Accadde Oggi: 2 Novembre / 82 a.C.: Battaglia di Porta Collina (Roma)
1/1) 82 a.C.: Porta Collina – Si affrontano in battaglia le legioni di Silla contro le truppe mariane e i loro alleati Sanniti e Lucani, il cui esito sarà sfavorevole per questi ultimi. La battaglia determinerà l’appropriazione degli optimates della scena politica romana in Italia.
Il contesto. Nel quadro delle guerre civili romane che avevano visto contrapporsi Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla, la situazione politica era in una fase di stallo: da un lato Gaio Mario aveva preso il controllo della capitale e aveva avviato una persecuzione nei confronti dei partigiani sillani, dall’altro Lucio Cornelio Silla – forte di cinque legioni di veterani – era tornato vittorioso dalla campagna militare asiatica contro Mitridate re del Ponto. In questo periodo (86 a.C.) viene poi a mancare Gaio Mario, succeduto dal figlio Gaio Mario il Giovane. Un’avanguardia di sillani aveva sconfitto proprio il figlio del grande generale presso Segni e lo aveva costretto a barricarsi a Preneste. Le difficoltà di Mario il Giovane avevano stimolato l’intervento di legioni filo-mariane e delle popolazioni italiche dei Sanniti e dei Lucani, desiderose di vendicare la sconfitta della guerra sociale, in suo aiuto.
I due eserciti (quello sillano proveniente da nord, quello mariano-italico proveniente da sud) si incontrano nei pressi di Roma: l’esercito mariano-italico viene preceduto da quello sillano a Preneste; nell’impossibilità di violare il blocco sulla città assediata, i comandanti mariani e sanniti decidono di deviare su Roma, fatta evacuare in attesa dello scontro decisivo. Alcuni rinforzi mariani provenienti dal nord Italia e guidati da Gaio Marcio Censorino furono intercettati dal generale sillano Pompeo (il futuro console e triumviro Pompeo “Magno”) e solo Damasippo arrivò a Roma con due legioni; altri provenienti da Capua (Tiberio Gutta) si unirono ai Sanniti e ai Lucani, guidati rispettivamente da Ponzio Telesino e Marco Lamponio.
La battaglia. Silla deviò anch’egli su Roma, e preferì attaccare subito battaglia per evitare tumulti da parte della popolazione della capitale. Il primo giorno di scontri (iniziati nel pomeriggio del 1 novembre) avevano visto le due ali dell’esercito sillano avere esiti diversi: mentre l’ala sinistra era in difficoltà contro i Sanniti di Ponzio Telesino (combattente in prima linea), l’ala destra, guidata da Marco Licinio Crasso, ottenne una facile vittoria.
La situazione volse a favore di Silla soltanto nella mattinata del 2 novembre, quando anche l’ala sinistra uscì vittoriosa sui Sanniti. L’intero esercito romano-sannita fu sconfitto: Ponzio Telesino morì combattendo sul campo di battaglia, i comandanti mariani furono fatti prigionieri. Silla ottiene la resa degli assediati mariani di Preneste. Nonostante la promessa di Silla di riservare un trattamento moderato a chi si fosse arreso, fa uccidere tutti i prigionieri. I capi mariani vengono condannati a morte e decapitati, e le loro teste – di Ponzio Telesino, Carrina, Lucio Damasippo e Marcio Censorino – esposte come trofei. Preneste viene saccheggiata e gli abitanti uccisi. I mariani superstiti fuggono dall’Italia verso le province, inseguiti da Pompeo; nella fuga dall’Italia muoiono suicidi Mario il Giovane e il fratello di Ponzio. Tra i fuoriusciti mariani, anche un tale Gaio Giulio Cesare (genero del generale mariano Cinna), che Silla si pentì di aver fatto fuggire.
Subito dopo la battaglia, essendo morti entrambi i consoli, Silla fu nominato dittatore a tempo indeterminato: i suoi poteri comprendevano il diritto di vita e di morte, la possibilità di presentare leggi, di effettuare confische, di fondare città e colonie, di scegliere i magistrati.
«Dopo aver difeso egregiamente la nobiltà, allagò di sangue civile tutta Roma ed ogni regione d’Italia -ordinò che quattro legioni della fazione a lui contraria che si erano fidate della sua parola venissero massacrate nell’edificio pubblico limitrofo al campo Marzio, malgrado implorassero invano la pietà della sua destra ingannatrice. Le loro pietose grida di soccorso giunsero alle orecchie della città terrorizzata e il Tevere, sovraccarico di tanto peso, fu costretto a trasportarne sulle acque insanguinate i corpi fatti a pezzi. Cinquemila Prenestini, che si erano arresi tramite Publio Cetego sperando di aver salva la vita, furono fatti uscire dalle mura del loro municipio, pur dopo aver gettate via le armi ed essersi prostrati a terra, e per suo ordine immediatamente uccisi; i loro cadaveri vennero gettati qua e lì per la campagna. Di quattromilasettecento persone fatte uccidere con l’editto della terribile proscrizione, redasse una pubblica lista, naturalmente perché non svanisse il ricordo di un fatto cosi glorioso.» [V.Massimo]