Alessandro Magno: la proskynesis
L’incontro fra Alessandro e Dario, già cadavere, ebbe un grande valore simbolico. Da quel momento Alessandro poteva considerarsi il successore del Gran Re, per diritto di conquista, ma anche in qualità di legittimo erede. Per questo si incaricò del funerale del predecessore al trono, secondo l’usanza rituale. E in seguito ne assunse le abitudini, gli abiti, il cerimoniale – di cui una delle espressioni più caratteristiche era il saluto chiamato proskynesis – e lo sfarzo che spettavano al monarca dell’impero persiano. Alessandro fece sua la norma di confermare come satrapi i nobili persiani, che in molti casi avevano già ricoperto tale incarico. Accolse inoltre nella sua cerchia alcuni potenti signori che avevano dimostrato la propria lealtà al sovrano defunto, come Ossiarte, fratello di Dario, e il satrapo Artabazo. Molto significativo fu l’ingresso nel suo esercito di un gran numero di soldati persiani e iraniani, che toccarono oltre quota 30.000 in pochi anni. Ma l’adozione del cerimoniale persiano, molto ben visto dai sudditi asiatici, non fu accettato di buon grado dai veterani macedoni, non tanto dai soldati semplici, quanto piuttosto dagli uomini a lui più vicini, gli eteri.
La nuova immagine di Alessandro come sovrano orientale, con la tiara e il mantello da imperatore, suscitò fra i suoi aspre critiche e risentimenti, i cui echi risuonano ancora in alcuni versi dello storico Arriano che molti secoli dopo scrisse: “Quanto a me, non approvo questa esagerata punizione di Besso, ma ritengo barbara la mutilazione delle estremità e sono d’accordo che Alessandro sia stato trascinato all’imitazione della ricchezza di Medi e Persiani e della consuetudine diffusa fra i re barbari di intrattenere rapporti con i sudditi su un piano di diseguaglianza, né approvo assolutamente che, essendo un Eraclide, abbia mutato la veste macedone e dei padri con quella meda e che non si sia vergognato di scambiare con la tiara persiana dei vinti il copricapo che egli un tempo, da vincitore, portava”.
Fu però il saluto cerimoniale della proskynesis la miccia che fece scoppiare lo scontro con i Macedoni. Successe quando Alessandro volle imporre a tutti questo gesto, abituale nella corte persiana, che consisteva nell’inginocchiarsi e chinare il capo in segno di sottomissione e obbedienza al monarca o nel mandargli un bacio, a seconda del proprio livello sociale. Forse il gesto era più o meno enfatico a seconda del rango di chi salutava, ma in ogni caso simboleggiava la sottomissione a un sovrano divino. Ma ciò che per i sudditi asiatici era un atto di riverenza, dai Greci e dai Macedoni era visto come un’umiliazione. Inginocchiarsi di fronte a un altro uomo era segno di un rapporto servile, un atteggiamento da schiavi indegno di un uomo libero. I barbari erano tutti schiavi davanti al Gran Re, unico signore, di origine divina, ma gli uomini liberi, che avevano combattuto al fianco di Filippo e di suo figlio, non erano disposti a prostrarsi ai piedi di Alessandro, con l’umiltà che si doveva avere al cospetto di un dio. La cerimonia che Alessandro volle imporre per rendere uguali tutti i suoi sudditi causò una forte contrarietà. Portavoce della protesta macedone fu Callistene, cronista ufficiale e nipote di Aristotele, e fu lui che riuscì a convincere Alessandro a cedere alle sue richieste e ritirare il provvedimento, ovvero a mantenere l’obbligo della proskynesis per i barbari, ma a esentarne i suoi vecchi camerati. Tuttavia Alessandro non si dimenticò dell’offesa e in seguito lo avrebbe punito, per altri motivi, senza pietà.
Più gravi, per le conseguenze e i castighi che ne seguirono, furono due cospirazioni che erano maturate nella cerchia ristretta di Alessandro, e furono bloccate e punite con ferocia. La prima, nel 330 a.C., portò alla morte di Filota (capo degli eteri a Gaugamela) e, di riflesso, di suo padre, il vecchio Parmenione. La seconda, detta la “congiura dei paggi”, due anni dopo, si rivelò mortale per Callistene. Fra le due, in un momento d’ira, Alessandro avrebbe ucciso anche un altro storico compagno, Clito.
La prima congiura che attentò alla vita di Alessandro fu orchestrata da un membro della sua guardia personale, un certo Demetrio, e fu denunciata da un parente di uno dei congiurati, che parlò con Filota, ma vedendo che questi non interveniva, andò di persona dal re, il quale agì con prontezza. I cospiratori furono imprigionati e subito giustiziati. Filota fu messo sotto processo davanti all’esercito e fu condannato a morte per acclamazione. E’ molto difficile stabilire fino a che punto Filota fosse realmente coinvolto nella congiura. Dopo Parmenione, era la persona di maggior rango e prestigio fra i nobili macedoni, e comandava la cavalleria scelta degli eteri. Forse si era vantato troppo di questa posizione e del suo valore, e il suo atteggiamento critico e orgoglioso aveva attirato invidie e sospetti. La sua esecuzione, però, sembra più una manovra politica, dettata dalla concitazione del momento, che una giusta sentenza. Alessandro mandò subito un messaggero a Ectabana, dove si trovava Parmenione con le sue numerose truppe. Il messaggero cavalcò con il suo cammello il più in fretta possibile per arrivare nella capitale della Media prima che il vecchio generale ricevesse per altre vie la notizia della morte del figlio. Portava con sé un ordine urgente. E mentre gli leggeva la lettera di Alessandro, Parmenione, leale compagno di Filippo, consigliere e valoroso comandante in tante battaglie, fu ucciso dalla sua guardia. Così recita il commento di Clifford Edmund Bosworth su questo crimine: “Preciso e spietato, il colpo andò a segno e questa fu la ricompensa di Parmenione per una vita spesa al servizio del trono di Macedonia. I contrasti politici si erano fatti troppo aspri per essere tollerati da un Alessandro sempre più autocratico, che colse la prima occasione utile per eliminarlo”.
La carica di comandante del reparto di cavalleria formato dagli eteri, prima rivestita da Filota, fu divisa fra due compagni di Alessandro di dubbia lealtà: il suo miglior amico, Efestione, e il fratello della sua nutrice, Clito, che gli aveva salvato la vita nella battaglia del Granico. La cerchia più vicina al potere regio era dunque formata dai “marescialli” che avevano contribuito alla caduta di Filota: Cratero, Efestione, Perdicca, Ceno e Tolomeo.
Ciò, nonostante, la tensione fra coloro che erano disposti ad adulare senza limiti Alessandro e coloro che ricordavano ancora suo padre Filippo come l’iniziatore della grandezza macedone avrebbe mietuto un’altra vittima. Successe a Maracanda (l’attuale Samarcanda), in una di quelle feste dove il vino scorreva a fiumi e gli animi si accendevano con facilità. Alcuni adulatori paragonarono Alessandro ai famosi Dioscuri, perché come loro era figlio di Zeus, e proclamarono che dovevano a lui solo, eroe dal fulgore divino, i trionfi e le prodezze decisive della conquista. I veterani macedoni si sentirono offesi e per loro parlò Clito, forse infervorato dal vino. Durante il banchetto si alzò e lodò i successi del grande Filippo, ricordando quante vittorie si dovevano ai suoi agguerriti soldati, e sottolineando di aver salvato la vita di Alessandro nella battaglia del Granico. Alessandro si voltò verso di lui, irritato e minaccioso. Clito abbandonò subito la sala, spinto via da un altro compagno, ma ritornò un attimo dopo deciso a rincasare la dose. Allora Alessandro si alzò in piedi furioso e, presa la lancia di una guardia, trapassò Clito, che cadde a terra, morto. Il re si pentì subito del suo improvviso accesso d’ira, e si dice che cercò di uccidersi e rimase chiuso nei suoi alloggi per tre giorni senza toccare cibo. Scomparve così un altro compagno d’infanzia e di gioventù, triste fine per un grande guerriero.
Una nuova cospirazione, dalle incerte motivazioni politiche, fu ordita qualche mese dopo in Sogdiana. Si tratta della “congiura dei paggi”, tramata da un gruppo di ragazzi, provenienti da nobili famiglie macedoni, che facevano da guardia alla camera da letto del re e progettarono di assassinarlo. Il loro gesto aveva un motivo preciso: Alessandro aveva offeso crudelmente il loro capo facendolo frustare in pubblico. Il re si salvò per puro caso: quella notte si trattenne nel salone dei banchetti a bere fino all’alba e non andò a dormire. L’audace ma goffa cospirazione venne alla luce quando uno dei congiurati confessò: furono tutti arrestati subito, condannati e lapidati. Callistene era direttamente collegato a questi ragazzi, in quanto loro educatore, e pur non essendo stato possibile provare il suo coinvolgimento nell’azione criminale, fu accusato di essere l’ideatore e il fomentatore della congiura. Per questo, in quanto istigatore del complotto anche se non partecipante, il nipote di Aristotele fu torturato e giustiziato senza processo. Lo storico che aveva lodato tante azioni di Alessandro, perorando l’aura eroica del giovane monarca attraverso una propaganda quasi epica, pagò così la sua crescente opposizione ai costumi orientali, alla proskynesis e allo sfarzo asiatico del Gran Re.
I tre anni che vanno dalla morte di Filota – nel 330 a.C. – a quella di Callistene – alla fine del 327 a.C. – furono tempi di difficili campagne condotte in regioni inospitali abitate da popolazioni molto ostili. Alessandro voleva assicurarsi il controllo di tutti i territori appartenuti all’impero persiano e allo stesso tempo voleva presentarsi come il sovrano di tutta l’Asia (o perlomeno, di quella che i Greci consideravano l’Asia), ammantato di eroismo e della tipica pomposità orientale. Fu una fase molto complessa, che mise a dura prova tutto il suo coraggio e il tuo talento di stratega. All’inizio del mese di ottobre del 330 a.C. marciò verso sud partendo da Artacoana. Negli anni successivi attraversò la Drangiana, l’Aracosia e il Paropamiso, poi superò la catena dell’Hindu Kush ed entrò in Batriana e in Sogdiana e da lì tornò alla citta che aveva fondato con il nome di Alessandria del Caucaso (sebbene non fosse nel Caucaso, ma sull’Hindu Kush). Attraversò montagne altissime e passi scoscesi, deserti e territori selvaggi, e dovette affrontare popoli molto bellicosi e fieri della propria indipendenza in combattimenti sanguinari, imboscate e guerriglie in luoghi impraticabili con un clima molto sfavorevole. Alessandro diede continue dimostrazioni della sua genialità di stratega e della preoccupazione che nutriva per la sofferenza delle sue truppe. Come scrive Paul Cartledge: “Per alcuni esperti del comportamento di Alessandro Magno condottiero, la campagna di “pacificazione” condotta in quelli che oggi sono l’Afghanistan e l’Asia centrale lo rende degno di essere considerato un genio militare. Non c’è dubbio che quel trionfo diventa ancora più strabiliante se considerato alla luce del grave scontento culturale e politico che ribolliva, quasi al punto di traboccare, nel cuore della corte macedone”.
Nel contesto di queste difficili campagne e spedizioni in regioni lontane, dobbiamo evidenziare la singolare importanza del matrimonio che Alessandro contrasse, sicuramente per motivi politici, ma forse anche sentimentali, con Rossane, la bellissima figlia di un grande capo della Sogdania, nel 327 a.C. Come aveva dimostrato tante volte suo padre Filippo, sposare una principessa straniera serviva ad assicurare e cementare alleanze ed era un valido strumento politico e diplomatico volto a rafforzare il potere senza ricorrere alle armi. L’unione del re con una donna di una stirpe barbara causò forse il disappunto di alcuni nobili macedoni, ma è un chiaro indizio della politica matrimoniale sostenuta da Alessandro per cementare la coesione dei popoli del suo impero, e di cui esistono altri celebri esempi.
La saga di Alessandro:
L’impero di Alessandro Magno; Filippo II, generale di Macedonia; La morte di Filippo II e la sua eredità; L’ascesa di Alessandro Magno; La battaglia del Granico; La battaglia di Isso: la sconfitta di Dario III, il Gran Re dei Persiani e la fondazione di Alessandria d’Egitto; La battaglia per l’Impero Persiano: Gaugamela; Il dominio sull’Asia e il saccheggio di Persepoli; Alessandro Magno: sulle tracce di Dario;