lasciate dietro le spalle le passioni giovanili; è la tua una vita per cui nulla del passato hai da farti perdonare. Fino ad ora solo le avversità hai provato; la fortuna sonda l’animo con pungoli ancor più acuti, perché il male si sopporta, il successo corrompe. Fedeltà, libertà, amicizia e i più alti valori dello spirito tu non lascerai che si alterino, ne sono certo, ma saranno altri, col loro servilismo, a intaccarli: dilagheranno adulazione, lusinghe e il peggior veleno di ogni sentimento sincero, l’interesse personale. Se è vero che oggi io e te parliamo a cuore aperto, per altri conterà la nostra posizione, non la nostra persona: dare al principe i consigli necessari è duro cimento, mentre non richiede impegno di sentimenti veri adulare un principe, chiunque sia.»
La potenza di Roma è ormai troppo vasta perché si possa prendere seriamente in considerazione la possibilità di ristabilire la repubblica senatoria. Anche un vecchio vir senatorii ordinis come Galba, per quanto imperatore, deve rassegnarsi alla necessità dell’istituto imperiale, predisponendo, ad ogni modo, delle scelte volte ad arginare che il potere vada effettivamente in mano ad un solo uomo. Da qui la scelta di Pisone. Nel successivo dialogo tra l’imperatore e il principe designato, emerge quello che potremmo definire il programma politico. Non mancano da parte di Tacito alcune acute osservazioni sulla condizione di chi si trova a governare il popolo romano, che egli definisce “ugualmente incapace di essere del tutto servo e del tutto libero”. Sullo sfondo però iniziano già a manifestarsi i primi segni di una nuova rivolta che travolgerà tutti: i buoni intenti di Galba, le promettenti virtù di Pisone e loro stessi.
«Se l’immensa mole di questo impero potesse reggersi e bilanciarsi senza una guida, saprei essere all’altezza di ridare inizio alla repubblica, ma la realtà, e non da oggi, è così compromessa che la mia vecchiaia altro non può dare al popolo romano se non un buon successore, e non altro la tua giovinezza se non un buon principe. Sotto Tiberio, Gaio, Claudio noi Romani siamo stati, per così dire, proprietà ereditaria di una sola famiglia: sostituisca, in qualche modo, la libertà l’applicazione che noi facciamo del principio della libera scelta, sicché, finita la casa Giulia e Claudia, toccherà all’adozione scegliere il più degno. Perché nascere da sangue di principe è solo un caso, e niente altro si chiede; l’adozione implica un giudizio imparziale e, al momento della scelta, il consenso dei cittadini costituisce un’indicazione. Abbiamo davanti agli occhi Nerone: lui, superbo di una lunga serie di Cesari, l’hanno spazzato dalle spalle del popolo non Vindice e la sua inerme provincia, non io con la mia sola legione, ma la sua ferocia e le sue turpitudini; e ancora mancava il precedente di un principe condannato. Noi invece, portati al potere dalla guerra e da una scelta di stima, non ci salveranno dall’invidia i meriti, per quanto grandi. Tuttavia non ti abbattere se, dopo una scossa che ha sconvolto il mondo, due legioni non sono ancora tranquille: neppure io ho raggiunto il potere in un quadro di pace e, con la notizia della tua adozione, smetterò di sembrare vecchio, unico rimprovero che attualmente mi muovono. Le canaglie rimpiangeranno sempre Nerone: mio e tuo compito è evitare che lo stesso accada alle persone oneste. Ma non è tempo di altre parole: la mia missione è compiuta, se tu sarai una scelta felice. Il sistema più rapido per distinguere il bene e il male? Pensare a ciò che sotto un altro principe avresti o voluto o rifiutato. Perché qui non esiste, come dove c’è un re, un casato di padroni e un popolo di schiavi; tu sei chiamato a comandare su uomini incapaci di essere schiavi fino in fondo e fino in fondo liberi? Così, o a un dipresso, parlò Galba a Pisone, come doveva a uno che stava per fare principe; gli parlavano gli altri come se già lo fosse.»
La presentazione di un imperatore mancato. Alle parole di Galba, che gli comunica l’intenzione di affidargli l’Impero, Pisone reagisce con grande contegno che ne rivela la dignitas e mette ben in evidenza le sue attitudini di governo e comando. L’annuncio dell’adozione di Pisone è poi dato ai soldati. La designazione di un successore costituisce un elemento di novità, dopo l’esperienza dei Giulio-Claudi, che avevano scelto il criterio della successione dinastica, e Galba trova dunque opportuno richiamarsi al modello illustre di Ottaviano Augusto, che prima di lui aveva designato a più riprese i propri successori attraverso l’adoptio. I vertici militari reagiscono con favore all’annuncio, ribadendo il proprio sostegno al modello di governo rappresentato da Galba, che già li aveva indotti ad appoggiarne la sua ascesa al potere. Alle preoccupanti notizie sulla rivolta delle due legioni renane Galba cerca di contrapporre un moderato ottimismo.
«Pisone, raccontano, di fronte a chi in quel momento su di lui appuntava lo sguardo né poi sotto il bersaglio degli occhi della gente, non lasciò trapelare nessun segno di turbamento o di esultanza. In risposta, spese parole piene di rispetto verso suo padre e il suo imperatore e parole intonate a modestia nei riguardi della propria persona; non si verificarono cambiamenti nella sua espressione e nel suo atteggiamento: sembrava più capace che desideroso di avere il potere. In seguito ci furono consultazioni per decidere il luogo in cui annunciare l’adozione: se dalla tribuna davanti al popolo o in senato o nella caserma dei pretoriani. Si decise per la caserma: si valutava il gesto come tributo d’onore per i soldati, il cui favore, se male acquistato con elargizioni e intrighi, non va disprezzato quando lo si ottenga con mezzi onorevoli. Una folla in attesa aveva intanto circondato il palazzo, impaziente di questo grande segreto: ingigantiva le voci il maldestro tentativo di soffocarle. Cupa giornata di pioggia, il dieci gennaio fu turbato da tuoni, fulmini e inconsuete minacce celesti. Il fatto, che in tempi antichi sarebbe bastato a sciogliere i comizi, non distolse Galba dal recarsi alla caserma: forse sdegnava questi segni come prodotti del caso o forse perché al destino, quand’anche si riveli, non c’è scampo. Di fronte a quella folla di soldati, dichiara, con imperatoria brevità, che adotta Pisone, sull’esempio del divo Augusto e secondo l’usanza militare, per cui un uomo sceglie un compagno. Poi, perché il silenzio sulla rivolta in Germania non la facesse credere ancora più grande, si premura di affermare che la Quarta e la Ventiduesima legione, sobillate da pochi sediziosi, avevano trasceso verbalmente in grida di protesta, ma che presto avrebbero ripreso i loro compiti. Non aggiunse al suo discorso né belle parole, né ricompense in denaro. Eppure i tribuni, i centurioni e i pretoriani più vicini si congratulano con lui, mentre sulle file della truppa incombeva un tetro silenzio: sfumava per loro, in quel clima di guerra, il tradizionale e quindi indispensabile donativo, preteso anche in tempo di pace. Non c’è dubbio che un gesto per quanto piccolo di liberalità da parte di quel vecchio parsimonioso gli avrebbe potuto conciliare l’animo dei soldati: gli nocque il rigore di vecchio stampo e un eccesso di austerità, cui non ci sappiamo più adeguare.»
Bilancio complessivo del breve regno di Galba. La gravità dei fatti delle rivolte militari in Germania fu volutamente attenuata da Galba e, erroneamente, sottovalutata. Uno dei grandi limiti della figura di Galba, scarsa popolarità a parte, sta proprio nella sua idea conservatrice di governo: rigidamente ancorato alla austeritas della morale tradizionale, non seppe guadagnarsi il favore di vari ambienti, tra cui quello militare-legionario, che doveva il suo successo e le sue fortune proprio all’Impero, e che poteva sempre diventare – come in questo caso – un fattore di cui tener conto. La dura repressione di vari personaggi che si erano compromessi durante il principato di Nerone (che restava popolare tra i ceti meno abbienti) o la stessa austerità della sua politica economica finirono per alienargli diversi consensi: per quanto si trattasse di provvedimenti “giusti” da un punto di vista morale, si inserivano nel quadro complessivo di un’azione politica incapace di essere duttile e di trarre forza dalla clementia, e insomma di costruire attorno a sé un ampio consenso.
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