Lingue e Letteratura

Il lessico della “trasgressione” amorosa in Ovidio e Properzio

Per l’amante elegiaco l’amore è furor, error, insania e dementia, e amare significa nullo consilio (Properzio) o sine ratione (Ovidio). L’amore però non comporta solo il vivere al di fuori della ragionevolezza, ma anche in opposizione all’etica del mos maiorum. Questa condizione viene da essi indicata con alcuni termini chiave che rinviano per opposizione ai più importanti valori accettati dalla società romana; il lessico elegiaco si presenta infatti come l’esatto contrario dei principi della morale tradizionale.

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Vediamo i principali termini usati in questo genere:

Nequitia – significa “inettitudine”, “mancanza di valore” (Cicerone, Tuscolanae disputationes III, 18) e poi anche “pigrizia”, “indolenza” (Cicerone, Catilinariae I, 4), “depravazione”, “dissolutezza”. Deriva dall’aggettivo indeclinabile nequam, usato inizialmente come avverbio unito a esse, con il senso di “non valere niente”. Spesso è usato da Plauto: nequam dare “giocare un brutto tiro”; nequam facere “fare baldoria”; nequam habere. Sempre in Plauto è opposto a frugi, aggettivo indeclinabile che significa “onesto”, “frugale”: cupis me esse nequam; tamen ero frugi bonae “Pretendi che io sia un farabutto; ma, a tuo dispetto, voglio essere un galantuomo”.

Segnitia – significa “pigrizia”, “indolenza”; particolarmente usato l’aggettivo segnis, -e, e l’avverbio segniter, che si trovavano soprattutto nelle litoti ad indicare un atteggiamento contrario. Il termine compare anch’esso già in Plauto.

Desidia – da desideo, “restare a sedere”, “restare inoperoso”, presente in Plauto e Terenzio. Il sostantivo significa quindi “pigrizia”, “inoperosità”.

Inertia – da in+ars: significa “ignoranza di ogni arte” e quindi, per estensione, inettitudine, ma anche “inerzia” e “pigrizia”.

Improbus: così dichiara di essere Properzio nelle sue Elegie (I, 6), escludendo il tal modo dalla sua condotta la probitas (cioè la rettitudine), considerata valore centrale del civis. La probitas appartiene infatti alla famiglia lessicale di probare, che significa “approvare” e indica quindi l’essere degni di approvazione morale, sociale, ecc. L’aggettivo improbus ha una gamma di significati negativi piuttosto vasta, ma in questo contesto è evidente che prevale il senso di “sfrontato” e “lascivo”.

Come si può vedere, quindi, gli atteggiamenti esibiti dai poeti elegiaci sono di segno negativo, ma non indicano vizio e malvagità, piuttosto una mancanza di energia e di volontà, quasi una debolezza dell’animo, o meglio una sorta di pigrizia che non si riesce a vincere, e sulla quale si può anche sorridere, come rivelano le numerose attestazioni dei termini sopra indicati nella commedia. Si direbbe, cioè, che nella poesia elegiaca si configuri una terminologia dell’otium, come sfera opposta al negotium e adatta invece all’amore. Tuttavia l’attività amorosa non è pura indolenza: anzi si configura come militia, e richiede quindi strategia, forza per intraprendere le battaglie ecc.: il vocabolario militare usato dagli elegiaci, con precisione di riferimenti e di termini (castra, arma, hostis, manus, ecc.) anche se naturalmente in senso metaforico; ma la scelta della metafora comporta un ribaltamento dei valori: il poeta elegiaco, cioè, dichiarando la propria militanza amorosa nega quella reale, o almeno afferma la propria estraneità ad essa. La trasgressione elegiaca dunque si esprime sia attraverso termini negativi, antitetici ai valori tradizionali, sia tramite concetti positivi inseriti in contesti del tutto diversi da quelli previsti dal mos maiorum.

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Antonio Palo

Laureato in 'Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente' e specializzato in 'Archeologie Classiche' presso l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Fondatore e amministratore del sito 'Storia Romana e Bizantina'. Co-fondatore e presidente dell'Associazione di Produzione Cinematografica Indipendente 'ACT Production'. Fondatore e direttore artistico del Picentia Short Film Festival.

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