Arechi II, Carlo Magno e Paolo Diacono nel Chronicon Salernitanum
Quadro storico. Nel 640 il duca longobardo di Benevento strappa al Ducato bizantino di Napoli il controllo della città di Salerno, che diverrà l’unico porto del ducato e nel secolo successivo sede ufficiale dei duchi Arechi II e Grimoaldo III. L’ascesa di una città come Salerno dal campo politico al campo militare è dovuta innanzitutto da una nuova mentalità sviluppata dai Longobardi: se dal momento della loro discesa in Italia li troviamo “confinati” alle zone interne, mentre le zone costiere restavano quasi totalmente in mano bizantina, ora essi sentono quella necessità di espandersi ed ottenere il controllo di esse. L’accesso al mare era un vantaggio non indifferente sotto vari punti di vista, ma anzi, strategicamente era alquanto necessario. L’esodo longobardo dopo la sconfitta subita dal re Desiderio contro Carlo Magno mutò la “repulsione” per il mare e i Longobardi, subito dopo la conquista di Salerno, cercheranno sempre di conquistare Napoli; da qui – visti i continui fallimenti – la loro particolare attenzione a Salerno. Salerno fu quindi un ripiego ma vista l’imminente discesa di Carlo Magno, ciò le consentì di mettersi al livello di Benevento (se non di superarla), venendo considerata da Arechi II meglio difendibile e dotata pertanto di un ampio sistema di fortificazione (che comprendeva anche il più antico castrum).
Il Chronicon Salernitanum, l’opera anonima e fonte primaria che descrive i tentativi messi in atto dai Longobardi a partire da circa la metà dell’VIII secolo per impossessarsi di Roma e l’intervento di Carlo Magno in difesa del papa con la conseguente fine del regno dei Longobardi e le lotte intestine alla Langobardia Minor, dedica ben 13 paragrafi ad Arechi II, in un misto di episodi reali, verosimili o anche immaginari e legati alle tradizioni popolari (riguardanti anche Carlo Magno e Paolo Diacono). La concezione dell’autore del Chronicon è quella tipica dell’autore storico medievale, ed in alcuni casi (non è da escludere) egli potrebbe anche aver celato alcuni episodi reali con elementi finti a cui lui stesso, dopo averli inventati, dimostra di credere.
Come esempi esemplificativi, anche perché riguardanti i tre grandi protagonisti della prima parte della cronaca (quella che analizzeremo, ndr), vediamo le figure di Carlo Magno, Paolo Diacono e Arechi.
Il Chronicon riporta – simulatum mendacium – che Carlo Magno passò l’ultimo periodo della sua vita come monaco nell’abbazia di Montecassino.
«Seguì l’umiltà, che è la fonte di tutti i beni e alla fine ebbe un ottimo vantaggio [:la santità]» Chr. Sal. pr. 33
Da dove nasce questa invenzione del cronista. Carlo Magno in quel periodo era già venerato come santo (e lo sarebbe stato ancora per un millennio fino a quando Pio IX restrinse il suo culto ad Aquisgrana), ma la sua figura non poteva che suscitare disprezzo nei Longobardi: ancora nel X secolo essi non avevano dimenticato i racconti delle guerre condotte da lui contro i Longobardi del Nord Italia, antenati di una parte di quelli che si trovavano ora nel Sud, nonché dei massacri e degli eccidi di cui si era macchiato. Nessuno lo aveva dimenticato e, in fondo, a loro non doveva ispirare tutta questa devozione.
Proprio nell’ambito della devozione religiosa interviene il cronista, che cerca di correggere il giudizio popolare per renderlo conforme alla mentalità del tempo. Nel X secolo si riteneva che la santità fosse prerogativa dei monaci (per via del loro vivere), e molto diffusa era la superstizione che bastava morire in un monastero per andare in paradiso: anche i Longobardi non furono da meno, e non mancano in tal proposito cronache che narrano di principi longobardi che cercarono – con esiti diversi – di giungere in questi luoghi sacri o dopo aver compiuto qualche azione che aveva suscitato rimorso (Radelchi dopo aver assassinato Grimoaldo IV) o prima di morire (Guaiferio). Far morire il re dei Franchi in un monastero dunque poteva significare una certa assimilazione, sia politica che religiosa, agli stessi governanti longobardi.
La leggenda di Carlo Magno fa da sfondo ad un altro episodio fondamentale della cronaca, l’arrivo – verosimile – di Paolo Diacono (nobile longobardo, monaco e famoso storico, autore della Historia Langobardorum) a Salerno. Come Carlo, anche Paolo Diacono non è ben visto dalla popolazione longobarda e, come per Carlo Magno, la sua figura e gli elementi delle sue vicende, per quanto non reali, sono frutto di un complesso procedimento storiografico. A Paolo Diacono veniva rimproverato l’aver abbandonato l’ultimo re Desiderio per trasferirsi alla corte dei Franchi anziché rifugiarsi a Benevento, preferendo quindi i privilegi all’esilio. L’anonimo cronista fa vestire a Paolo i panni della “spia” (che fa buon viso a cattivo gioco, che cerca di uccidere Carlo, che fa spassionate dichiarazioni di fedeltà al re longobardo, che avverte Arechi dell’imminente arrivo dei Franchi), e cerca pertanto, con un certo distacco, di riabilitarne la figura. E qui torniamo a quanto detto prima parlando di Carlo Magno: l’essere monaco – e Paolo lo era – non era forse vista come un elemento di santità? È chiaro perciò che in questo caso il rancore dei Longobardi superasse questa credenza, e le fantasie non sono altro che un mero tentativo di tramandarne un buon ricordo.
L’ultima grande figura, quella di Arechi II, è quella più storicamente vera, e viene presentato come un principe evita lo scontro impari e che preferisce la diplomazia alle armi sia con Carlo Magno che con l’imperatore bizantino. Arechi II poi non nasconde una certa ambizione sia nel respingere i Franchi, richiamandosi come erede e successore dei Longobardi – reliquias gentis Langobardorum – del re Desiderio (di cui aveva sposato la figlia), sia nell’espandersi verso sud a danno dei “Greci” (ossia i Bizantini). Il Chronicon presenta Arechi II in medias res, nel mezzo dei fatti, nell’anno 787, i cui episodi lasciavano intravedere un’imminente fine anche del ramo regnante meridionale longobardo: il Ducato di Benevento fu aggredito da Carlo Magno, Arechi II si rifugiò a Salerno, suo figlio Grimoaldo minore fu preso in ostaggio dai Franchi, morirono il figlio maggiore e primo erede Romualdo prima e dello stesso Arechi II dopo.
Il ritorno di Grimoaldo a Benevento e la sua ascesa al trono (come Grimoaldo III) – con il benestare di Carlo Magno – e il cambio di politica (filo-franca, anti-bizantina) scongiurarono la scomparsa del Ducato che dopo poco tempo tornò ad essere un fiero oppositore delle mire espansionistiche franche, prima di un nuovo turbolento periodo di frammentazione politica e lotte interne.
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