Il congresso di Viminacium e la tripartizione dell’Impero (337)
Costantino, poco prima della sua morte, aveva stabilito nel suo testamento politico che la sua famiglia “allargata” si sarebbe dovuta spartire l’Impero divenendone la sua classe dirigente. Dopo l’eliminazione di Crispo, figlio della sua prima moglie, in cima alla linea dinastica vi sono gli eredi diretti di Costantino, avuti dalla seconda moglie, Costantino il giovane, Costanzo e Costante, ed anche i due fratellastri, figli di Teodora e Costanzo Cloro, Dalmazio e Giulio Costanzo e insieme con quelli i loro quattro figli, Dalmazio, Annibaliano, Gallo e Giuliano. Il potere sarebbe dovuto essere così ripartito, in una sorta di riproposizione tetrarchica (o pentarchica):
- Al minore dei suoi figli, Costante, sarebbe dovuto andare il governo dell’occidente, della prefettura gallica (Treviri) e italiana (Milano).
- A Costanzo il governo dell’Oriente e il controllo diretto della relativa prefettura (Antiochia).
- A suo nipote Dalmazio, figlio del suo fratellastro, che era capostipite del ramo cadetto e dei figli di Teodora, sarebbe dovuto andare il governo della prefettura illirica (Sirmio);
- Al primogenito, Costantino II, l’imperatore lasciò la residenza imperiale di Costantinopoli e la principalis potestas sui tre colleghi e congiunti: egli avrebbe dovuto coordinare e controllare il loro operato.
- A suo nipote Annibaliano sarebbe andato il titolo di “re dei re” (rex regum) che però non sembra abbia avuto un’applicazione istituzionale pratica.
La spartizione sembrò essere ben definita, ma le cose non andarono così: dalla morte di Costantino (maggio) all’investitura dei nuovi Augusti (settembre) passarono ben quattro mesi che sembrano nascondere una certa difficoltà dei vari eredi nell’applicarlo, dato che tra di essi vi erano pessimi rapporti. Un compromesso vi giunse a settembre e riguardò i tre eredi diretti: mettendo da parte (per poco) i loro odi personali, Costantino, Costante e Costanzo si accordarono per eliminare il ramo cadetto della propria famiglia, sulla base di un “nuovo” (e molto probabilmente falso) testamento che li dichiarava come i soli eredi del padre, il tutto con l’appoggio degli ambienti militari dell’Impero. Furono questi ultimi e rendere operative le disposizioni degli epigoni. In breve tempo buona parte del ramo cadetto della famiglia di Costantino, escluso dal potere dai tre figli di lui, fu massacrato: perirono in queste purghe i due Dalmazi, Annibaliano e Giulio Costanzo (fratellastro di Costantino), mentre i suoi due figli, Gallo e Giuliano, rispettivamente di undici e sei anni, furono risparmiati solo in ragione della loro giovane età. Finirono uccisi anche vari discendenti di Teodora e Costanzo Cloro.
Dopo i massacri, quindi, i tre eredi diretti e di sangue vennero a congresso (nella fortezza legionaria di Viminacium) allo scopo di stabilire la divisione delle loro competenze e di affrontare tutte le questioni di politica religiosa che la riabilitazione di Ario, avvenuta un anno prima, nel 336, aveva lasciato aperte. La parte occidentale dell’Impero fu affidata a Costante, il più piccolo dei figli di Costantino, mentre a Costanzo, ormai a tutti gli effetti Costanzo II, fu assegnato l’Oriente; Costantino II, il maggiore dei tre, ebbe una sorta di alta tutela (simbolica) sull’Occidente e, dunque, su Costante e inoltre l’amministrazione diretta (provvisoria) delle Gallie e il diritto di residenza nella nuova capitale fatta costruire dal padre, Costantinopoli. Riguardo la questione religiosa, nel congresso di Viminacium, Costanzo II rivendicò una sostanziale riabilitazione degli ariani (in linea con le simpatie mostrate dal padre Costantino). Costantino II e Costante si opposero e soprattutto il primo obbligò Costanzo II ad abiurare ogni simpatia ariana e a mettere fine all’esilio del patriarca Atanasio di Alessandria, fatto esiliare dal padre.
L’unità religiosa e politica, a Viminacium, fu ristabilita, ma fu soltanto una breve tregua tra i tre Augusti poiché si trattò del risultato di continui bracci di ferro che opposero Costantino II e Costante a Costanzo II.
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