Ibridi, mostri, labirinti: i miti Cretesi
Studiando la storia e la cultura greca ci si imbatte spesso nei miti. Per gli antichi, fino ad un certo momento almeno, non ci fu differenza tra racconti e storia “reale”: i racconti erano percepiti come veri, come fatti storici, e non se ne metteva in discussione l’attendibilità. Semmai se ne inventavano molti e diversi ognuno dei quali conviveva accanto all’altro senza per questo contraddirlo: gli uomini potevano credere all’uno o all’altro, e a loro volta raccontarlo apportando alcune modifiche. Vediamo oggi i miti di Creta. Buona lettura!
Il Minotauro. Al nome del re Minosse si collega un celeberrimo mito, quello del Minotauro. Esso rappresenta, in un certo senso, il capostipite delle creature ibride di cui è ricca la fantasia degli antichi, una lunga serie di mostri che, secondo i miti, furono sconfitti da altrettanti eroi: basti pensare alle fatiche di Ercole (Eracle, secondo la forma greca), con cui l’eroe si oppone alla brutalità di esseri sovrumani (come l’Idra di Lerna e il cane Cerbero). Si narra che il re aveva fatto costruire dall’architetto Dedalo il labirinto, un palazzo costituito da un’intricata rete di stanze e di corridoi, e che vi aveva richiuso il Minotauro, figlio dell’unione sacrilega di sua moglie Pasifae e un toro venuto dal mare. La nascita di quel mostro aveva inquietato il re, che vedeva in lui il segno di una colpa. Minotauro significa infatti “toro di Minosse” e indica, a ben vedere, la doppia paternità di questa creatura: era come se nel ventre di Pasifae si fossero mescolati due semi maschili ed era proprio per questo fatto che suscitava orrore e rifiuto nei confronti di un obbrobrio vivente. Perciò il mostro andava sottratto alla vista degli uomini e, viceversa, anche gli uomini andavano sottratti alla sua vista: esso era infatti antropofago, e richiedeva come tributo giovani e ragazze provenienti da Atene. Perché? Con tutta probabilità il potere di Creta si estendeva anche sul continente greco e su Atene, che era allora un piccolo insediamento. Il tributo dei giovani come pasto del Minotauro potrebbe forse richiamare la realtà di un tributo economico che Atene doveva corrispondere a Creta. Sempre secondo il mito, il Minotauro venne infatti ucciso dal giovane ateniese Teseo, figlio del re Egeo. Lo aiutò nell’impresa Arianna, figlia di Minosse e sorella dello stesso Minotauro, grazie al famoso stratagemma del filo, che Teseo srotolò man mano che si addentrava nel labirinto e che gli consentì poi di ritrovare l’uscita.
Arianna e Teseo. Non fa eccezioni al sistema delle varianti del mito quello di Arianna, la cui storia non è solo quella della giovane abbandonata dall’eroe che ama, la fragile fanciulla che con l’esile supporto di un filo offre a Teseo la possibilità di uscire dal labirinto e di trovare ammirazione nel padre una volta tornato ad Atene. Arianna è soprattutto una filatrice, e il filo che intreccia e dona a Teseo come strumento di salvezza ha un grande valore simbolico nel mondo greco. Nella cultura antica le filatrici sono infatti donne molto potenti (non mancano figure di filatrici appartenenti alla sfera divina), la cui conoscenza dell’arte della filatura è vista come uno straordinario pregio. Le prime filatrici del mondo mitico non sono altro che le tre Parche (o Moire), cioè le divinità che stabiliscono il destino degli uomini: Klotho, Làchesi e Atropo (questi i loro nomi) hanno rispettivamente il compito di filare, avvolgere e tagliare il filo in una sequenza che simboleggia l’inizio, il corso e la fine della vita di ogni uomo. A filare possono essere donne “buone” e donne “cattive”, che per mezzo del filo compiono stregonerie: si riteneva infatti che in filo potesse legare la mente di una persona che si voleva sottomettere al proprio volere, oppure ostacolare il buon raccolto del grano, perché il filo avrebbe “legato” le spighe e impedito loro di crescere. Arianna appartiene alla categoria delle filatrici “buone” e anche generose: pur potendo “legare” la realtà, sottoponendola alla propria volontà, decide di rinunciare al proprio filo e di farne dono all’eroe. E, cosa molto interessante, invita Teseo a fare un gesto che è esattamente l’opposto di quello abituale delle filatrici: lo esorta a svolgere il filo, invece che ad arrotolarlo. Sul piano simbolico, Arianna rinuncia così a essere padrona del destino altrui (come le Parche) e mette invece il proprio destino nelle mani di un altro. Questi, l’eroe Teseo, potrà svolgerlo come gli piacerà e potrà abbandonare Arianna proprio in forza delle prerogativa che lei gli ha ceduto: adesso è lui ad avere in mano il destino di lei. Nell’atto di consegnare la propria matassa a un uomo, contrariamente alle abitudini di ogni filatrice degna di questo nome, Arianna aveva già scolpito l’epilogo della sua triste vicenda.
Il labirinto nella storia. Tornando al labirinto, esso divenne nei secoli successivi l’immagine emblematica di un intricato percorso realizzato da chi vuole sconfiggere un mostro o il male, anche in civiltà molto lontane nel tempo da quella cretese. Per esempio, si ricorse più volte all’immagine del labirinto nelle chiese cristiane quando si volle rappresentare il tema della vittoria del bene sul male e farlo comprendere a genti spesso analfabete. Qui Teseo venne affiancato, o sostituito, da figure più vicine alla sensibilità dei fedeli, come il giovane re d’Israele Davide che sconfigge il gigante Golia. Il messaggio era che anche la vita del cristiano (e dell’uomo più in generale) richiedeva un cammino lungo e tortuoso come nell’antico labirinto. Può così capitare, visitando le grandi cattedrali francesi (come quelle di Reims o di Chartres) o la chiesa romanica di San Michele a Pavia, tutte successive al 1000 d.C., di imbattersi in splendidi labirinti a mosaico sui pavimenti, che ci rimandano alle infinite riletture del mito. Un altro esempio sono alcuni splendidi giardini di età rinascimentale costituiti da intrichi di siepi e piante, che vogliono sottolineare la capacità inventiva dei loro ideatori, proprio come geniale era stata l’abilità architettonica del mitico Dedalo.
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