Costante II e lo spostamento a Siracusa della capitale dell’Impero (663-668)
Dopo aver regnato venti anni da Costantinopoli e aver respinto la minaccia araba, l’imperatore Costante II decise di lasciare la storica capitale e di trasferirsi in Occidente, a Siracusa, che sarà sede della corte imperiale dal 663 al 668 (anno della sua morte). Perché l’imperatore giunse a questa decisione? Vediamo nel seguente articolo le cause e le motivazioni, nonché le conseguenze e le reazioni suscitate.
Antefatto: questioni religiose, politiche e dinastiche. Per comprendere a fondo quanto accadde nel 663, è necessario fare un passo indietro e cominciare dagli eventi che segnarono l’impero di Costante II prima di tale data. Innanzitutto, oltre alla nascente minaccia araba che riuscì ad essere arginata, gli imperatori succedutisi al trono d’Oriente non avevano mai abbandonato l’ideale universalistico dell’Impero, e consideravano pertanto non solo legittimo per eredità politica, ma anche doveroso, tornare a imporre l’autorità imperiale sull’Occidente che un tempo era parte dell’Impero romano. Ma, l’Occidente (e in particolar modo l’Italia), da Giustiniano in poi ebbe delle dinamiche socio-politiche, e anche religiose, che lo avevano reso un contesto quasi a parte: dal punto di vista politico l’Italia era divisa tra Longobardi e Romano-Bizantini; dal punto di vista religioso Roma rimase sempre il centro della cristianità in aperto “contrasto” con Costantinopoli e l’autorità imperiale (basti solo pensare al cesaropapismo bizantino).
Veniamo ai fatti storici. Il tentativo (imposto) di una “conciliazione” religiosa aveva aperto una nuova frattura sulle varie discussioni e dispute teologiche, che vennero vietate dall’imperatore mentre al contrario queste furono favorite da papa Martino (649) che, dopo aver convocato un concilio, si limitò a condannare tali atti e a scomunicare i patriarchi greci. Al di là della correttezza morale o meno di tali gesti o delle motivazioni teologiche, l’imperatore decise di contrastare apertamente papa Martino e, poiché questi non aveva ricevuto l’approvazione dell’esarca imperiale (con sede a Ravenna), inviò lo stesso esarca, Olimpio, a Roma a far arrestare il papa. Olimpio però, non solo non riuscì ad arrestare papa Martino, ma decise di approfittarne del contrasto Roma-Costantinopoli e staccò l’Italia dall’Impero prendendone di fatto il governo (la capitale dello stato separatista fu fissata da lui a Siracusa), senza la minima reazione da parte di Costante II. La ribellione di Olimpio durò fino alla sua morte per poi rientrare con la nomina di un nuovo esarca (sempre a Ravenna). Seri provvedimenti furono invece presi contro il papa (arrestato e condannato all’esilio nel Chersoneso Taurico con un processo sommario) e contro chi, in Oriente, condannava tale gesto, come il monaco Massimo, che si fece portavoce della necessità da parte dell’autorità politica di non interferire con l’autorità religiosa, ma anche lui fu condannato all’esilio. Se le condanna del papa Martino avevano alienato all’imperatore le simpatie dei sudditi occidentali, quella di Massimo gli alienò quelle degli orientali.
Come se non bastasse, a peggiorare ulteriormente la situazione fu l’allontanamento in monastero e l’omicidio del fratello dell’imperatore (660), tale Teodosio, a cui sarebbe dovuta spettare la co-reggenza dell’Impero: Costante II accusò con falsi pretesti il fratello di alto tradimento, per poi farlo uccidere. Costante II per questa ragione perse il sostegno della popolazione bizantina, che vedeva di buon occhio il fratello. Per questo fu anche soprannominato “Caino”, nome con cui verrà comunemente chiamato a Costantinopoli.
La decisione di spostare la capitale. La decisione dell’imperatore, alla luce di quanto detto finora, non fu avvertita fino a quando l’imperatore non giunse effettivamente a Siracusa. Naturalmente il programma di Costante aveva radici lontane. Già Maurizio e dopo di lui Eraclio (senza risalire fino a Giustiniano, il quale si trovava ad affrontare una situazione diversa) avevano compreso l’importanza di un impegno personale e diretto in Occidente se si voleva salvaguardare l’Oriente, e già nella mente di costoro si era affacciata l’idea di trasferire in Occidente, almeno per un certo periodo, la sede del governo. La partenza dell’imperatore da Costantinopoli assunse i tipici caratteri di una spedizione militare in Occidente (con la mobilitazione di circa un quarto dell’esercito di tutto l’Impero), e lo stesso viaggio verso l’Italia fu condotto con molta molta calma, come testimoniano le lunghe soste a Tessalonica, Atene e Taranto. Da qui l’imperatore prima si diresse a Roma che, oltre ad essere l’ultima visita di un imperatore alla città, fu ricordata per i beni e le ricchezze (soprattutto bronzo) di cui egli si appropriò; poi – sia verso Roma che dopo – verso la Sicilia, tentando lungo il percorso l’assedio della capitale longobarda (Benevento) ed uno scontro con gli eserciti longobardi il cui esito (Avellino) fu disastroso.
Arrivato a Siracusa, nel 663, Costante II vi stabilì la sua nuova residenza. Aveva anche l’intenzione di far trasferire in Sicilia la sua famiglia, la moglie e i figli. Ma Costantinopoli, il suo Senato e la corte imperiale si opposero, come scontato, a questo progetto, e solo una parte si trasferì in Sicilia. Il luogo della residenza era stato ben scelto in virtù della sua posizione strategica: in Sicilia l’imperatore occupava infatti una posizione privilegiata tra l’Italia e l’Africa settentrionale, nelle quali l’autorità imperiale era minacciata rispettivamente da Longobardi e Arabi. Non si conosce molto dell’attività di Costante II a Siracusa nel quinquennio di capitale. Con certezza si può affermare che egli esercitò una forte pressione fiscale sulle regioni bizantine dell’Italia meridionale (e in particolare su Calabria, Sicilia e Sardegna), senza tenere in alcuna considerazione i privilegi ecclesiastici, ma esclusivamente quelli della corte imperiale e dell’esercito. Nel periodo siracusano poi, non mancò il solito contrasto con Roma e l’interferenza con l’autorità religiosa, segnato dalla concessione dell’autocefalia alla Chiesa di Ravenna nel 666 (con l’intento di legarla a Costantinopoli).
La congiura contro Costante II e le sue conseguenze. Avendo perso il sostegno di tutti i suoi sudditi, tra i suoi collaboratori più stretti venne ordita una congiura, alla cui presero parte anche molti esponenti dell’aristocrazia bizantina e armena, con quest’ultima particolarmente compromessa:
«A partire dal 640 gli Arabi, prima con scorrerie isolate, poi con spedizioni militari vere e proprie (642 e 643), erano penetrati nella regione conquistandosi l’appoggio della popolazione indigena e di alcuni maggiorenti (653). Costante dovette promuovere una intensa attività diplomatica, ma non riuscì mai a riconquistare il favore perduto. Anzi, secondo quanto narra Teofane, nell’anno 667, poco prima della congiura siracusana, lo stratega del tema degli Armeniaci, Saburro Persogene, padrone del territorio confinante con gli Arabi e con i loro alleati armeni, tentò di allearsi direttamente col califfo Moawiah per proclamarsi egli stesso imperatore, e a tale scopo inviò ambasciatori a Damasco. L’invio a Moawiah di legati imperiali da Siracusa impedì la riuscita di questo progetto, ma la notizia è sufficiente per comprendere fino a che punto fosse equivoca la posizione degli Armeni, e come possa essere significativa la nazionalità dell’usurpatore per cercare di ricostruire il retroscena del complotto.»
Dopo l’assassinio di Costante II, venne proclamato imperatore dallo stesso esercito proprio lo stesso esecutore, l’armeno Mezezio, che restò al potere sino al 669, anno in cui sia l’Esarcato di Ravenna che il nuovo imperatore Costantino IV, figlio e successore di Costante II, attaccarono i congiurati e li sconfissero, ripristinando il vecchio ordine, riportando la capitale dell’Impero a Costantinopoli. Lo stesso corpo del defunto imperatore fu fatto traslare da Costantino IV da Siracusa alla basilica dei Santi Apostoli (sempre a Costantinopoli). Per Siracusa l’esperienza da capitale imperiale non poteva concludersi in maniera peggiore: divenuta intanto capoluogo del thema siciliano, appena le truppe e la flotta, che avevano contribuito ad eliminare Mezezio e i congiurati, fecero ritorno verso Costantinopoli, la città fu lasciata con un piccolo contingente di truppe che non riuscì a resistere al saccheggio arabo dello stesso anno (669), primo atto che getterà le premesse per l’occupazione araba dell’intera Sicilia.
«Bisanzio non uscì indenne da questa crisi: il complotto che aveva eliminato Costante II, anche se non era riuscito per il momento ad aprire del tutto la strada agli Arabi, aveva però scosso definitivamente la fiducia che Roma e l’Italia bizantina avevano nutrito nell’Impero ormai lontano. Fu lo stesso pontefice Vitaliano che proprio in quegli anni, attraverso una fitta rete di ‘missioni’ in Francia e in Inghilterra, cominciò ad allacciare più stretti contatti con le nuove realtà politiche che si andavano formando in Europa e che potevano offrire garanzie più realistiche alla sopravvivenza di Roma e dell’Italia.»
[X]
Fonti: Riccardo Maisano, La spedizione italiana dell’imperatore Costante II, III Congresso Nazionale di Studi Bizantini (Napoli, 1975). | Georg Ostrogorsky, Storia dell’Impero bizantino, ET Storia.