Accadde Oggi: 5 Dicembre / Esecuzione dei congiurati catilinari (63 a.C.)
63 a.C.: Roma – Ad una seduta straordinaria del Senato che avrebbe dovuto decidere come punire i congiurati catilinari arrestati, Marco Tullio Cicerone pronuncia la quarta e ultima catilinaria in favore della condanna a morte.
Di seguito alcuni tratti salienti della Quarta Catilinaria:
«Vi vedo tutti, senatori […]. È per me confortante nelle avversità e bene accetta nel dolore la sollecitudine che voi mi dimostrate, ma, in nome degli dèi immortali, mettetela da parte e, senza pensare affatto alla mia salvezza, preoccupatevi di voi e dei vostri figli. […] Ora, di qualunque cosa si tratti e qualunque sia la deliberazione per la quale vi fa propendere il vostro modo di pensare e di giudicare, la decisione dovete prenderla prima di notte […]. Con palliativi e rinvii sarebbe assolutamente impossibile soffocarlo: è con prontezza che dovete reprimerlo, qualunque sia il mezzo che ritenete più opportuno […]. Fino a questo momento due sono, a quel che vedo, le proposte fatte: la prima di Decimo Silano che sostiene la necessità di punire con la morte coloro che hanno tentato di distruggere questo nostro stato, la seconda di Gaio Cesare, che respinge la pena di morte […]. Egli propone che i congiurati vengano distribuiti nei municipi […]. Nonostante tutto, però, l’interesse dello Stato prevalga sulla considerazione dei miei pericoli personali. […] dobbiamo temere assai di più, deliberando una pena più leggera, di essere tacciati di crudeltà verso la patria, che non di eccessiva spietatezza verso dei mortali nemici infliggendo loro una pena esemplare. In realtà la proposta che Cesare fa, […] è per noi come un pegno del suo costante attaccamento alla repubblica.»
All’interno dell’assemblea senatoriale, infatti, si erano creati due schieramenti e ciascuno di essi sosteneva una diversa pena da applicare: da un lato vi era Marco Porcio Catone l’Uticense che sosteneva una condanna esemplare (ossia la pena di morte) per i congiurati, dall’altro vi era Gaio Giulio Cesare che, appellandosi al rispetto delle procedure legali, proponeva di detenerli a vita in vari municipi.
«Quindi ebbero stirpe, età ed eloquenza quasi uguali; Identica la grandezza d’animo e la gloria, ma di natura diversa nelle altre cose. Cesare era considerato grande per i benefici e la generosità, Catone invece per l’integrità di vità. Quello divenne famoso per la clemenza e la misericordia, questo per il dignitoso rigore. Cesare conseguì la gloria col dare, con l’aiutare, con il perdonare, Catone con il concedere niente a nessuno. Nell’uno vi era il rifugio per i miseri, nell’altro la rovina per i malvagi; di quello era lodata la condiscendenza, di questo l’inflessibilità. Insomma, Cesare si era proposto di adoperarsi, di vigilare, e, intento negli affari degli amici, di dimenticare i suoi e di non rifiutare niente che fosse degno di dono; per sé desiderava un grande potere, un esercito, una nuova guerra dove la (sua) virtù potesse risplendere. Al contrario Catone era incline alla giusta misura, al decoro, ma soprattutto all’inflessibilità. Non combatteva con i ricchi in ricchezza, né in faziosità con il fazioso, ma in valore con il coraggioso, in pudore con il modesto, in probità con l’onesto. Preferiva essere giusto più che sembrarlo; e così, quanto meno ricercava la gloria, tanto più la gloria lo seguiva.» [Sallustio, De Catilina Coniuratione, 54]
La posizione di Cesare, per quanto minoritaria, scatenò un ulteriore dibattito (portato avanti sempre da Catone) sulle reali finalità della congiura di Catilina, che si sarebbe avvalso della complicità di altri elementi di spicco della politica romana per la buona riuscita della congiura, cui non sarebbero stati estranei Cesare e anche Pompeo.
Prevalse alla fine la posizione di Catone l’Uticense e Cicerone, con quest’ultimo che implicitamente lo aveva sostenuto. Appena emessa la sentenza Cicerone, temendo che potessero verificarsi disordini o tentativi di liberazione dei prigionieri, decide di non attendere il giorno successivo e di anticipare le esecuzioni capitali prima che cali la notte. Egli stesso conduce Lentulo nel carcere Mamertino e altrettanto fanno i pretori con gli altri congiurati: nella notte tutti loro – Publio Cornelio Lentulo Sura, Gaio Cornelio Cetego, Lucio Statilio, Cepario, Publio Gabinio Capitone, Tito Volturcio – vengono tutti strangolati.
«In seguito, come ho detto, il senato aderì alla proposta di Catone, il console, pensando che la cosa migliore da farsi fosse agire prima della notte imminente, per evitare che in quello spazio di tempo accadesse qualcosa di nuovo, ordina ai triumviri di preparare tutto ciò che l’esecuzione richiedeva; egli stesso, disposte delle misure precauzionali, conduce in carcere Lentulo; i pretori fanno lo stesso con gli altri. Quando si è saliti un po’ verso sinistra, c’è un luogo nel carcere che viene chiamato Tulliano scavato sotto terra ad una profondità di circa dodici piedi. I muri e, sopra, una volta formata da archi di pietra cingono quel luogo da ogni lato; il suo aspetto è repellente per lo squallore, il buio, il fetore. In quel luogo fu quindi fatto scendere Lentulo e gli esecutori delle condanne capitali, secondo gli ordini, lo strangolarono con un laccio. Così trovò degna fine delle sue azioni e dei suoi costumi quel patrizio, appartenente alla famosissima famiglia dei Corneli, che aveva avuto a Roma la carica di console. Allo stesso modo furono giustiziati Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario.» [Sallustio, De Catilina Coiniuratione, 55]
Appreso della loro morte, Cicerone annuncia nel Foro l’esecuzione al popolo pronunciando la parola vixerunt (“vissero”). Nonostante la gravità della situazione politica (tentato rovesciamento della Repubblica) Cicerone però commette un errore che condizionerà il suo ruolo futuro politico: i congiurati, infatti, non ebbero la possibilità di ricorrere all’istituto della “Provocatio ad Populum” (Lex Valeria de provocatione), ossia la possibilità di veder commutata la pena capitale in altra pena da parte di una giuria popolare; Cicerone verrà così accusato ed esiliato (58 a.C.).
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