Accadde Oggi: 8 Novembre 63 a.C. / «Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?»
«Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Quamdiu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?»
«Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza? Quanto a lungo ancora codesta tua follia si prenderà gioco di noi? Fino a che punto si spingerà [la tua] sfrenata audacia? Né il presidio notturno sul Palatino né le ronde per la città né il panico del popolo né l’opposizione unanime di tutti i cittadini onesti né il fatto che la seduta si tenga in questo edificio, il più sicuro, ti hanno sgomentato e neppure i volti, il contegno dei presenti?»
63 a.C.: Roma, tempio di Giove Statore sul Palatino – Dopo essere sfuggito ad un agguato, Cicerone fa convocare il Senato in seduta straordinaria. Rivolgendosi direttamente a Lucio Sergio Catilina, presente in Senato, Cicerone lo apostrofa con toni di sdegnata e solenne eloquenza e lo inchioda alle proprie responsabilità, mostrandosi perfettamente informato sui movimenti e i progetti della congiura, a danni della Res Publica, da lui organizzata. La sua intenzione è, come si manifesterà nel corso dell’orazione, e come scrive anche Plutarco, costringere Catilina ad auto-esiliarsi. Spiccano per intensità, nel celebre esordio, il seguito incalzante di domande e l’impiego di elementi retorici che rendono l’orazione ricca di pathos e polemica.
«Sei entrato or ora in Senato. Chi fra tutta questa folla, fra tanti amici e familiari tuoi ti ha degnato di un saluto? […] E di più: il fatto che al tuo arrivo tutti codesti scanni sono rimasti vuoti e che, appena hai preso posto, tutti i consolari, che più volte furono da te destinati alla strage, hanno completamente abbandonato codesto settore con qual animo mai credi tu di doverlo sopportare?»
«Tu sarai finalmente mandato a morte solo quando non si potrà trovare più nessuno tanto malvagio, tanto scellerato, tanto a te somigliante che in ciò non riconosca apertamente un atto di giustizia. Ma finché vi sarà uno solo che osi difenderti, tu vivrai così come ora vivi, stretto d’ogni parte da numerose e fide milizie mie, ché tu non sia in grado di muovere un passo contro lo Stato.»
«Ebbene? Non fai attenzione al silenzio di costoro, non lo intendi? Essi mi lasciano parlare, tacciono. A che aspetti la sanzione della parola, mentre ne comprendi l’intenzione del silenzio?[…] Sul tuo conto invece, Catilina, mentre non batton ciglio, approvano, mentre lascian fare, sentenziano, mentre tacciono, gridano la condanna».
«E frattanto vi sono qui in senato alcuni che o non vedono quel che ci sovrasta, o fingono d’ignorare ciò che pur vedono; costoro con la fiacchezza delle loro proposte hanno alimentato le speranze di Catilina e col non prestarvi fede han« rinvigorito la congiura in sul nascere».
«Orbene, te odia e teme la patria, che è madre comune di tutti noi, e già da tempo è convinta che nient’altro tu volga in mente che il suo assassinio e tu di lei non rispetterai l’autorità, non t’inchinerai al giudizio, non paventerai la forza?»
In seguito all’orazione, Catilina abbandona Roma.